mercoledì 19 luglio 2017

Salmo 123: Occhi che guardano a Lui…

A Te levo i miei occhi
a Te che sei assiso nei cieli
Ecco, come gli occhi dei servi
alla mano dei loro padroni,
come gli occhi di una schiava
alla mano della sua padrona,
così i nostri occhi a Jahweh nostro Dio
finché abbia pietà di noi.
Pieta di noi, Jahweh, pietà di noi
perché troppo ci hanno saziato di disprezzo;
troppo è sazia la nostra anima
dello scherno dei gaudenti,
del disprezzo dei superbi.


Spunti e appunti
1) "Alla base di questo Salmo c'è la spiritualità dei poveri di Jahweh; il protagonista, uomo pio, genuino e sincero, parla a nome della Comunità che si sente bersaglio degli schemi degli uomini potenti, privi di fede e di amore" (G. Ravasi). Questa è la voce, del singolo e della comunità, che denuncia la sofferenza subita da parte di gente arrogante. Sono possibili due ipotesi: può darsi che il pellegrino giunga a Gerusalemme "sazio" delle oppressioni e degli scherni subiti in terra straniera, ma non si può escludere che "gaudenti" e "superbi" costituiscano una deludente constatazione per il pellegrino che se li trova tra i suoi stessi connazionali, proprio in mezzo al suo popolo, nella stessa città santa.
2) Forse può essere utile, per la comprensione del salmo, partire da una riflessione sull'ultimo versetto. Ci viene presentata una persona che "non ne può più". Sono "troppe" le angherie subite, troppo pesante è il fardello del disprezzo e dello scherno. Questo credente ha colmato la misura della sua pazienza e della sua tolleranza. I beffardi hanno superato ogni misura. Che insolenti ed arroganti, prepotenti e beffardi si trovino all'interno della stessa comunità israelitica non fa che aggiungere sconforto e delusione. Si noti la ripetizione voluta di quel "troppo".
3) Ma il bello comincia proprio qui: davanti all'intollerabile oppressione il pellegrino poteva rassegnarsi, adattarsi oppure esplodere in una invocazione di vendetta. Nulla, assolutamente nulla di tutto questo. Egli sceglie un'altra strada. Si rende conto della situazione e, con lucidità e fiducia, alza i suoi occhi a Colui che sta assiso nei cieli. Non vuole continuare a trangugiare la "troppa" oppressione, ma cerca di opporsi con la sapienza del credente che sa dove attingere le forze per la sua "ribellione" interiore. Questa consapevolezza gli fa nascere dal profondo del cuore un movimento di vita, come un grido che si traduce in preghiera: "Pietà di noi, pietà di noi, o Signore!".
Un grido, una preghiera; non la rassegnazione o il ripiegamento della sfiducia. Non si chiude in se stessa, ma si apre a Dio.
4) Ma cerchiamo di seguire il movimento degli occhi. Essi si alzano verso il Signore (versetto 1) e poi, come le immagini del versetto 2 esprimono, brillano di disponibilità, di attesa, di fiducia, di speranza. Questi occhi rivolti e fissi su Jahweh esprimono intensamente la radicale fiducia nel Suo amore e nella Sua volontà di ascoltare il gemito di chi soffre. Ci si attende tanto, tantissimo dalla "mano" (versetto 2) di Jahweh e, nello stesso tempo, si vuole restare disponibili ai Suoi cenni, al compimento della Sua volontà.
5) Occhi che attendono, fissano, si rivolgono, guardano. Perché tutto questo e fino a quando? La risposta è una sola, ben netta, precisa: "I nostri occhi non Ti mollano un momento, o Jahweh, finché Tu non avrai pietà di noi" (versetto 2). Sono occhi che cercano una breccia per penetrare nel cuore di Dio e. . .costringerlo ad avere misericordia, a prendersi cura di chi è oppresso e beffato. Una vera fiducia non può che essere una fiducia ostinata, che assedia Dio.
Gli antichi dicevano che questo salmo potrebbe essere definito il "canto dell'occhio di chi spera". Vorrei dire che esso è il salmo degli occhi perché questi "occhi che puntano verso Dio" costituiscono un segno efficacissimo della fede per tutte le donne e tutti gli uomini che guardano il cielo, cioè si rivolgono a Dio, non per "saltare" o evadere dalle responsabilità, ma per abitare la terra con speranza anche nelle ore più desolate.
6) I nostri occhi sono un pezzo del nostro cuore. Perché essi possano illuminare i nostri sentieri sulla terra hanno bisogno di sollevarsi spesso verso il cielo. Perché i nostri cuori non siano inchiodati al gelo di certe ore della terra rimane fondamentale che i nostri occhi sappiano prendere la direzione del cielo.
Gesù ci ha inoltrati su un sentiero in cui non esiste divorzio tra terra e cielo.
7) Jahweh, Dio, Signore: anch'io alzerò i miei occhi a Te. Lo so che Ti piace giocare con le nuvole e mescolarTi con le galassie. Ti nascondi e Ti sottrai alle nostre "ricerche". Ma...io consumerò i miei occhi a guardare verso di Te...e Tu sei un Dio che non ce la fa a fuggire lontano da noi, sei il Dio innamorato dell'umanità e di tutto il creato.

Franco Barbero