martedì 7 agosto 2018

Il Pp punta a destra

Il Partito popolare spagnolo ha per la prima volta nella sua storia un leader non scelto dal suo predecessore. Si chiama Pablo Casado, ha 37 anni e rappresenta l'ala più dura del partito - o almeno questo ha cercato di trasmettere. Quando Mariano Rajoy, il giorno dopo la mozione di sfiducia, si dimise da presidente del partito e da deputato e si rifugiò al catasto del piccolo comune valenziano di Santa Pola, dove conservava un posto da più di 30 anni in aspettativa, lasciò il suo partito di stucco. Se ne era andato nel puro stile Rajoy, consegnando a un partito poco abituato alla democrazia interna il difficile compito di scegliersi un capo.
Prima del congresso straordinario, celebrato questo fine settimana a Madrid, il partito ha dovuto svolgere delle primarie, le stesse che avevano tanto criticato quando le avevano svolte i socialisti (votarono per la scelta del segretario 150mila dei 190mila iscritti al partito) o Podemos (dove per la scelta della leadership votarono 155mila persone dei 450mila iscritti). E qui c'è stata la prima sorpresa: il partito, che dichiarava di avere più di 800mila iscritti, all'ora dei fatti si è accorto che potevano votare solo 66mila persone, quelle davvero iscritte, meno dell'8%. Persino in Ciudadanos, 20mila affiliati teorici, avevano votato 6mila persone, quasi un terzo.
Due settimane fa, il primo voto: dei sei candidati in lizza (due donne e quattro uomini) i due più votati sono stati l'ex braccio destro di Mariano Rajoy, Soraya Sáenz de Santamaría, che ha ottenuto 21.500 voti (il 37%) e Pablo Casado (36%), una delle nuove leve popolari e al centro di uno scandalo per aver ottenuto, secondo le accuse, un titolo universitario in maniera fraudolenta (il tema non è entrato per niente in campagna elettorale). Terza la potente segretaria generale del partito ed ex ministra della difesa María Dolores de Cospedal. Tutti e 4 i candidati perdenti hanno dato appoggio a Casado, che alla fine ieri ha ottenuto il 57% dei voti dei circa 3.000 delegati al congresso, incaricati di votare nel secondo turno. Tra l'altro, il numero di delegati per provincia è basato sugli iscritti fantasma che ormai tutti sanno essere gonfiati.
A parte gli scontati appelli all'unità, e gli omaggi sperticati di entrambi i candidati verso Mariano Rajoy (che nel suo discorso ha lanciato una frecciatina verso il suo predecessore Aznar, ricordando che lui sì sarà leale col prossimo capo, al contrario di Aznar), i discorsi di Casado e Sáenz de Santamaría sono stati molto diversi. Ideologico quello di Casado, e pragmatico/burocratico quello di Santamaría, che quando era al governo non è mai stata molto attenta alla vita di partito.
Secondo tutti gli osservatori, il Pp è tornato alle origini: molto più duro e a destra che con Rajoy, e molto vicino all'aznarismo (Casado fu suo capo di gabinetto). Nel suo primo discorso da presidente popolare, Casado ha iniziato facendo omaggio al re e alla costituzione, a Mariano Rajoy e a Sáenz de Santamaría, in quest'ordine. Per poi elencare una serie di posizionamenti molto chiari «per recuperare la nostra base elettorale»: contro il sovranismo in Catalogna, rafforzare la costituzione e indurimento del codice penale, difesa della scuola privata, politiche per la famiglia e la natalità e contro aborto e eutanasia, abbassamento delle tasse. «È tornata la Spagna, è tornato il Pp», ha concluso. Accenni solo aneddotici alla questione corruzione, che ha affondato il partito, e nessuna autocritica.
In un certo senso, Casado era il candidato preferito dai socialisti, perché molto più ideologico, ma molto meno da Ciudadanos, perché ricorda moltissimo lo stesso Albert Rivera. Che ora ha davanti a sé la sfida politica di rimodulare la propria proposta politica come alternativa a quella popolare e a quella socialista.
Luca Tancredi Barone

(Il Manifesto 22 luglio)