sabato 18 novembre 2017

Dio come sorgente

Perché chiamo il Dio di Gesù con il nome di sorgente?

Essenzialmente per alcune ragioni che espongo qui con molta brevità.
In primo luogo a me sembra centrale nel messaggio biblico e nella esperienza di fede il fatto che noi stiamo davanti a Dio come il fiume davanti alla sua sorgente. Immagine tanto semplice quanto efficace. Vecchio e Nuovo Testamento pongono in Dio l'origine della vita, della liberazione, della speranza. In Gesù questa rivelazione si precisa e il Vangelo secondo Giovanni lo esprime a più riprese: «Io non sono venuto da me» (Giov. 7:28). Il circolo vitale di Gesù è chiaramente delineato in modo teologico: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre». La sua stessa preghiera è l'espressione di questo suo vivere al cospetto del Padre come il fiume che non dimentica la sua sorgente. Il discepolo, che entra ed assume la via di Gesù, non può non far sua questa ottica, questa coscienza profonda della creaturalità e della filialità.
Ma, in qualche modo almeno, è il Vecchio Testamento che, nella sua testimonianza del Dio liberatore e creatore, lo pone davanti ad Israele e a noi come l'inesauribile sorgente della vita e del cammino di liberazione del suo popolo. Il Deuteronomio lo esprime in maniera plastica al capitolo 30: se tu accogli la volontà di Dio, ti colleghi alla vita, ma se la rifiuti non avrai che morte. Nella particolare cultura del tempo, Dio viene visto come la fontana della vita e della libertà del suo popolo. Ma questo non è forse il messaggio che straripa da tutti i pori della Bibbia e che viene espresso molto spesso con l'immagine della fonte: «in te è la fonte della vita» (Salmo 36:9), «tutte le fonti della mia gioia sono in te» (Salmo 87:7), chi abbandona il Signore «abbandona la sorgente d'acqua viva» (Ger. 2:13 e Is. 58:11)? Il popolo del Signore che cosa dovrà fare se non «attingere con gioia acqua alle sorgenti della salvezza» (Is. 12:3) durante tutti i secoli e gli eventi della sua storia? Questo Dio dunque non è una sorgente genericamente intesa, ma è la sorgente prima ed inesauribile della vita intesa come dono ricevuto e come cammino da compiere nella speranza e nella costruzione della libertà.
Nella fede questo annuncio è oggi pieno di senso per due motivi. Dapprima è essenziale dire a noi stessi ed annunciare che le scaturigini sono fuori di noi, in Dio. Forse ci siamo chiusi nella prigionia di un orizzonte che non ci permette più di guardare a Colui dal quale la nostra vita discende. Certo questo è un dato che acquista spessore solo nell'ottica della fede che concepisce la vita come un fluire dei giorni al cospetto di Dio.
Ma ancor più l'attuale situazione storica mi spinge ad invocare il Dio di Gesù Cristo come una fresca sorgente di speranza e di forza, di profezia, di trasformazione della terra e di me stesso, di volontà di lottare e di resistere. Non mi vergogno di sentirlo come l'animatore della resistenza dei poveri, la loro forza storica. Il Dio che non si identifica con noi, si mescola perè e si incarna nel nostro cammino. In qualche modo la sorgente diventa fiume; e nello stesso tempo il fiume non potrà scorrere se non si gioverà continuamente dell'acqua che scaturisce dalla sorgente. Così io incontro Dio oggi nella lettura della Bibbia e nella storia quotidiana come colui che alimenta il torrentello della speranza e tiene aperti i sentieri della liberazione. Non mi vergogno di invocare da lui forza, gioia, voglia di vivere e di lottare e di lodarlo come il datore di serenità e di pace. Dio si inserisce in questo bisogno di liberazione senza diventare per questo il tappabuchi.
In questo mi sento molto vicino all'esperienza dei fratelli delle comunità di base latinoamericane e in profonda sintonia con l'esperienza del popolo di Dio in cammino verso la terra promessa, così come ci viene testimoniato in innumerevoli passi della Bibbia.
Se guardo in profondità il mio piccolo cammino di liberazione, alle origini trovo il Signore, sia perché l'evangelo mi ha messo su questa strada, sia perché la Parola di Dio mi dice ogni giorno qual è la fontana cui attingere per procedere senza tornare indietro: «In principio Dio » (Gen. 1:1). Soprattutto è la testimonianza dei poveri e degli oppressi a gridare questa parola centrale della nostra fede: essi assaporano la presenza attiva del Signore nel loro cammino segnato dallo sfruttamento e dalla speranza e traggono da lui la forza per ripercorrere la strada difficile ed esaltante dell'esodo. Il povero più facilmente prende coscienza che non si salverà con le proprie forze e spera nel Signore. È indubbio che possano spesso infiltrarsi atteggiamenti passivi e magici, ma i poveri sono stati scelti da Dio per manifestare la sua opera nel mondo. Forse per noi questo tempo di stagnazione politica e di stanca esistenziale può diventare un appello a quel Dio liberatore che ci mantiene all'erta contro i ripiegamenti intimistici e contro il fascino delle cipolle dell'Egitto.
A me sembra che questo modo di sentire esistenzialmente Dio nella luce della fede sia perfettamente in linea con la rivelazione che ci ha fatto Gesù chiamandolo: «Padre» e facendo provenire da Lui la vita, tutti i beni e la salvezza. Parlare di Dio come sorgente potrà inoltre evitare di dargli una presenza sessista e maschilista, come troppo spesso è avvenuto nella storia delle chiese cristiane, nel linguaggio religioso e nell'elaborazione teologica. Non senza mettere sul conto di Dio alcune pesanti discriminazioni, fino a costruire una chiesa maschilista.
Il lettore capirà allora che, alla luce di questo rapporto con Dio inteso come sorgente, la lettura della Bibbia acquista dimensioni nuove: essa diventa credente, militante e alimentativa, come cercherò di documentare più avanti. Si tratta di una lettura profetica, che scopre Dio all'opera e stimola a raccogliere la preziosa testimonianza del suo intervento negli eventi, nelle persone e nei racconti che ci vengono tramandati.
Chi attinge con fede alla Parola di Dio è come la samaritana al pozzo. Sentendo Gesù parlare di un'acqua viva che disseta per sempre, si rivolge a lui con interesse: «Signore, dammi di quest'acqua...» (Giov. 4:15). Ed effettivamente l'attesa non andrà delusa. L'Agnello, cioè Gesù, conduce alle sorgenti delle acque della vita (Apoc. 7:17): «a colui che ha sete, io darò della fonte dell'acqua della vita, gratuitamente» (Apoc. 21:11). Ma c'è di più. Esiste una promessa che il Vangelo di Giovanni riporta per ben due volte. Non solo viene garantita acqua viva di sorgente a chi si accosta al Signore, ma l'azione del Signore fa di lui una sorgente: «Chi beve dell'acqua che io gli darò non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» (Giov. 4:14). «Chi ha sete venga a me e beva. Se uno crede in me - dice la Scrittura - io farò sgorgare da lui fiumi di acqua viva» (Giov. 7:38).
Che cosa può sperare di più un discepolo di Gesù? Diventare, nel nome di Gesù, una sorgente di acqua viva e una fontana zampillante che non si dissecca è possibile nella misura in cui guardiamo a Dio e ci lasciamo invadere da queste acque vitalizzanti. Staccati da lui, diventiamo invece pozzi senz'acqua: «essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne screpolate, che non tengono l'acqua». (Ger. 2:13).

Franco Barbero (in Mistica e politica, Pinerolo 1982, pagg 10-13).