Marta Facchini
Irupé Tentorio
«Siamo
in lutto», si legge sui cartelli che centinaia di donne stringono in
mano mentre camminano in silenzio da plaza Italia a La Moneda, a
Santiago del Cile. Il giorno dei morti, venerdì primo novembre, una
lenta marcia ha attraversato l’Alameda, la via principale della capitale
e lo scenario degli scontri delle ultime settimane.
LE MANIFESTANTI,
tutte vestite di nero, hanno sfilato in assoluto silenzio, alzando le
mani, stringendo fiori bianchi tra le dita e sventolando bandiere del
Cile senza colori. La protesta pacifica, organizzata in modo spontaneo
attraverso la rete, ha bloccato il traffico del centro per più di due
ore ed è terminata di fronte al palazzo presidenziale
Il punto conclusivo dove una strada intera ha cantato Il diritto di vivere in pace,
una delle poesie scelte come simbolo delle proteste contro il governo
di Sebastian Piñera, scritta da Victor Jara, cantautore cileno torturato
e assassinato dai militari nel 1974.
«La
mia generazione ha vissuto la dittatura di Augusto Pinochet», racconta
Roxana Campos Araya, artista e attrice. Ha organizzato un temazcal,
un rituale con la terra dei popoli originari. Indossa una lunga gonna e
tiene in mano un mazzo di fiori. «Oggi vedo tante donne che manifestano
e non hanno paura. Credo sia anche un momento di rinascita», aggiunge
mentre accende l’incenso che «serve per purificare e liberare nuove
energie»uella delle Mujeres de Luto, come hanno chiamato la camminata, è
stata una marcia pensata per denunciare le violazioni dei diritti
commesse dalle forze di sicurezza, in particolare sotto la condizione
dello stato di emergenza. Un evento in cui un soggetto collettivo ha
occupato lo spazio pubblico e ha preso la parola usando la creatività
come forma di contestazione.
Un farsi politico, che diventa desiderio, ideato passando per le assemblee popolari, i cabildos,
che si organizzano in tutta Santiago, quasi ogni giorno, dalle sedi
delle università ai barrios popolari. Per chiedere «verità e giustizia»,
come si legge su un cartello di una delle donne che ha partecipato al
rituale di Araya.
«MARCIAMO come
se avessimo perso un familiare. Lo stiamo facendo per ricordare le
venti persone morte da quando i cileni sono tornati in strada», afferma
Laura, 39enne che vive e lavora nella capitale. È vestita completamente
di nero e tiene un fazzoletto bianco legato al polso.
«Ci
continuano a uccidere, anche se siamo in democrazia», racconta mentre
passa accanto alla Chiesa di San Francesco. La facciata è stata
ricoperta con le foto dei giovani scomparsi dall’inizio delle
manifestazioni. C’è l’immagine di Joshua Osorio, un ragazzo di appena 17
anni che viveva nel quartiere popolare di Villa Miraflore de Renca. È
desaparecido dallo scorso 21 ottobre e potrebbe essere uno dei corpi
carbonizzati ritrovati in un supermercato saccheggiato. Non è possibile
identificarlo perché le autopsie non sono mai state eseguiteoto di Irupé Tentorio
Secondo
i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale dei diritti umani (Indh),
organismo indipendente cileno, da quando sono iniziate le proteste sono
4.271 le persone detenute in tutto il paese. Le donne sono almeno 656 e
si contano 471 adolescenti. I feriti ricoverati in ospedale sono 1.305,
tra cui 38 manifestanti colpiti con proiettili di ferro e 27 con
proiettili di gomma. Ma, secondo le organizzazioni civili, i numeri
sarebbero più alti. «Molti hanno perso un occhio perché i milicos puntano direttamente alla vista di chi marcia pacificamente», continua Laura.
Le
organizzazioni denunciano torture, sparizioni e stupri, per cui sono
state avviate 18 denunce. Lo stesso Indh ha portato all’attenzione
dell’Onu un caso di tortura con violenza sessuale da parte dei militari
nei confronti di un giovane che, fermato vicino al palazzo della Moneda,
è stato rinchiuso per ore in una camionetta della polizia antisommossa,
picchiato e torturato. «E questo non è l’unico caso. Ci sono donne che
sono state violentate dalle forze di sicurezza. Non è possibile che il
governo non faccia nulla», aggiungeoto di Irupé Tentorio
PIÑERA HA CAMBIATO otto
ministri del suo gabinetto. Un tentativo per cercare di frenare
l’ampliarsi delle manifestazioni, ora arrivate anche a Valparaiso e in
altre città. La sostituzione era stata annunciata lo scorso 26 ottobre e
il presidente l’ha giustificata affermando che, se il Cile è cambiato,
anche il governo deve essere in grado di affrontare nuove sfide.
«Sì,
Piñera ha un nuovo governo ma è stata solo un’operazione di facciata.
La ministra dell’Educazione, uno degli incarichi principali, è ancora
là. E noi chiediamo un’educazione pubblica, che sia di livello e che
garantisca a tutti le stesse possibilità. Stiamo chiedendo un salario
minimo, una pensione adeguata», continua Lauraoto di Irupé Tentorio
«La
mia generazione non avrebbe mai pensato di vivere un momento del genere
– prosegue – Devo ringraziare i ragazzi che hanno dato il via a tutto. È
stata come una miccia che ha infiammato una prateria, una presa di
coscienza».
«NON SO COSA SUCCEDERÀ,
è la domanda che ci stiamo facendo tutti. Ma, sicuramente, non siamo
tornati alla normalità come sostiene qualcuno», spiega parlando di una
capitale che è ancora militarizzata, che vede le sue strade attraversate
dalle camionette, ferme agli angoli dei quartieri centrali. «Noi
chiediamo che si arrivi a un’assemblea costituente. La Costituzione è
ancora quella di Pinochet e deve essere cambiata. Per questo continuiamo
a occupare la strada con i nostri corpi».
Il Manifesto 3/11