giovedì 2 agosto 2018

SI PUO' GUARIRE DALLE DIPENDENZE

Così ritornano alla vita reale i ragazzi stregati dai videogame

Lo sguardo fisso sul computer, l’attaccamento morboso alla playstation non sono la malattia, sono il tentativo di alleggerire una sofferenza profonda che affligge sempre più adolescenti.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha di recente riconosciuto la dipendenza da videogame come una patologia, e l’ha definita come “una serie di comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento sugli altri interessi della vita”. E’ una descrizione che si comprende nella sua drammaticità ascoltando le storie degli adolescenti seguiti nell’ambulatorio delle dipendenze comportamentali del Policlinico Gemelli di Roma, diretto dallo psichiatra Federico Tonioni. Nei sette anni dalla sua costituzione il centro ha preso in cura oltre mille “ritirati sociali”, ragazzini e giovani adulti che hanno progressivamente chiuso ogni contatto con il mondo esterno per chiudersi nella loro stanza a giocare, guardare video su YouTube, oppure osservare le vite altrui sui social. Al Gemelli arrivano portati dai genitori, spesso vittime di scatti violenti dopo il divieto di accendere il computer o la playstation. Sono adolescenti, da considerare tali anche se hanno oltre vent’anni e sono iscritti all’università, in prevalenza maschi. “Le ragazze sono una ogni dieci casi – precisa David Martinelli, uno degli psichiatri del Gemelli – ma c’è un aumento. Le femmine manifestano più spesso il disagio con disturbi dell’alimentazione, che però sono in crescita anche tra i maschi, come se ci fosse una tendenza all’equilibrio dei casi tra i sessi”.
“Quando arrivano da noi negano di avere ormai come unica attività il computer – racconta Martinelli – I più gravi hanno una tale sofferenza emotiva che non riescono a guardare nessuno negli occhi”. Al Gemelli chiedono spesso aiuto genitori spaventati dal vedere i figli passare troppo tempo con la playstation in mano, ma i segnali per capire se il proprio figlio rischia il ritiro sociale sono inequivocabili: “Non bisogna demonizzare Internet – precisa Martinelli – né allarmarsi per un periodo di apatia dei propri figli, magari in seguito a un evento scatenante come un brutto voto o la rottura con la fidanzata. Il primo sintomo del ritiro sociale è invece la gradualità con cui un ragazzo abbandona progressivamente la scuola, magari lo sport, le uscite con gli amici. Un altro segnale è lo stare svegli di notte e tendere a dormire di giorno. Infine, un sintomo comune è la reazione molto violenta se i genitori vietano computer e playstation”.
“Il problema non è Internet – puntualizza Tonioni – ma un fenomeno evolutivo in cui le famiglie assolvono meno al loro ruolo. Siamo di fronte a nuove forme di assenza genitoriale, in cui i tablet diventano un sostituto dei rapporti”. Colloqui individuali e di gruppo, e soprattutto il coinvolgimento attivo delle famiglie, sono la medicina che porta il gruppo del Gemelli a dire che “la cosa difficile è agganciarli, ma poi sono pronti ad afferrare la mano che li tira fuori dalla palude”.
Come dimostrano le quattro storie (i nomi sono tutti di fantasia) raccontate dagli esperti del Gemelli.
Cristina Nadotti – Repubblica 20/07