Morto per i
nostri peccati?
Ma
come reperire il significato salvifico di quella scena di morte? In che senso
la croce salva?
Lungo
i secoli, si sono moltiplicati i tentativi di spiegazione. E dal momento che la
lettura credente ha sottolineato il carattere salvifico, e non accidentale,
della morte di Gesù, le interpretazioni più accreditate hanno battuto la strada
della necessità di quel gesto.
Era
necessario che il Cristo morisse per noi, perché nessun umano, nessun
sacrificio posto in essere dagli umani, poteva saldare il debito, riscattarci
dal peccato. Solo il Figlio poteva risarcire il Padre, al nostro posto.
Al
Golgota, dunque, si sarebbe svolta la scena del risarcimento del debito
infinito, il condono della colpa contratta da una storia di peccato. Dove,
però, non è il debitore a pagare, bensì qualcun altro, che si offre di
risarcire il creditore al suo posto.
Spiegazione
intrigante, vista la sua capacità di convincere intere generazioni di
cristiani. Ma con un'evidente pecca: viene riassorbito nella logica del mercato
quel gesto che parla il linguaggio del dono.
E
con conseguenze pesanti, soprattutto a livello teologico: Dio come un creditore
spietato, che non fa sconti, che esige fino all'ultima goccia di sangue
l'estinzione del debito. Ma gli effetti collaterali si avvertono anche sul
fronte umano: una spiritualità dolorista e un venir meno del senso di
responsabilità.
Il
senso dato alla croce determina anche il senso di marcia dei discepoli di Gesù.
Quella
strada principale, a lungo battuta, porta lontano dal regno di Dio. Per molti,
è divenuta impercorribile. E anche chi fatica ad abbandonarla, esita a
continuare la marcia, dal momento che i cartelli avvisano di “lavori in corso”,
di un necessario rifacimento del manto stradale, troppo pieno di buche
pericolose.
Occorre
tornare sotto la croce e lasciarsi illuminare di più dalla narrazione di
quell'evento.
Lidia
Maggi – Fare strada con le Scritture