sabato 12 gennaio 2019

SIAMO ALLA SCHIZOFRENIA....

Né espulsione né accoglienza
Il migrante che per decreto deve vivere al gelo in strada

Non può essere espulso dall’Italia, ma nemmeno più accolto. Ha problemi psicologici per i traumi subiti nella sua terra d’origine e per le torture fisiche a cui è stato sottoposto, necessita di aiuto, ma di fatto è stato “condannato” a dormire al freddo per strada. E’ un paradosso quello che sta vivendo Malick Cole, migrante originario del Gambia di 24 anni, che ha fatto di tutto per non finire al gelo, compreso chiedere al giudice di essere incarcerato piuttosto che non avere un tetto sotto cui stare. Ma invano, perché il 29 dicembre il giovane è stato assolto nel processo per direttissima in cui era stato accusato di resistenza ai carabinieri: non voleva abbandonare la comunità dopo l’ordine del prefetto che dispone per lui la revoca delle misure di accoglienza e per questo, in quell’occasione, aveva anche cercato di buttarsi da un balcone. La sua storia aveva colpito i magistrati e gli avvocati. Da allora Malick Cole dorme in piazza D’Armi e ogni giorno si presenta dall’avvocato Marika Mazzola chiedendo se ci siano novità. Divora i biscotti, trema per il freddo che si porta dentro. Ma nessuna struttura può più ospitare Malick dopo che il 30 novembre il prefetto ha disposto il divieto di accoglierlo. L’ha fatto perché la comunità in cui si trovava aveva denunciato gli episodi di tristezza, rabbia e aggressività che il ragazzo aveva manifestato. Chiedeva i soldi della diaria, chiedeva ogni giorno di poter lavorare. Poi voleva i suoi documenti. Poi non voleva lasciare la struttura. “La ragione di questi sentimenti di rabbia sembra essere la frustrazione connessa alle difficoltà della vita sperimentate nel contesto di accoglienza” si legge nell’ordine del prefetto. Un altro paradosso.
Il giudice ha riconosciuto che Malick faceva più che altro del male solo a se stesso, ma incuteva paura ed era difficile da gestire. L’ordine del prefetto dà atto dei problemi psicologici, del bisogno di assistenza. Una relazione medica del centro Frantz Fanon evidenzia le sue difficoltà. Ed è una storia terribile quella che il migrante ha raccontato ai medici, che ha dei riscontri clinici. Il giovane è finito in carcere la prima volta a 15 anni denunciato dal padre che l’aveva accusato di aver rubato dei soldi. Ha vissuto per strada già nel suo paese, poi ha scelto di partire verso l’Europa. Ma in Libia è stato arrestato e torturato, appeso per le braccia come dimostrerebbero le lastre che gli sono state fatte in Italia. Arrivato nel 2016 a Palermo dopo aver affrontato il mare con un viaggio della speranza, è stato caricato su un pullman e portato a Rovereto. Ha vissuto in un campo della Croce Rossa, poi è andato a Trento: dormiva sui treni. “Bevevo per non sentire il freddo. Con me c’erano due amici, non si sono più risvegliati, per questo io non voglio più finire al gelo: non voglio morire anche io” ha raccontato anche in aula. Dopo un breve passaggio a Milano è arrivato a Torino e si è rifugiato nelle cantine dell’ex Moi; dopo lo sgombero è andato nella comunità. Ma non era un ospite tranquillo e per questo gli è arrivata la revoca delle misure di accoglienza.
“Non può essere espulso perché a Trento ha fatto domanda come rifugiato: gli è stata negata ed è in corso l’appello” spiega l’avvocato che ha provato a contattare diverse strutture, invano. La revoca disposta dal prefetto, di fatto, gli chiude le porte. La sua disperazione è accertata, dai medici e dal giudice. Ma è abbandonato al suo destino.
Sarah Martinenghi – Repubblica 10 gennaio