"Non ci sono parole per questa
tragedia", ha detto stamattina il giornalista radiofonico che
commentava la notizia del tentativo di uccidere Antonietta Gargiulo e
della morte delle sue due bambine per mano dell'uomo da cui si stava
separando, il loro padre.
Non è vero che le parole non ci sono.
E' vero invece che ci rifiutiamo di usare quelle giuste e continuiamo
a pronunciare quelle sbagliate.
La parola giusta è "femminicidio",
cioè la morte di una donna progettata da un uomo perché si
rifiutava di agire secondo le sue aspettative. E' una parola che dice
due cose: che è morta una donna, sì, ma anche il perché.
La parola sbagliata è "tragedia",
perché richiama l'immaginario teatrale e inserisce quello che è
successo in un quadro da sceneggiata sentimentale dove le persone
coinvolte risultano alla fine tutte in balìa del destino. Ma non ha
sparato il destino: ha sparato un uomo.
La parola sbagliata è "esasperato
dalla separazione in atto". E' sbagliata perché regala un alibi
emotivo all'assassino e insinua che la vera colpevole fosse la donna
che aveva deciso di interrompere la relazione.
La parola sbagliata è "follia",
è "raptus". Nessun femminicidio avviene di punto in
bianco: tutti sono la punta estrema di un crescendo di violenze che
in questo caso, come in molti altri, erano state rese note anche alle
forze dell'ordine. Ogni femminicidio è l'esito di un progetto di
annichilimento. Considerare reato solo la fine di questo progetto
significa non poterla mai impedire.
Spiace leggere sui giornali ancora
parole come queste.
Indigna che una donna sia andata a
chiedere aiuto alle forze dell'ordine e non sia stata presa sul serio
perché ha dichiarato "solo" la sua paura.
Addolora sapere quante donne, leggendo
che denunciare non serve a salvarsi, a denunciare forse adesso
rinunceranno.
Servono soldi ai centri antiviolenza, i
soli che prendono sul serio la paura delle donne ancora vive. Servono
progetti di formazione scolastica contro gli stereotipi di genere che
ancora costruiscono il maschile possessivo ed esigono il femminile
remissivo. Serve educare i giovani all'addio inevitabile, alla
sconfitta che fa parte dell'umano, alla perdita vissuta con
responsabilità, in modo che l'unica via di risoluzione al dolore non
sia più la distruzione di quello che ci fa soffrire.
Leggete i programmi elettorali. Ditemi
queste cose dove le trovate.
Michela Murgia