Ho
appena concluso un viaggio nei monasteri del Continente, e vi ho
ritrovato tanti valori perduti, massacrati dalla modernità
consumistica, valori che lì trovavano il loro ultimo, disperato
rifugio. Cose inestimabili come convivialità, accoglienza,
preghiera, canto corale, manualità, attaccamento ai luoghi,
ritualità, lettura, cortesia, leadership attraverso l’ascolto.
Persino la democrazia.
E il silenzio, il grande guardiano di bocche
sempre pronte a lanciare parole ostili. Ho trovato grandiosi presidi
dello spirito circondati dal frastuono del nulla. Minacciati non da
orde islamiche, ma dalla nostra corsa alla liquidazione di una
civiltà.
Parole
nuove hanno invaso il campo e autorizzano i violenti a farsi
giustizia da sé. Il tentato omicida di Macerata era un fan di
Salvini, ma non è il solo episodio del genere. Questa settimana,
alla stazione di Venezia due facchini-energumeni hanno bastonato in
pubblico un ghanese che si era offerto di portare le valigie di una
turista spagnola. E quando lei ha urlato: “In che Paese siamo?”,
questi hanno preso a testate anche lei, gridando “siamo nel Paese
di Salvini”. La polizia è intervenuta senza eccessivo entusiasmo,
e c’era da capirla. Non s’erano mai viste forze dell’ordine
costrette a sedare tumulti generali dai “proclami” del loro
stesso ministro.
Ci
sarà pure un motivo per cui questo Paese asfissiato dai talk show,
divorato dall’incuria, bastonato dalle burocrazie, deviato da
servizi deviati, ostaggio di inamovibili gerontocrazie, azzoppato
dalle camorre e dall’evasione fiscale, un Paese dove si picchiano
gli insegnanti e la barbarie galoppa sul web, non pensa che ai
gommoni. Siamo davanti all’orchestrazione del più colossale
depistaggio della storia rispetto ai problemi veri dell’Italia e
all’uso dei migranti per mascherare l’incapacità politica di
governarne il flusso. O forse peggio: la mancata volontà di farlo.
Un consenso che si fonda sul malcontento (il populismo è questo) non
farà mai nulla per eliminarne le cause.
Sono
anni che con l’orchestra europea accompagno il declino accelerato
dei nostri valori più autentici. Ma proprio per questo non posso
mollare. Perché gli italiani hanno bisogno di parole nuove. Perché
la gioia di questi piccoli orchestrali è da sola un balsamo per
l’anima. Perché ho dei nipoti, e non voglio che un giorno mi
dicano: “Nonno, perché hai taciuto?”.
Paolo
Rumiz – Repubblica
17/07