mercoledì 1 agosto 2018

L'EUROPA


Ho appena concluso un viaggio nei monasteri del Continente, e vi ho ritrovato tanti valori perduti, massacrati dalla modernità consumistica, valori che lì trovavano il loro ultimo, disperato rifugio. Cose inestimabili come convivialità, accoglienza, preghiera, canto corale, manualità, attaccamento ai luoghi, ritualità, lettura, cortesia, leadership attraverso l’ascolto. Persino la democrazia. 
E il silenzio, il grande guardiano di bocche sempre pronte a lanciare parole ostili. Ho trovato grandiosi presidi dello spirito circondati dal frastuono del nulla. Minacciati non da orde islamiche, ma dalla nostra corsa alla liquidazione di una civiltà.
Parole nuove hanno invaso il campo e autorizzano i violenti a farsi giustizia da sé. Il tentato omicida di Macerata era un fan di Salvini, ma non è il solo episodio del genere. Questa settimana, alla stazione di Venezia due facchini-energumeni hanno bastonato in pubblico un ghanese che si era offerto di portare le valigie di una turista spagnola. E quando lei ha urlato: “In che Paese siamo?”, questi hanno preso a testate anche lei, gridando “siamo nel Paese di Salvini”. La polizia è intervenuta senza eccessivo entusiasmo, e c’era da capirla. Non s’erano mai viste forze dell’ordine costrette a sedare tumulti generali dai “proclami” del loro stesso ministro.
Ci sarà pure un motivo per cui questo Paese asfissiato dai talk show, divorato dall’incuria, bastonato dalle burocrazie, deviato da servizi deviati, ostaggio di inamovibili gerontocrazie, azzoppato dalle camorre e dall’evasione fiscale, un Paese dove si picchiano gli insegnanti e la barbarie galoppa sul web, non pensa che ai gommoni. Siamo davanti all’orchestrazione del più colossale depistaggio della storia rispetto ai problemi veri dell’Italia e all’uso dei migranti per mascherare l’incapacità politica di governarne il flusso. O forse peggio: la mancata volontà di farlo. Un consenso che si fonda sul malcontento (il populismo è questo) non farà mai nulla per eliminarne le cause.
Sono anni che con l’orchestra europea accompagno il declino accelerato dei nostri valori più autentici. Ma proprio per questo non posso mollare. Perché gli italiani hanno bisogno di parole nuove. Perché la gioia di questi piccoli orchestrali è da sola un balsamo per l’anima. Perché ho dei nipoti, e non voglio che un giorno mi dicano: “Nonno, perché hai taciuto?”.
Paolo Rumiz – Repubblica 17/07