domenica 22 ottobre 2017

Gesù non è morto per espiare i nostri peccati

Nel periodo pasquale sentiamo ripetere una formula liturgica che, in realtà, ritorna molto spesso nelle celebrazioni sia cattoliche che protestanti: "Gesù è morto per i nostri peccati", "Gesù vittima di espiazione", "agnello di Dio", Dio ha deciso la sua morte per la nostra salvezza.
Oltre quarant'anni fa, a seguito di tanti studiosi e studiose della Bibbia, documentai il senso, il contesto, il linguaggio e la teologia che dettero corpo a questa formula e perché oggi essa risulti teologicamente inutilizzabile. Nel mio libro "L'ultima ruota del carro"(2001) presentai più approfonditamente la genesi di tale teologia che rende maturi i tempi per abbandonarla.
1) Intanto la morte di Gesù fu la conseguenza delle sue scelte "politiche", culturali e religiose. Si schierò dalla parte dei poveri e del Dio della loro liberazione. I poteri non potevano perdonargli questa libertà sovversiva. Rispettiamo la verità storica.
2) Fare di Dio un giudice, un contabile, un ragioniere che cerca di "saldare il conto dei peccati umani", designando il Suo inviato, il "figlio" come vittima designata alla morte per "pareggiare" debito e espiazione, significa stravolgere il volto di Dio.
3) La teologia del capro espiatorio cancella totalmente la realtà del Dio che ci ama gratuitamente, che vuole conversione e non espiazione.
È difficile per noi accogliere la novità dell'amore gratuito e in tutte le tradizioni religiose le categorie della contrattualità proiettano spesso su Dio concezioni e comportamenti umani, sovente anche segnati dalla cultura patriarcale e sacrificale.
4) Mentre nelle origini cristiane si trovano molti modi e non esiste un modello interpretativo unico ed esclusivo per interpretare la morte di Gesù, lentamente, come la "divinizzazione" di Gesù, la concezione espiatoria divenne progressivamente quella principale, quasi unica. Quando una interpretazione diventa dogma, siamo ormai alla prevalenza ideologica.
5) Oltre a trasformare l'immagine di Dio o renderlo sadico e tutto dedito a verificare che i conti della sua "santità e dignità divina" siano a posto (la dottrina anselmiana della satisfactio), questa ideologia oscura e cancella il percorso di ricerca appassionato e di fedeltà a Dio e ai poveri che caratterizzò tutta l'esistenza storica del nazareno che amò, che scelse di amare fino alla fine. Che non si fermò nemmeno di fronte alla condanna a morte. Di questo la sua morte ci dà testimonianza; in questo senso la sua morte ci parla ancora, è per noi una testimonianza che non cesserà mai di chiamarci sulla strada della fedeltà a Dio e ai poveri.
6) Da questa ideologia espiatoria una diffusa spiritualità cristiana ha tratto conseguenze drammatiche: "Ho sbagliato, ho peccato: dovrò espiare". Per molte vite questa deviazione diventò così perversa che essere cristiani/e si concentrò sull'espiazione dei propri errori e dei "peccati del mondo". Così la fede abbracciò il destino della sofferenza, di un rapporto con Dio privo della gioia del suo amore gratuito. Qualcuno si permise di suggerire di "espiare per le anime del Purgatorio". È la storia della mistica del potere.
7) Coraggio: eliminiamo questa "bestemmia" dalle nostre liturgie, dal Catechismo della Chiesa cattolica che ne fa un dogma. Però esprimiamo con piena convinzione di fede la nostra gratitudine a Dio: "In Gesù ci hai dato il testimone umano del Tuo amore, un amore che sa dare la vita per un mondo di fratelli e sorelle. Tutti ci spingi a camminare in questa direzione. Per questo la morte di Gesù ci parla ancora e ci indica la strada della fedeltà a Te, Dio della giustizia, e la strada della solidarietà con gli ultimi/e della carovana.

Franco Barbero