Lo
sguardo fisso sul computer, l’attaccamento morboso alla playstation
non sono la malattia, sono il tentativo di alleggerire una sofferenza
profonda che affligge sempre più adolescenti.
L’Organizzazione
mondiale della sanità ha di recente riconosciuto la dipendenza da
videogame come una patologia, e l’ha definita come “una serie di
comportamenti persistenti o ricorrenti che prendono il sopravvento
sugli altri interessi della vita”. E’ una descrizione che si
comprende nella sua drammaticità ascoltando le storie degli
adolescenti seguiti nell’ambulatorio delle dipendenze
comportamentali del Policlinico Gemelli di Roma, diretto dallo
psichiatra Federico Tonioni. Nei sette anni dalla sua costituzione il
centro ha preso in cura oltre mille “ritirati sociali”, ragazzini
e giovani adulti che hanno progressivamente chiuso ogni contatto con
il mondo esterno per chiudersi nella loro stanza a giocare, guardare
video su YouTube, oppure osservare le vite altrui sui social. Al
Gemelli arrivano portati dai genitori, spesso vittime di scatti
violenti dopo il divieto di accendere il computer o la playstation.
Sono adolescenti, da considerare tali anche se hanno oltre vent’anni
e sono iscritti all’università, in prevalenza maschi. “Le
ragazze sono una ogni dieci casi – precisa David Martinelli, uno
degli psichiatri del Gemelli – ma c’è un aumento. Le femmine
manifestano più spesso il disagio con disturbi dell’alimentazione,
che però sono in crescita anche tra i maschi, come se ci fosse una
tendenza all’equilibrio dei casi tra i sessi”.
“Quando
arrivano da noi negano di avere ormai come unica attività il
computer – racconta Martinelli – I più gravi hanno una tale
sofferenza emotiva che non riescono a guardare nessuno negli occhi”.
Al Gemelli chiedono spesso aiuto genitori spaventati dal vedere i
figli passare troppo tempo con la playstation in mano, ma i segnali
per capire se il proprio figlio rischia il ritiro sociale sono
inequivocabili: “Non bisogna demonizzare Internet – precisa
Martinelli – né allarmarsi per un periodo di apatia dei propri
figli, magari in seguito a un evento scatenante come un brutto voto o
la rottura con la fidanzata. Il primo sintomo del ritiro sociale è
invece la gradualità con cui un ragazzo abbandona progressivamente
la scuola, magari lo sport, le uscite con gli amici. Un altro segnale
è lo stare svegli di notte e tendere a dormire di giorno. Infine, un
sintomo comune è la reazione molto violenta se i genitori vietano
computer e playstation”.
“Il
problema non è Internet – puntualizza Tonioni – ma un fenomeno
evolutivo in cui le famiglie assolvono meno al loro ruolo. Siamo di
fronte a nuove forme di assenza genitoriale, in cui i tablet
diventano un sostituto dei rapporti”. Colloqui individuali e di
gruppo, e soprattutto il coinvolgimento attivo delle famiglie, sono
la medicina che porta il gruppo del Gemelli a dire che “la cosa
difficile è agganciarli, ma poi sono pronti ad afferrare la mano che
li tira fuori dalla palude”.
Come
dimostrano le quattro storie (i nomi sono tutti di fantasia)
raccontate dagli esperti del Gemelli.
Cristina
Nadotti –
Repubblica 20/07