venerdì 9 novembre 2018

In Corea del Nord la Chiesa c'è, più di quanto sembri

Il 18 ottobre il presidente della Corea del Sud, il cattolico Moon Jae-in, è stato ricevuto dal Papa. Il giorno precedente, in San Pietro, aveva partecipato alla Messa "pro pace" celebrata dal cardinale Parolin per chiedere a Dio benedizione e supporto a favore della stabilità nella penisola coreana. Il 9 ottobre, fonti ufficiali della presidenza sud-coreana rivelavano che Moon Jae-in sarebbe venuto in Vaticano anche come latore di un messaggio importante: un invito per Papa Francesco da parte del presidente Kim Jong-un a visitare Pyongyang. Le stesse fonti precisavano che la richiesta e il messaggio erano stati consegnati dal leader del Nord al suo omologo del Sud a settembre scorso, durante il terzo vertice intercoreano. Fino al 1950, nella sola diocesi di Pyongyang vi erano circa 55 mila credenti e 57 tra parrocchie e stazioni missionarie con scuole e opere sociali ben dirette e di ottimo livello. Una visita apostolica nel Paese poco prima della Seconda guerra mondiale definì città e diocesi come «la Gerusalemme d'Oriente». Tutto cambia dal 1948 in poi: il regime comunista rade al suolo le chiese e incamera le opere sociali, confina nei campi di concentramento religiosi, anche stranieri, e fedeli. La persecuzione si fa cruenta negli anni della guerra coreana, tra il 1950 e il 1953, e risale a quell'epoca il martirio del primo vescovo di Pyongyang, Francesco Borgia Hong Yong-ho, e di ottanta dei suoi compagni per i quali, nel 2017, è stata aperta la causa di beatificazione. Nel 1991 la Corea del Nord viene ammessa alle Nazioni Unite e, per completare le condizioni richieste agli Stati membri Onu, promulga una legge sulla libertà religiosa che prevede due enti "ecclesiastici", l'Associazione Cattolica per i fedeli di Roma e la Federazione Cristiana per i protestanti, strettamente controllati dal regime. Gli aderenti ai due enti, secondo stime governative, si aggirerebbero sulle tremila anime, ma è probabile che dietro questi numeri ci sia altro. La sede vescovile di Pyongyang infatti non è stata mai soppressa dalla Santa Sede. Sull'annuario Pontificio come "amministratore apostolico" risulta l'arcivescovo di Seul, il cardinale Andrea Yeom Soo-jung. E questi ha dichiarato di avere a disposizione già quattro sacerdoti, quattro diaconi e 26 seminaristi nord-coreani pronti a rientrare in patria. Nella Corea del Sud, la comunità cattolica conta cinque milioni ottocentomila battezzati, l'undici per cento della popolazione. E da anni è impegnata a "costruire ponti" con il Paese fratello e a riportare alla luce una delle ultime "Chiese del silenzio" dell'età contemporanea.
Filippo Di Giacomo

(Il Venerdì 26 ottobre)