lunedì 23 ottobre 2017

UNA SVOLTA TEOLOGICA: IL PLURALISMO


PAUL KNITTER. Nessun altro nome?, Queriniana, Brescia 1991, pagg. 288, £.26.000.

L'opera, che compare solo ora in lingua italiana solo nel 1991 ha visto la luce in America ben 30 anni fa.
Il teologo cattolico, Autore di questo volume, ha al suo attivo una produzione di grane spessore e di profonda dirompenza. Il sottotitolo esprime bene l'orizzonte in cui si muove la ricerca: “Un esame critico degli atteggiamenti cristiani verso le religioni mondiali”. Nel volume “Oltre la confessione” (Ed. Tempi di Fraternità, Via Garibaldi 38 – 10122 TORINO), da me curato parecchi anni or sono, segnalavo la ricerca di Paul Knitter che la rivista internazionale di Teologia Concilium aveva proposto ai suoi lettori. Lo stesso Concilio Vaticano II, di cui siamo soliti sentire lodi enfatiche, abitava ancora fuori dalla prospettiva in cui si muovono le più recenti ricerche di Paul Knitter e John Hick di cui mi occupai 30 anni fa.
Ritengo che il presente saggio teologico rappresenti una provocazione ed una proposta destinate a sconvolgere l'orizzonte in cui si pensano e si muovono ancora molte chiese cristiane e non solo esse.
Infatti, veniamo (un po' tutti!) da esperienze la cui concezione fondamentale consisteva nel sentirsi al centro del “progetto” di Dio, al punto più alto della Sua manifestazione. Anzi, le chiese cristiane sono giunte ad elaborare una teologia che escludeva ogni possibilità salvifica fuori dai propri confini. Il funesto e celebre “fuori della chiesa non c'è salvezza” si caricò progressivamente di una valenza assoluta e dogmatica.
Anche quando si rifiutò questa posizione rigidamente esclusivista, non si fu in grado di andare oltre una concezione che vedeva nella propria esperienza la pienezza e la superiorità 'salvifica' mancante nelle altre.
Anche l'elaborazione del cristianesimo anonimo, oggi vigorosamente criticata per la sua radicale ambiguità, rimaneva prigioniera di una concezione che ha fatto del cristianesimo l'unico 'luogo' della rivelazione piena e perfetta dell'azione di Dio. L'unicità di Cristo, affermata come assoluta e normativa, ha fatto del cristianesimo una religione in cui il dialogo veniva concepito primariamente in funzione della conversione degli altri alla nostra esperienza, presupponendo la superiorità del cristianesimo rispetto alle altre religioni. Esse, nella migliore delle ipotesi, avevano il compito di 'condurre' le persone ad incontrare la fede cristiana, svolgendo una funzione nobile, cioè quella di preparare la strada al cristianesimo.
A questo punto, adempiuto il loro compito e assolta la loro funzione, potevano scomparire. La teologia cristiana, cattolica-ortodossa e protestante delle religioni si appresta a salutare definitivamente questo orizzonte per entrare in una stagione in cui la propria identità e valenza non verranno più affermate in contrapposizione o in competizione 'salvifica con altre identità religiose?
E' troppo presto per dirlo, in un tempo in cui esistono molti elementi che inclinano e spingono in questa direzione, ma sono anche ben visibili le tracce di nuove e antiche rigidità ecclesiastiche non solo in campo cattolico. Non è ancora penetrato nella profondità dei cuori il detto sapienziale di tutta evidenza: “Male onora la propria religione chi se ne serve per denigrare quella di un altro” (citato da Eugen Drewermann in Io discendo nella barca del sole, Rizzoli, pag. 75). Direi di più: il cammino su questa strada sarà presumibilmente molto lungo e difficile perché non abbiamo ancora imparato a distinguere accuratamente tra Dio, la Sua salvezza, le singole religioni come semplici vie di salvezza.
40 anni fa (in Essere semplici è possibile?.Editrice Tempi di Fraternità) scrivevo: “Ci sarà, forse, richiesta una grande apertura ed una profonda ridiscussione di tante nostre convinzioni e impostazioni. Certe nostre presunte e scontate “centralità” saranno forse messe in crisi. Come si confronterà il cristocentrismo cristiano con il teocentrismo delle fedi sorelle, a partire dall'ebraismo e dall'islamismo? Mettere Dio al centro, e non la nostra particolare religione, porterà qualche problema in tutti noi, piuttosto avvezzi a credere che il centro del mondo siamo proprio noi... e tutti gli altri, al più costituiscono la periferia!
Probabilmente noi cristiani dobbiamo ancora imparare a riconoscere con molta semplicità, che l'unico Dio è più grande anche del cristianesimo. Gesù l'aveva capito; noi cristiani non ancora” (pag.99, op.cit.).
Per cogliere lo spessore teologico delle riflessioni di Paul Knitter può essere utile tutta la riflessione che in questi anni è esplosa, specialmente in area cattolica, per opera di Edward Schillebeeckx e Hans Kung. Il teologo fiammingo è particolarmente esplicito: “La teologia è qualcosa di più della cristologia... Lo stile di vita di Gesù non è l'unica che conduce a Dio. Gesù stesso, infatti, non solo rivela Dio, ma lo nasconde pure. In quanto uomo, Gesù è una persona storica contingente che non rappresenta affatto tutte le ricchezze di Dio... Il Vangelo ci proibisce, dunque, di parlare di imperialismo ed esclusivismo religioso cristiano.
Gesù è un 'evento contingente' che non può escludere o negare altre vie che conducono a Dio... Dio non si è rivelato in modo esclusivo ed esauriente in Gesù Cristo...” (in Perché la politica non è tutto, Queriniana, pagg. 9-15). Se comprendiamo che esiste una distanza invalicabile tra la realtà di Dio e il modo con cui noi ne parliamo, tra la Sua salvezza e il modo con cui noi riusciamo a comprenderla e se non pretendiamo di esaurire la storia della salvezza nei confini del fatto religioso, allora ci diventa possibile lodare quel Dio che sa operare, nel Suo amore e nella Sua libertà, su sentieri per noi impraticabili e sconosciuti.
Paul Knitter condivide fino in fondo l'affermazione che la “testimonianza degli autori neotestamentari è cristocentrica, ma Gesù Cristo è teocentrico” (pag. 106). “La missione e la persona di Gesù furono profondamente incentrate sul regno, il che significa incentrate su Dio... Ma se il messaggio di Gesù fu teocentrico, il messaggio del Nuovo Testamento è in larga misura e innegabilmente cristocentrico. Dopo la sua morte e resurrezione il proclamatore divenne il proclamato. Il punto focale si spostò” (pag. 132). Se Gesù rimase sempre profondamente teocentrico, “ogniqualvolta la cristologia lo dimentica, apre la coscienza cristiana ad un “cristocentrismo miope”, ad una “gesuologia”, ad un riduzionismo che assorbe Dio in Gesù. Il cristocentrismo senza il teocentrismo diventa facilmente un'idolatria che non offende solo la rivelazione cristiana, ma anche la rivelazione reperibile in altre fedi” (pag. 13). Con grande acume e competenza l'Autore ripercorre, dentro i linguaggi esclusivisti ed assolutisti del cristocentrismo neotestamentario, le motivazioni che possono aver prodotto tali usi linguistici e concettuali. Si tratta di linguaggi dell'amore, della testimonianza, della confessione di fede di chi, incontrando l'esperienza e la persona di Gesù, l'ha vissuta come radicale esperienza della propria vita. Ma, ovviamente, questi e simili linguaggi vanno decodificati, interpretati, letti dall'interno di quel contesto storico e culturale, dall'interno di quella “svolta vitale” di cui sono testimonianza. Sono pagine (da 130 a 190) che si leggono con singolare utilità. Esse forniscono non pochi stimoli per l'interpretazione di quei passi delle scritture cristiane in cui l'esclusivismo cristologico suona più radicale. L'Autore offre in queste pagine un raro esempio dell'utilizzo del metodo storico – critico. Vorrei, però, aggiungere che forse l'Autore avrebbe potuto offrirci, sulla scorta degli strumenti di cui dispone, qualche esempio di lettura dei passi più “esclusivisti” delle scritture cristiane.
Questo volume può essere letto con grande utilità, se si conoscono con una certa esattezza i vocaboli usati. Teocentrismo significa mettere al centro Dio mentre cristocentrismo allude a quella teologia che mette al centro Gesù Cristo. Si noti, però, che noi oggi, dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, siamo incredibilmente scivolati all'indietro verso quella forma religiosa tipicamente cattolica che si chiama “ecclesiocentrismo”. L'ecclesiocentrismo è quella deformazione che si è venuta imponendo dentro molte esperienze cristiane per cui al centro sta la chiesa (non più Dio), come istituzione e come apparato di 'potere salvifico' e sacramentale. La chiesa cattolica, specialmente nella sua strutturazione gerarchica che condiziona largamente tutto il tessuto comunitario, è la dimostrazione di quanto sia diffusa questa patologia ecclesiocentrica. Non si può leggere quest'opera senza essere rimandati alla riflessione teologica di John Hick, Stanley Samarha e altri. Per alcuni aspetti il pensiero corre alle elaborazioni di Jung Young Lee, teologo coreano, che ha tentato una cristologia in dialogo con il taoismo. Questo è il momento in cui, lungi dal perdere il senso della nostra identità cristiana, la possiamo riscoprire il tutta la sua 'bellezza' in un orizzonte pluralistico. Raccomando più che vivamente la lettura di questo volume che, tra l'altro, offrirà non pochi stimoli per l'approfondimento dei nostri metodi di lettura biblica.
L'editrice Cittadella ha poi pubblicato due preziosi volumi delle stesso Autore: “L'unicità cristiana: un mito?” (1994) e “Una terra molte religioni” (1998). Queste opere approfondiscono la ricerca del precedente volume.
Franco Barbero 1992