PAUL
KNITTER. Nessun altro nome?, Queriniana, Brescia 1991, pagg.
288, £.26.000.
L'opera,
che compare solo ora in lingua italiana solo nel 1991 ha visto la luce in America
ben 30 anni fa.
Il teologo cattolico, Autore di questo volume, ha al
suo attivo una produzione di grane spessore e di profonda dirompenza.
Il sottotitolo esprime bene l'orizzonte in cui si muove la ricerca:
“Un esame critico degli atteggiamenti cristiani verso le religioni
mondiali”. Nel volume “Oltre la confessione” (Ed. Tempi di
Fraternità, Via Garibaldi 38 – 10122 TORINO), da me curato
parecchi anni or sono, segnalavo la ricerca di Paul Knitter che la
rivista internazionale di Teologia Concilium
aveva proposto ai suoi lettori. Lo stesso Concilio Vaticano II, di
cui siamo soliti sentire lodi enfatiche, abitava ancora fuori
dalla prospettiva in cui si muovono le più recenti ricerche di Paul
Knitter e John Hick di cui mi occupai 30 anni fa.
Ritengo
che il presente saggio teologico rappresenti una provocazione ed una
proposta destinate a sconvolgere l'orizzonte in cui si pensano e si
muovono ancora molte chiese cristiane e non solo esse.
Infatti,
veniamo (un po' tutti!) da esperienze la cui concezione fondamentale
consisteva nel sentirsi al centro
del “progetto” di Dio, al punto più alto della Sua
manifestazione. Anzi, le chiese cristiane sono giunte ad elaborare
una teologia che escludeva
ogni possibilità salvifica fuori dai propri confini. Il funesto e
celebre “fuori della chiesa non c'è salvezza” si caricò
progressivamente di una valenza assoluta e dogmatica.
Anche
quando si rifiutò questa posizione rigidamente esclusivista, non si
fu in grado di andare oltre una concezione che vedeva nella propria
esperienza la pienezza
e la superiorità
'salvifica' mancante nelle altre.
Anche l'elaborazione del
cristianesimo anonimo, oggi vigorosamente criticata per la sua
radicale ambiguità, rimaneva prigioniera di una concezione che ha
fatto del cristianesimo l'unico 'luogo' della rivelazione piena e
perfetta dell'azione di Dio. L'unicità di Cristo, affermata come
assoluta e normativa, ha fatto del cristianesimo una religione in cui
il dialogo veniva concepito primariamente in funzione della
conversione degli altri alla nostra esperienza,
presupponendo la superiorità del cristianesimo rispetto alle altre
religioni. Esse, nella migliore delle ipotesi, avevano il compito di
'condurre' le persone ad incontrare la fede cristiana, svolgendo una
funzione nobile, cioè quella di preparare la strada
al cristianesimo.
A questo punto, adempiuto il loro compito e assolta
la loro funzione, potevano scomparire. La teologia cristiana,
cattolica-ortodossa e protestante delle religioni si appresta a
salutare definitivamente questo orizzonte per entrare in una stagione
in cui la propria identità e valenza non verranno più affermate in
contrapposizione o in competizione
'salvifica con altre identità religiose?
E' troppo presto per dirlo,
in un tempo in cui esistono molti elementi che inclinano e spingono
in questa direzione, ma sono anche ben visibili le tracce di nuove e
antiche rigidità ecclesiastiche non solo in campo cattolico. Non è
ancora penetrato nella profondità dei cuori il detto sapienziale di
tutta evidenza: “Male onora la propria religione chi se ne serve
per denigrare quella di un altro” (citato da Eugen Drewermann in Io
discendo nella barca del sole, Rizzoli,
pag. 75). Direi di più: il cammino su questa strada sarà
presumibilmente molto lungo e difficile perché non abbiamo ancora
imparato a distinguere accuratamente tra Dio, la Sua salvezza, le
singole religioni come semplici vie di salvezza.
40
anni fa (in Essere semplici è possibile?.Editrice Tempi di
Fraternità) scrivevo: “Ci sarà, forse, richiesta una grande
apertura ed una profonda ridiscussione di tante nostre convinzioni e
impostazioni. Certe nostre presunte e scontate “centralità”
saranno forse messe in crisi. Come si confronterà il cristocentrismo
cristiano con il teocentrismo delle fedi sorelle, a partire
dall'ebraismo e dall'islamismo? Mettere Dio al centro, e non la
nostra particolare religione, porterà qualche problema in tutti noi,
piuttosto avvezzi a credere che il centro del mondo siamo
proprio noi... e tutti gli altri, al più costituiscono la periferia!
Probabilmente noi cristiani dobbiamo ancora imparare a riconoscere
con molta semplicità, che l'unico Dio è più grande anche
del cristianesimo. Gesù l'aveva
capito; noi cristiani non ancora” (pag.99, op.cit.).
Per
cogliere lo spessore teologico delle riflessioni di Paul Knitter può
essere utile tutta la riflessione che in questi anni è esplosa,
specialmente in area cattolica, per opera di Edward Schillebeeckx e
Hans Kung. Il teologo fiammingo è particolarmente esplicito: “La
teologia è qualcosa di più della cristologia... Lo stile di vita di
Gesù non è l'unica che conduce a Dio.
Gesù stesso, infatti, non solo rivela Dio, ma lo nasconde pure. In
quanto uomo, Gesù è una persona storica contingente che non
rappresenta affatto tutte le ricchezze di Dio... Il Vangelo ci
proibisce, dunque, di parlare di imperialismo ed esclusivismo
religioso cristiano.
Gesù
è un 'evento contingente' che non può escludere o negare altre vie
che conducono a Dio... Dio non si è rivelato in modo esclusivo ed
esauriente in Gesù Cristo...” (in Perché la politica
non è tutto, Queriniana, pagg.
9-15). Se comprendiamo che esiste una distanza invalicabile tra la
realtà di Dio e il modo con cui noi ne parliamo, tra la Sua salvezza
e il modo con cui noi riusciamo a comprenderla e se non pretendiamo
di esaurire la storia della salvezza nei confini del fatto religioso,
allora ci diventa possibile lodare quel Dio che sa operare, nel Suo
amore e nella Sua libertà, su sentieri per noi impraticabili e
sconosciuti.
Paul
Knitter condivide fino in fondo l'affermazione che la “testimonianza
degli autori neotestamentari è cristocentrica, ma Gesù Cristo è
teocentrico” (pag. 106). “La missione e la persona di Gesù
furono profondamente incentrate sul regno, il che significa
incentrate su Dio... Ma se il messaggio di Gesù fu teocentrico, il
messaggio del Nuovo Testamento è in larga misura e innegabilmente
cristocentrico. Dopo la sua morte e resurrezione il proclamatore
divenne il proclamato. Il punto focale si spostò” (pag. 132). Se
Gesù rimase sempre profondamente teocentrico, “ogniqualvolta la
cristologia lo dimentica, apre la coscienza cristiana ad un
“cristocentrismo miope”, ad una “gesuologia”, ad un
riduzionismo che assorbe Dio in Gesù. Il cristocentrismo senza il
teocentrismo diventa facilmente un'idolatria che non offende solo la
rivelazione cristiana, ma anche la rivelazione reperibile in altre
fedi” (pag. 13). Con grande acume e competenza l'Autore ripercorre,
dentro i linguaggi esclusivisti ed assolutisti del cristocentrismo
neotestamentario, le motivazioni che possono aver prodotto tali usi
linguistici e concettuali. Si tratta di linguaggi dell'amore, della
testimonianza, della confessione di fede di chi, incontrando
l'esperienza e la persona di Gesù, l'ha vissuta come radicale
esperienza della propria vita. Ma, ovviamente, questi e
simili linguaggi vanno decodificati,
interpretati, letti dall'interno di quel contesto storico e
culturale, dall'interno di quella “svolta vitale” di cui sono
testimonianza. Sono pagine (da
130 a 190) che si leggono con singolare utilità. Esse forniscono
non pochi stimoli per l'interpretazione di quei passi delle scritture
cristiane in cui l'esclusivismo cristologico suona più radicale.
L'Autore offre in queste pagine un raro esempio dell'utilizzo del
metodo storico – critico. Vorrei, però, aggiungere che forse
l'Autore avrebbe potuto offrirci, sulla scorta degli strumenti di cui
dispone, qualche esempio di lettura dei passi più “esclusivisti”
delle scritture cristiane.
Questo
volume può essere letto con grande utilità, se si conoscono con una
certa esattezza i vocaboli usati. Teocentrismo
significa mettere al centro Dio mentre cristocentrismo allude a
quella teologia che mette al centro Gesù Cristo. Si noti, però, che
noi oggi, dopo la pubblicazione del Catechismo della Chiesa
cattolica, siamo incredibilmente scivolati all'indietro
verso quella forma religiosa
tipicamente cattolica che si chiama “ecclesiocentrismo”.
L'ecclesiocentrismo è quella deformazione
che si è venuta imponendo dentro molte esperienze cristiane per cui
al centro sta la chiesa (non più Dio), come istituzione e come
apparato di 'potere salvifico' e sacramentale. La chiesa cattolica,
specialmente nella sua strutturazione gerarchica che condiziona
largamente tutto il tessuto comunitario, è la dimostrazione di
quanto sia diffusa questa patologia ecclesiocentrica. Non si può
leggere quest'opera senza essere rimandati alla riflessione teologica
di John Hick, Stanley Samarha e altri. Per alcuni aspetti il pensiero
corre alle elaborazioni di Jung Young Lee, teologo coreano, che ha
tentato una cristologia in dialogo con il taoismo. Questo è il
momento in cui, lungi dal perdere il senso della nostra
identità cristiana, la possiamo
riscoprire il tutta la sua 'bellezza' in un orizzonte pluralistico.
Raccomando più che vivamente la lettura di questo volume che, tra
l'altro, offrirà non pochi stimoli per l'approfondimento dei nostri
metodi di lettura biblica.
L'editrice
Cittadella ha poi pubblicato due preziosi volumi delle stesso Autore:
“L'unicità cristiana: un mito?” (1994)
e “Una terra molte religioni” (1998).
Queste opere approfondiscono la ricerca del precedente volume.
Franco Barbero 1992