venerdì 4 agosto 2017

Ho sposato Franco e adesso sogno un centro per anziani gay

A sei mesi dalla morte del suo amato Franco, Gianni Reinetti, il protagonista della prima unione civile di Torino, sente la solitudine di chi ha perso il proprio compagno con il quale aveva condiviso oltre cinquant'anni di vita. Anche per questo guarda con interesse all'idea di organizzare un centro d'incontro per anziani gay. A Roma, con il supporto di alcune associazioni Lgbt, stanno lavorando per costruire una casa di riposo gay o una sorta di comune omosex, un progetto che Reinetti pensa si possa realizzare a Torino: «So cos'è la solitudine alla soglia degli 80 anni e molte volte sarebbe bello incontrarsi per scambiare anche solo quattro chiacchiere insieme a dei coetanei - racconta -. La proposta lanciata a Roma mi piace, sono contento soprattutto perché l'aiuto e la vicendevole compagnia è una cosa molto bella. Chissà se anche a Torino sarebbe bello poter creare una realtà del genere, io sono pronto a collaborare e fare ciò che posso. In questi mesi ho sentito tanto la solitudine, perdere un compagno dopo 52 anni è una ferita enorme, ma vado avanti insieme all'aiuto di tanti amici e tanto affetto che mi circonda. Penso però a quanti sono soli e molte volte hanno paura di vergognarsi a loro dico di non averne».
Reinetti vorrebbe che a occuparsene fossero anche le istituzioni: «Spero che la sindaca Chiara Appendino e 1'assessore Marco Giusta possano convocare un tavolo che coinvolga sia le associazioni che si occupano di diritti Lgbt che quelle che si occupano di anziani per provare a creare qualcosa insieme».  Lui non ha bisogno di una casa di riposo, né pensa che questa sia la soluzione migliore: «Ho conosciuto tante persone omosessuali anziane e con molti di loro sono rimasto amico - continua - Io però non definirei questa cosa un ghettizzare, bensì un modo per condividere un po' di serenità e portare avanti attività comuni».  
In questi giorni Reinetti ha seguito con attenzione la vicenda di Nichelino, dove è stato distribuito ai ragazzi dei campi estivi un libro di don Paolo Gariglio dove si parla di omosessualità come «malattia». Al funerale religioso di Franco, nel gennaio scorso, il prete ebbe parole molto diverse: «Don Carrega ci disse grazie per aver resistito tutti questi anni - ricorda - Non capisco quale sia la chiesa, se quella che ho incontrato io quel giorno e tante altre volte o quella di Nichelino di questi giorni. Il fatto che ci sia ancora qualcuno che nel 2017 parla di malattia per descrivere l'omosessualità mi sembra assurdo».
Jacopo Ricca

(la Repubblica 26 luglio)