17/10/2019 - di Giansandro Merli -
Dopo le pagine di reti e organizzazioni solidali con il popolo curdo, la
censura di Facebook si è abbattuta su testate indipendenti e legate ai
movimenti sociali italiani (vedi https://ilmanifesto.it/social-e-guerra-facebook-cancella-i-contenuti-pro-curdi/).
Oscurate ieri le pagine di Global Project, Milano in Movimento e
Contropiano. Stessa sorte rischia di toccare a DinamoPress, Infoaut e
Radio Onda d’Urto. Tutte insieme raccoglievano centinaia di migliaia di follower. Mentre scriviamo la «pulizia» continua a estendersi verso centri sociali e account privati.
La procedura è semplice: prima gli amministratori ricevono notifiche di post che violerebbero la policy del social network, poi le pagine scompaiono. Le accuse sono ricondotte al punto due del I capitolo degli standard della community,
riferito a «persone e organizzazioni pericolose». I post incriminati
hanno a che fare con il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk),
ancora inserito nelle liste del terrorismo internazionale, e con la
figura del suo fondatore Abdullah Öcalan, rinchiuso dal 1999 nell’isola
prigione turca di Imrali.
Si
tratta principalmente di fotografie o video di mobilitazioni in cui
compaiono, anche in secondo piano, bandiere con la stella del partito o
il volto del leader curdo. Simboli che sono continuamente esposti in
luoghi pubblici e durante manifestazioni. A Global Project, testata
giornalistica registrata nel 2003, è stato contestato uno scatto del
funerale di Lorenzo Orsetti, ragazzo italiano morto combattendo l’Isis. A
Radio Onda d’Urto, testata dal 1986, un post che annunciava in tono
neutro una trasmissione sulla storia del Pkk.
Sul
come sia iniziata questa vastissima campagna di epurazione si possono
fare solo ipotesi. Una possibilità è che profili legati al regime turco
abbiano segnalato in maniera sistematica e organizzata le pagine non
gradite. Un’altra è che l’azione sia partita proprio da Facebook, magari
dopo la riunione del lunedì in cui i dirigenti fanno il punto sulle
novità delle regole da rispettare.
In
ogni caso la tempistica dell’offensiva digitale dell’azienda di Mark
Zuckerberg coincide chirurgicamente con quella dell’attacco militare di
Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco, che mentre accendeva le armi
da guerra spegneva per l’ennesima volta i social network in diverse aree
del suo paese, ha l’evidente problema di ricostruirsi credibilità a
livello internazionale. Silenziare le voci critiche e di opposizione
alla sua guerra e alle sue politiche liberticide è un tassello
importante.
Sembra
che Facebook abbia scelto da che parte stare, anche in spregio
all’articolo 21 della Costituzione italiana che afferma: «La stampa non
può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». «È inaudito e
inaccettabile – afferma Raffaele Lorusso, segretario generale della
Federazione nazionale stampa italiana – Si vuole impedire di illuminare
il dramma di un’intera popolazione aggredita. Questo episodio conferma
la necessità di affrontare a livello europeo la regolamentazione della
rete».
L’articolo è tratto da “il manifesto” del 17 ottobre