lunedì 14 agosto 2017

La fabbrica di bombe divide la Sardegna: "Senza la guerra restiamo disoccupati"

Domusnovas (Cagliari). Il carasau, il pecorino o il mirto, con questo piccolo miracolo economico, non c'entrano nulla. Il dato però è chiaro. Nella tabella delle esportazioni c'è un segno positivo che salta agli occhi ed è quello sugli scambi tra Sardegna e Arabia Saudita. Ma non è delle produzioni di eccellenza che gli arabi sono diventati improvvisamente ghiotti.
A rafforzare i rapporti commerciali tra l'isola e i sauditi è la guerra: il principale prodotto di scambio sono le bombe. Un affare che non conosce crisi. E infatti per il 2017, gli accordi puntano alla crescita con un contratto già firmato che vale 411 milioni.  

Le bombe tedesche  
In un paese in cui perdono il lavoro persino gli infermieri di una clinica privata, nel cuore di una provincia in cui l'economia va a rotoli da dieci anni, il fatturato delle esportazioni cresce a dismisura. La spiegazione a tutto si trova a 4600 chilometri di distanza. Per capire il fenomeno, e interpretare la polemica che da queste parti infiamma gli animi da mesi, è necessario spostare lo sguardo da Domusnovas verso lo Yemen, dove l'Arabia Saudita sgancia bombe dal 19 marzo del 2015. Le micidiali Mk83 recuperate dalle organizzazioni internazionali tra le case sventrate e vicino agli ospedali rasi al suolo arrivano dalla Sardegna, dallo stabilimento che la tedesca Rwm (che ha un'altra sede a Brescia) gestisce nelle campagne di questo paese. Affari d'oro e prospettive di crescita. Con un progetto che ha sollevato il grande interrogativo: «Sposiamo il business della guerra per non rischiare altri disoccupati? - riflette un'anziana all'uscita della chiesa -. Io sogno un mondo di pace, ma anche noi viviamo come se fossimo bombardati: guardi la devastazione che c'è qui intorno, tutto chiuso, tutti senza lavoro».  

La guerra che dà lavoro  
Il sindaco Massimiliano Ventura ha la risposta pronta: «L'azienda vuole crescere, anzi raddoppiare, e noi non possiamo ostacolarla. Con l'ampliamento dell'impianto ci sarebbe anche un raddoppio dei posti di lavoro e qui invece stiamo ipotizzando di bloccare il progetto. Mi pare una follia, una specie di suicidio. Pensiamo forse di bloccare così il bombardamento in Yemen? Io detesto la guerra, ma anche la disoccupazione. E quindi, se devo dirla tutta, penso prima di tutto al problema mio e dei miei compaesani».
Fosse per il Comune di Domusnovas, dunque, il raddoppio della fabbrica delle bombe si farebbe domani. Ma la decisione spetta alla vicina Iglesias, che ha giurisdizione sugli ettari in cui i tedeschi vorrebbero realizzare quello che nel progetto viene definito «campo prove». «Non sarà uno spazio per fare test esplosivi: non ci saranno esplosioni», rassicura Gigi Rubiu, consigliere regionale dell'Udc e consigliere di minoranza a Iglesias. «Per noi questa battaglia è imbarazzante, me ne rendo conto, ma stiamo solo difendendo i posti di lavoro - dice Rubiu -. Tra l'altro la Rwm non fornisce solo bombe all'Arabia Saudita, ma è anche fornitore della Difesa italiana. Le bombe, per chi non lo sapesse, hanno una scadenza e gli Stati hanno l'obbligo di rinnovare periodicamente gli armamenti anche se non sono in guerra».  

Ordine del giorno pilatesco  
Il Consiglio comunale di Iglesias, che dovrebbe concedere il permesso per il nuovo progetto, per ora ha solo approvato un ordine del giorno che sembra scritto da Ponzio Pilato: «Facciamo di tutto per salvare i posti di lavoro ma chiediamo alla Rwm di convertire la sua attività». Il primo cittadino di Domusnovas per questo s'infuria e si scaglia con i vicini di casa: «Cosa vogliamo che faccia una multinazionale delle armi? Che da un giorno all'altro si metta a produrre dolcetti?».  
Davanti allo stabilimento della Rwm, nella zona di Matt'e Conti, i comitati contro la guerra piazzano striscioni e bandiere ogni fine settimana e ora sono in campo per fermare quello che considerano «un business sporco di sangue». Il segretario regionale della Cgil preferirebbe non rispondere alla domanda principale di questo dibattito: «Non è possibile dire se stiamo dalla parte delle bombe o del lavoro - dice Michele Carrus -. Io vorrei che l'azienda continuasse a lavorare ma impedirei di vendere le sue bombe all'Arabia Saudita, un Paese che porta avanti una guerra condannata dall'Onu e dall'Unione europea. Lo prevede la nostra Costituzione, ma il governo non interviene».
Ai cori dei comitati pacifisti rispondono i clienti del bar di via Cagliari, quello che di fatto è il principale luogo di ritrovo del paese. «A colpi di proteste, una volta ambientaliste e una volta antimilitariste, qui si è chiuso tutto - urla Francesco Manconi -. Se continuiamo a fare queste polemiche la Rwm chiuderà tutto e noi ci mangeremo le mani. Come è già successo». «Una cosa è certa - attacca Gianluigi Mastinu - se fermiamo questa fabbrica, le stesse bombe verranno prodotte altrove. La guerra non finirà e noi continueremo a campare di pensioni e cassa integrazione».  
Nicola Pinna

(La Stampa, 2 agosto)