Newsletter n. 93 del 25 maggio 2018
OLTRE IL GOVERNO
Cari Amici,
aprendo martedì 22 maggio i lavori dell’Assemblea generale della CEI, il
cardinale Bassetti aveva espresso la stima dei vescovi al presidente
Mattarella per la “guida saggia e paziente” con cui stava “facendo di
tutto per dare un governo all’Italia”. Non è passato un giorno, e
Mattarella mercoledì ha dato questo governo all’Italia chiamando al
Quirinale, come presidente incaricato, il prof. Giuseppe Conte. In tal
modo i milioni di voti delle elezioni di marzo non sono andati al
macero, prima ancora di cominciare, e si è visto con gioia che la
democrazia, almeno nelle sue forme essenziali, ancora funziona.
I governi sono, come si sa, una delle massime istituzioni politiche
del Paese, e quindi sono oggetto di valutazione politica. Tuttavia non è
tale valutazione che ora vogliamo suggerire - controversissima com’è –
sia perché ognuno faccia la sua, sia perché il governo ancora non si è
formato, e nemmeno si ha certezza del suo programma.
Infatti, anche se
esso è frutto di un “contratto”, ossia di un patto propedeutico e
fondativo, il vero programma del governo, sul quale dovrà essere
giudicato, sarà quello proposto al Parlamento all’atto di chiederne la
fiducia; ed è evidente ad esempio che su temi delicatissimi in cui tutta
la nostra cultura e la nostra etica sono in gioco, come i temi dei
migranti, dell’ordine pubblico, della difesa personale, della giustizia,
delle carceri, dei diritti civili, della libertà di religione e simili,
è molto diverso che a indicare propositi e traguardi siano Conte o
Salvini; tanto più in Italia quando al presidente del Consiglio l’art.
95 della Costituzione attribuisce ruolo e responsabilità di guida e di
sintesi delle politiche di governo nell’unità dell’indirizzo politico, e
ancor più quando sappiamo che sull’osservanza dell’art. 95 come degli
altri principi costituzionali, c’è qualcuno, lassù (sul colle) che con
la stima di tutti, ed anche dei vescovi, vigila.
Questa osservazione preliminare che riguarda la sostanza della futura
azione di governo, ci riconcilia anche un po’ con la caduta di stile che
si è avuta nel metodo della sua formazione, perché ci mostra che il
braccio di ferro tra i due leaders delle forze contraenti del Patto su
chi dovesse averne la guida, con la conclusione salomonica che non
l’avesse nessuno dei due, non era una questione di poltrone, di
ambizioni infantili o di libidine del potere, per cui meritassero di
essere svillaneggiati, ma era una grande questione politica.
Ciò premesso, pur non entrando ora nel merito del giudizio politico, si
possono dire alcune cose che attengono al sistema.
Anzitutto bisogna
riconoscere che quella che sta nascendo è una cosa nuova, e perciò
saremmo ben poco attrezzati a capirla se insistessimo a giudicarla con
le categorie vecchie, con i formulari d’uso, con i nostri criteri di
sempre, le nostre sentenze già date, senza vedere nulla, anche se c’è,
al di là delle cose già giudicate e già note.
Come dice il cardinale Bassetti
è venuto invece “il momento di cogliere la sfida del nuovo che avanza
nella politica italiana”, per riesaminare noi stessi e rinnovare la
nostra pedagogia e il nostro discorso politico.
Per esempio è chiaro che non si può giudicare questa nuova compagine di
governo dentro lo schema destra-sinistra. E ciò perché siamo in una fase
in cui i codici identificativi della sinistra si sono perduti, e ancora
non ne sono stati elaborati di nuovi.
La sinistra, pur nelle sue
diverse forme, è stata nel Novecento indissolubilmente legata al grande
fenomeno storico del marxismo e del movimento operaio: perfino la
teologia della liberazione è stata accusata di questo. Di fatto quel
canone di lettura della storia introdotto dal marxismo è stato per tutti
ineludibile, anche nella forma della sua negazione, anche
nell’atteggiarsi dei suoi avversari: altrimenti Craxi non avrebbe
sentito il bisogno di tirar fuori Proudhon per liberarsi di Marx, ed
anche Keynes non ne era così immune. Venuto ora meno il marxismo, anche i
pensieri forti si sono eclissati e perciò oggi non c’è niente di più
generico e liquido della sinistra.
Ciò non vuol dire che allora non ci
rimane che la destra, ma vuol dire che per la sinistra e il suo
indispensabile ruolo per mettere in discussione il mondo com’è, quello
che ora ci vuole è un pensiero, un libro, un manifesto, e ancora non
c’è; o forse c’è ma non ce ne siamo accorti, forse sta nella Laudato sì,
ma “l’avranno letta?” si chiede Mario Agostinelli e il gruppo di
Milano.
Perciò se in tale situazione volessimo giudicare il nascente governo
nella griglia della giustapposizione destra-sinistra, non ne verremmo a
capo, come mostrano i giornalisti allibiti e spiazzati che si aggirano
nelle vociferazioni televisive.
A voler usare quel criterio c’è la
sorpresa di scoprire che questo governo nasce con tutta la destra
rudemente contro, da Forza Italia alla Meloni alla Confindustria, e
invece è senza opposizione a sinistra,se si esclude il piccolo
drappello di Liberi ed Eguali, mentre il PD è fuori scrutinio, non
tracciabile, fermo com’è, per infortunio sul lavoro, a Rignano.
Tutto
questo dipende forse dal fatto che l’origine di quanto ora accade più
che nelle elezioni del 4 marzo sta nella vittoria del referendum
costituzionale del 4 dicembre: e questa è una bella rassicurazione
contro il timore che questo inusuale governo, ultimo arrivato e oggetto
sconosciuto, metta a rischio la democrazia.
Del resto gli eventi del passato ci insegnano che la democrazia non è a
rischio per un singolo atto o un singolo evento; in Italia tra l’accesso
del fascismo al potere e le leggi razziali non ci fu alcuna
immediatezza, di mezzo ci fu la legge Acerbo e milioni di atti e di
scelte, personali e collettive, ivi compreso il Concordato e la deriva
cattolica, che lastricarono la strada dall’incarico a Mussolini alle
leggi razziali ed oltre.
Perciò, per restare a considerazioni di sistema, bisogna dire che il
futuro non sta solo nelle mani del governo e dei suoi ministri, sta
anche nelle nostre mani, e noi lo dobbiamo prendere in carico, lo
dobbiamo costruire.
La ricreazione è finita, la politica non è l’eterno
spettacolo a cui assistiamo “da casa” nei talk-show televisivi che ai
padroni dell’etere costano meno delle soubrettes (che almeno
si fanno pagare) e che nella distrazione generale danno ai veri poteri
licenza di fare quello che veramente conta, costruire una portaerei o
firmare un Trattato, precostituendo come eretici coloro che domani,
accorgendosi di pagarne il prezzo, oseranno criticarlo.
Per questo ci sembra molto bello il richiamo fatto dal cardinale
Bassetti secondo cui non basta avere un governo, ci vuole l’impegno
pubblico, come quello di migliaia di persone disinteressate che nei
comuni “reggono le sorti della nostra democrazia”; perché, come ha
detto, la partita non è persa, le radici sono buone e il Paese è più
sano di come lo si dipinge, non siamo allo sbando o alla deriva, ma c’è
ancora molta disponibilità al bene comune.
Richiamo rivolto anche ai cattolici italiani che, nella dimensione
politica, vengono dall’appello ai Liberi e Forti di Luigi Sturzo, e oggi
appaiono inerti: “Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre
passioni?” chiede il cardinale. Il papa Francesco ha aperto “spazi
enormi”, “ma sono spazi vuoti se non li abitiamo”, mentre traboccano le
tragedie di questa umanità nella quale siamo chiamati a vivere.
“Finalmente – scrive Valerio Onida di questo intervento del presidente
dei vescovi – una parola pacata e serena, di speranza e di
incoraggiamento, pur nella piena consapevolezza di tutte le
degenerazioni e i rischi”.
Perciò anche noi siamo invitati alla speranza, e ad operare senza
prepotenze e sciatteria, “a voce bassa”. Con in più questo annuncio
importante che ha dato il cardinale: si sta preparando un incontro tra i
vescovi del Mediterraneo perché emerga, tra i soggetti che stanno
facendo la storia, un soggetto che oggi non c’è ed è il più sofferente
di tutti, il soggetto che è il Mediterraneo, che sono i popoli del
Mediterraneo, la cui voce e il cui spirito vengono da lontano, e da cui
può venire ora una potente ed universale proposta di pace.
Con i più cordiali saluti
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