giovedì 24 maggio 2018

A Erevan vince la rivoluzione dell'euforia

È contagiosa l'euforia per il buon epilogo della rivoluzione armena. Appena si diffonde la notizia dell'elezione a premier del leader della rivolta Nikol Pachinian, a Erevan la gente comincia a ballare, a intonare inni patriottici. Sul palco in piazza della Repubblica, così esordisce l'ex giornalista e storico oppositore al potere di Erevan: «Hai vinto tu, fiero cittadino armeno e nessuno oserà attaccare questo successo». Ma più che di una vittoria di colui che si presenta come il candidato del popolo e che nelle ultime settimane è stato acclamato come il nuovo eroe dell'Armenia, si dovrebbe parlare del suo trionfo contro una classe politica corrotta. La rivoluzione ordita da Pachinian è stata così fulminea da lasciare senza fiato i repubblicani al potere dal 2008. Inoltre, la sua vittoriosa rivolta s'è svolta senza spargimento di sangue. Tutto è cominciato l'11 aprile quando migliaia di persone hanno cominciato a scendere in piazza per chiedere un cambiamento ai vertici del Paese. A guidare le proteste, il 42enne Pachinian, il quale il 23 aprile ottiene le dimissioni di Serzh Sargsyan, presidente per gli ultimi dieci anni e che pur di non lasciare il potere s'era fatto eleggere premier solo sei giorni prima. Il 30 aprile Pachinian viene scelto come candidato premier dalla opposizione e, dopo aver accusato i repubblicani di ostacolare la sua nomina, minaccia uno "tsunami politico" in caso di mancata elezione. Il che avviene il 1 maggio, quando in Parlamento il partito al potere gli nega l'appoggio. Pachinian indice l'ennesimo sciopero generale che paralizza il Paese.
Di fronte a un movimento così compatto, i repubblicani optano per la resa. Pachinian dichiara che non intende rimanere a lungo premier, ma che vuole traghettare l'Armenia verso legislative anticipate. Formerà un governo provvisorio per dimettersi al massimo tra 6 mesi. La sua nomina è stata approvata anche dalla Russia, alleato storico: Pachinian ha ricevuto un telegramma di Putin. Il neo-premier ha detto che s'incontrerà con il presidente russo il prossimo 14 maggio a Sochi durante il summit dell'Unione economica eurasiatica, quando gli ripeterà che «consideriamo la cooperazione militare con Mosca il fattore principale che garantisce la nostra sicurezza».
Ma da più di un secolo l'Armenia ha relazioni difficili con la Turchia per la questione del genocidio armeno (un milione di morti tra il 1905 e il 1915), e con l'Azerbaigian, per la questione del Nagorno Karabakh, che i due Paesi si contendono in un conflitto che si riaccende periodicamente. Pachinian si dice pronto a negoziare con il leader azero, per trovare «una soluzione pacifica sulla base dell'eguaglianza dei popoli e del diritto all'autodeterminazione».
Per questo Paese di 3 milioni di abitanti che sopravvive grazie alle rimesse della sua numerosa diaspora, soprattutto in Francia e Usa, s'apre una nuova era.
Stavolta a manovrare le leve del comando sarà la generazione post-sovietica, ossia quella che non ha vissuto il terrore che incuteva il potere centrale di Mosca. E questo per l'Armenia è forse un buon presagio.
Pietro Del Re

(la Repubblica 9 maggio)