POVERI
CAPPELLANI MILITARI, STIPENDI DA FAME
di
Paolo
Fantauzzi -
26 luglio 2017
http://www.labottegadelbarbieri.org/poveri-cappellani-militari-stipendi-da-fame/
una
media di 50mila euro all’anno (da un articolo di un anno fa,
sull’Espresso) – come si porta avanti una famiglia con uno
stipendio da fame?
Quanto
ci costi cappellano: ecco gli stipendi d’oro dei preti militari –
Paolo Fantauzzi
L’arcivescovo
Santo Marcianò Papa Francesco la sua opinione l’ha fatta
conoscere da tempo: per assistere spiritualmente i soldati, in
caserma e nelle missioni all’estero, non servono sacerdoti coi
gradi. Anche il buonsenso del pontefice, però, rischia di
infrangersi davanti a una questione che si trascina da anni fra
resistenze fortissime: l’equiparazione dei cappellani
militaria ufficiali delle Forze armate in virtù di una legge
del 1961 .
Sacerdoti-colonnello,
tenente o capitano che possono aspirare a diventare generali e hanno
diritto a retribuzioni dorate, indennità di ogni tipo,
avanzamenti automatici di carriera e una serie di benefit assai
lontani dall’idea della Chiesa povera tanto cara al papa venuto
dalla fine del mondo. Un assoluto centro di comando “anfibio”,
metà religioso e metà temporale, che fa parte a tutti gli effetti
dello Stato italiano, ha rapporti diretti col Quirinale (che nomina
per decreto i cappellani), il ministro della Difesa e il potere
politico e che alla consolidata felpatezza vaticana unisce il rigore
proprio della gerarchia militare.
Un
universo che è un viatico per fulgide carriere, come mostra il caso
del cardinale Angelo Bagnasco, divenuto noto con la celebrazione
dei funerali dei solati caduti in Afghanistan e Iraq e approdato dopo
appena tre anni al vertice della Cei.
CARO
CURATO
Nel
2015 fra effettivi e “di complemento”, realtà abolita da anni
per gli ufficiali, solo di stipendi i 205 cappellani sono
costati oltre 10 milioni di euro, un terzo in più di appena due
anni prima. E chissà che direbbe il Papa, che puntualmente tuona
contro l’arricchimento del clero, se sapesse che
l’arcivescovo Santo Marcianò, che lui stesso ha nominato
ordinario nel 2013, in virtù dell’equiparazione a generale di
corpo d’armata può contare su 9.545 euro lordi al mese, che
con la tredicesima diventano 124mila l’anno.
Il
ruolo di vicario generale, assimilabile a generale di divisione, ne
garantisce 108mila, mentre gli ispettori (generali di brigata)
arrivano a 6mila al mese. Altri due milioni costa il funzionamento
della diocesi, ovvero l’ Ordinariato,
che ha sede a Monti, alla salita del Grillo, in uno stupendo
complesso con vista sui Fori, e dispone pure di un seminario
equiparato ad accademia nella cittadella militare della Cecchignola.
Cifre alle quali aggiungere almeno 7 milioni per pagare le
pensioni, che grazie ai cospicui contributi previdenziali si aggirano
in media attorno ai 3mila euro al mese. Impossibile però conoscere
cifre esatte per questi dipendenti pubblici: l’Inpdap non è in
grado di fornire un dato preciso.
Nel
complesso, dunque, l’assistenza spirituale alle Forze armate costa
alle casse pubbliche circa 20 milioni: tutti soldi, si badi
bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di euro che già annualmente
entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il
sostentamento del clero. Ma se lo stipendio di un prete è sui mille
euro, un cappellano come tenente parte dal doppio e a fine carriera,
da colonnello, può superare i 5mila.
Senza
contare gli innumerevoli bonus. Se il sacerdote dei parà si
butta col paracadute (in passato uno è stato perfino istruttore) ha
diritto all’indennità di lancio; quello della marina, se non è a
terra, all’indennità di imbarco. E poi, fra le tante, quella
di trasferimento, il rimborso per il trasporto del bagaglio personale
e dei mobili, l’indennizzo chilometrico per gli spostamenti. «E
siccome l’orario è quello d’ufficio, una celebrazione dopo le
16,30 viene considerata straordinario», spiega un cappellano che
chiede l’anonimato. Benefit già difficili da accettare per i
graduati, figurarsi per un ecclesiastico. Che quando va in missione
internazionale gode pure della relativa lievitazione della busta
paga. Forse anche per questo è sempre una stessa ristretta cerchia a
prendervi parte.
IL
BUON SOLDATO
Tanti
privilegi favoriscono il rampantismo e rischiano di distogliere
dalla missione evangelica. Come pure i ricorrenti casi di
cronaca, l’ultimo dei quali risalente ai giorni scorsi: un
cappellano dell’Aeronautica indagato dalla Procura di Pisa per
stalking verso un giovane aviere al quale chiedeva prestazioni
sessuali. Del resto della vita militare questo mondo dorato ha solo i
vantaggi: un concorso di accesso non c’è, le visite di idoneità
non sono affatto inflessibili e il sovrappeso, teoricamente motivo di
congedo forzato, non rappresenta un problema.
Ma
c’è pure chi vive con fastidio tanti benefit, perché compito di
un religioso è essere un buon pastore d’anime. O al massimo un
soldato sì, ma di Gesù, come ricorda nel nome il trimestrale
dell’Ordinariato “Bonus miles Christi”. Solo che la rivista,
spedita gratis alle istituzioni e pagata dal ministero della Difesa,
più che a un bollettino informativo assomiglia a una tribuna
dell’arcivescovo Marcianò. Con una sovraesposizione, anche
fotografica, che fra omelie, interviste e prefazioni supera non solo
gli spazi minimi relativi alle attività pastorali, ma pure quello
riservato ai discorsi del pontefice. D’altronde si tratta pur
sempre di un generale di corpo d’armata, per quanto in abito
talare.
RIFORMA
O NO?
Ma
se lo Stato è laico, perché non togliere i gradi ai cappellani
e far provvedere direttamente al Vaticano? Se ne parla da anni. «La
Chiesa è pronta da ieri, non da domani», ha assicurato a Radio
radicale nel 2013 il vicario generale, monsignor Angelo
Frigerio. «Senz’altro, basta trovare formule alternative», ha
ribadito nel 2014 Marcianò. «In tempi brevi si giungerà a una
soluzione», ha garantito a inizio 2015 padre Federico Lombardi,
direttore della Sala stampa.
Malgrado
gli annunci, il tavolo bilaterale si è insediato solo lo scorso
gennaio e ci sono voluti altri due mesi per la seconda riunione. Il
rischio delle calende greche, insomma, è concreto, anche perché
l’Italia si è seduta al tavolo senza nemmeno presentare una
proposta e ha schierato la stessa squadra che si occupa del
Concordato, notoriamente assai vicina alla Santa Sede. Inoltre tre
membri su sei sono anche nella commissione che dovrebbe rivedere il
meccanismo dell’8 per mille, mai toccato nonostante le ripetute
critiche della Corte dei conti per l’eccessivo vantaggio che deriva
alla Cei dalla modalità di ripartizione dei soldi.
Solo
casualità? Di certo il tema scotta: da quando la Chiesa ha meno voce
nella scelta dei docenti di religione, le Forze armate sono l’unico
appiglio rimasto. Per questo il Vaticano, dietro l’apparente
disponibilità, non molla. «La nomina dei tre ispettori-generali di
brigata per l’esercito, la finanza e i carabinieri è stata sospesa
dalla Difesa in vista della riforma. Sulla carta ci sono ma di fatto
no, quindi la nostra spending review ce l’abbiamo già»,
dice all’Espresso Frigerio, che da ex sindacalista Cgil (in
gioventù era elettricista) guida la commissione d’Oltretevere.
Parole
non casuali, perché proprio questa sarà la linea del Piave per la
Santa Sede: riservare il grado di generale solo all’ordinario
militare ma lasciando tutto il resto così com’è. Equiparazione
con gli ufficiali e benefit compresi. Risparmio stimato: 350 mila
euro, il 3 per cento appena. Non proprio un gran sacrificio.