sabato 24 marzo 2018

Quel silenzio rotto per togliere alibi agli oppositori

La discesa in campo di Benedetto XVI per confermare la continuità fra il suo pontificato e quello in corso dice di una misura oramai colma. Non tanto a motivo delle accuse fatte a Francesco di essere eretico e di non avere una base teologica adeguata, quanto per il fatto che i detrattori usano Ratzinger per giustificare le loro posizioni. Più ratzingeriani dello stesso Ratzinger, gli appartenenti a un'ala conservatrice intransigente e insieme mai doma si fanno scudo non da oggi del nome di Benedetto per giustificare la legittimità delle proprie accuse.
Spesso, a soffiare sul fuoco delle critiche e delle accuse, sono teologi e presuli impauriti di perdere posizioni a livello accademico, ruoli acquisiti a volte dietro un'interpretazione ristretta, arbitraria e univoca della dottrina stessa.
Il nome di Ratzinger è stato usato a sproposito anche quando egli era ancora seduto sul soglio di Pietro. Una parte di Chiesa vicina al mondo lefebvriano usò il Motu proprio "Summorum Pontificum" che "liberalizzò" il Messale antico per giustificare l'avanzamento in ruoli di potere, ambendo nel contempo a posizioni sempre più elevate.
Vatileaks e la conseguente indagine di tre cardinali incaricati da Ratzinger di fare luce sulla fuga di documenti smascherarono il gioco di alcuni, tanto che lo stesso Benedetto XVI, rinunciando improvvisamente al pontificato, azzerò con piena consapevolezza proprio la classe dirigente che sedeva al suo fianco e che agiva non sempre nel modo migliore.
Benedetto XVI è oggi una persona anziana, ma lucidissima di mente. Chi lo visita dice che ricorda tutto, e che è perfettamente in sé. Quello che ha scritto al prefetto Dario Edoardo Viganò, dunque, è farina del suo sacco, parole messe giù nella consapevolezza che nessuno può permettersi di attaccare il Papa regnante usando il suo nome. Dice non a caso Gian Franco Svidercoschi, osservatore che da sessant'anni segue le vicende vaticane, ex vicedirettore dell'Osservatore Romano e fresco autore per Rubbettino di "Un Papa che divide?", che l'uscita di ieri del Papa emerito «da un lato conferma che il tentativo di delegittimazione di Bergoglio esiste e non va sottovalutato».
Dall'altra, però, ritiene «che il Papa non abbia bisogno della difesa di nessuno. La sua forza sta proprio nel fatto che è il vescovo di Roma e come tale nessuna critica, anche se legittima, può scalfirlo».
Benedetto XVI si era espresso già altre volte pro Francesco.
Nell'ottobre 2015, in un'intervista col teologo gesuita Jacques Servais, parlò a lungo del tema della misericordia tanto caro a Francesco, confermando in questo modo la giustezza della linea del suo successore. «La sua pratica pastorale - disse - si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio». E così anche il 28 giugno 2016, in occasione del 65° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, Ratzinger disse che era «la bontà» di Francesco a proteggerlo: «Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto».
Ma le parole di ieri sono di ben altro tenore e senza precedenti: un affondo che evidentemente l'anziano Pontefice si sentiva in dovere di fare.
p.r.

(la Repubblica 13 marzo)