Uno
studio a livello europeo pubblicato
da GayTimes
rivela che, tra gli omosessuali che non hanno subito episodi di
omofobia a scuola, c’è una percentuale doppia di coloro che si
definiscono “straight
acting“,
che tradotto significa “apparentemente
etero”.
Il problema è che all’interno di questo gruppo il
57% pensa che gli effeminati diano ai gay una “cattiva
reputazione”.
Pensiamoci
un momento: più di metà degli uomini gay che si definiscono
“apparentemente etero” (o per come si comportano socialmente o
per l’impegno che ci mettono a convincere la gente che non sono
omosessuali) credono che gli effeminati rovinino la loro reputazione
all’interno di una società anch’essa eteronormata. È
inquietante notare che il 35% degli intervistati si
identifica più con la comunità eterosessuale che con la comunità
gay.
L’autore
della ricerca, Cal
Strode ha
trovato il risultato interessante: “Tutti
cerchiamo di avere una concezione positiva di noi stessi e vogliamo
credere che il gruppo a cui apparteniamo si distingua dagli altri, ma
se questo non accade, secondo le teorie sociologiche sull’identità,
o ci sentiamo costretti a migrare verso un altro gruppo con uno
status percepito più alto o combattiamo per cambiare i valori che
identificano il gruppo in cui siamo“.
Ma
cosa succede per gli uomini gay definiti effeminati dagli altri
gay? “Gli
effeminati si trovano nel mezzo di una battaglia che gli uomini
‘apparentemente etero’ hanno con loro stessi“,
spiega Cal. “Il
modo in cui gli uomini gay si presentano agli altri non è mai stato
così visibile come in questi giorni, grazie ad app di incontri come
Grindr. Questo rende evidente come esista un problema
di rifiuto della femminilità,
ed è su questo che bisogna lavorare. Non serve a niente demonizzare
le persone che si definiscono straight acting, ma dovremmo convincere
loro a capire se parlano da una posizione di omofobia interiorizzata
o da una posizione di privilegio data dall’accettazione
sociale. Non
possiamo pretendere che tutti gli omosessuali abbiano una
comprensione accademica dell’oppressione,
del privilegio e del ruolo che giocano nella quotidianità riguardo a
questi aspetti,
ma comunque bisogna trovare un modo di dialogare con tale convinzioni
e abbattere gli stereotipi“.
Non
si tratta di un fenomeno nuovo, visto che questo è un meccanismo
molto presente nelle minoranze. Spesso si vedono tentativi
di migrazione verso identità percepite come appartenenti ad uno
status sociale più altro,
anche se questa è un’opzione possibile solo quando i confini tra i
due gruppi, quello di partenza e di arrivo, sono veramente
permeabili. Nei latini si verifica con il cambio dei nomi, per
esempio con molti Juan che
diventano John agli
uffici anagrafe.
“Gli
uomini che passano come ‘apparentemente etero’ hanno meno
difficoltà nella vita a mescolarsi con gli uomini etero e quindi
hanno più probabilità di sfuggire alle discriminazioni che gli
altri gay subiscono.
Molto omofobia , interiorizzata e non, si basa sul maschilismo e
sulla ‘femofobia’: la
repulsione per tutte le cose femminili o percepite come femminili, in
quanto considerate deboli. Anche nelle chat gay il diffondersi di
termini ipermascolini come ‘dude’ o ‘bro’ è sintomatico“,
afferma Fernando
Lopez,
esperto di storia LGBT e presidente del San Diego Pride.
Una
buona parte della responsabilità è anche dei media, che con la iper
esposizione di uomini percepiti come caricature mascoline
contribuiscono a stigmatizzare una condizione diversa di
omosessualità.
Fonte:
www.gay.it