Per
don Lorenzo Milani, gli oppressi non erano un’astratta categoria
sociale. Erano persone di cui si innamorava follemente, una per una.
Ognuna di loro aveva un volto, un nome, una storia. Di ognuna
conosceva sofferenze, desideri, passioni. Per ognuna ardeva il
desiderio di vederla godere della dignità piena, quella fatta non
solo di casa, lavoro, salario, ma soprattutto di capacità di farsi
le proprie ragioni, di pensare con la propria testa, di partecipare
alla pari con gli altri alla costruzione delle decisioni comuni.
Sapeva
che per ottenere tutto questo ci vuole istruzione e fece scuola.
Ma sapeva che ci vogliono anche regole, leggi, controlli, per ridurre
lo strapotere di imprese, banche, proprietari terrieri e
riequilibrare i rapporti di forza con lavoratori, disoccupati,
precari. Un risultato possibile, ma solo se nella comunità si forma
un coro unanime che va nella stessa direzione.
Francesco
Gesualdi