Nella
mia parrocchia “fantasma”
(Giovanni
Giorgis)
Il
campanile della chiesa di Prato Nevoso è a scivolo quasi per
giustificare il fatto che l'edificio sia accovacciato sul dorso della
montagna che sale alla punta Malanotte, dirimpetto al Mondolè e alle
piste innevate che hanno offerto l'occasione al nascere, venticinque
anni fa, di una città “fantasma”, che compare e scompare a
seconda delle stagioni dell'anno, e che sembra tutta e soltanto
regolata dalla frenesia dello sporto sciistico.
Al
sabato sera e alla domenica, durante l'inverno e nei due mesi estivi
un poco frequentati, luglio e agosto – negli altri periodi “morti”
una messa festiva è più che sufficiente a raccogliere le cinque o
dieci persone che rimangono in paese – quando mi accingo a premere
la levetta che consente alle campane di far sentire il loro richiamo,
sono preso dalla gioia di poter avere qualcuno in più a condividere
l'Eucarestia. Ma mi prende anche, quasi sempre, un segreto affanno,
perché mi ritorna in mente una poesia di Trilussa.
La
campana della chiesa
Che
sono a fa' – diceva una Campana -
Da
un po' de tempo in qua, c'è tanta gente
che
invece d'entrà drento s'allontana.
Anticamente,
appena davo un tocco
la
Chiesa era già piena;
ma
adesso ho voja a fa' la canoffiena
pe'
chiamà li cristiani cor patocco!
Se
l'omo che me sente nun me crede
che
diavolo dirà Dommineddio?
Dirà
ch'er sono mio
nun
è più bono a risvejà la fede.
-
No, la ragione te la spiego io:
-
je disse un Angeletto
che
stava in pizzo ar tetto -
nun
dipende da te che nun sei bona,
ma
dipenne dall'anima cristiana
che
nun se fida più de la Campana
perché
conosce quello che la sona.
(Trilussa)