domenica 26 gennaio 2020

Le parole per dirlo
"Informati ed insipidi"

Spesso mi sento dire: "Parli troppo semplice". Alcune persone si stupiscono, a volte si scandalizzano perché in questi articoli o nelle prediche parlo "troppo semplice". Non trovano "termini tecnici", ragionamenti teologici, citazioni scientifiche. Al contrario trovano esempi tratti dalla vita quotidiana, riferimenti a fatti accaduti. E, di conseguenza, ritengono i miei discorsi inutili, non all'altezza, poco culturali. Mi scuso con loro per questa mia scelta. So che molti cercano di meglio da leggere per nutrire la loro ricerca. Io stesso, proprio oggi, ho letto un libro sul rapporto  tra la teologia e il post-cristianesimo (C. Dotolo), scritto con un linguaggio davvero complesso, altamente scientifico. Eppure vorrei provare a spiegare perché continuerò ad usare il mio solito linguaggio "troppo semplice".
Ecco alcuni motivi:
1. Per non ridurre tutto a concetto. Noi occidentali riduciamo tutto ad idea e, così facendo, perdiamo lo spessore della realtà. Abbiamo idee, ragionamenti, teorie, ma la vita quotidiana resta fuori. Così il pensiero va da una parte e la vita quotidiana dall'altra. La vita sembra poca cosa, non degna di essere considerata. Eppure è tutto ciò che abbiamo: ci alziamo al mattino, ci laviamo, facciamo colazione, andiamo al lavoro, incontriamo gente, facciamo la spesa, prepariamo tavola, ci arrabbiamo, ci divertiamo, piangiamo, amiamo. Questa è la nostra vita. Usare il linguaggio della quotidianità e fare esempi concreti ci può aiutare a prendere in mano la vita reale, non solo la nostra "idea" di vita.
2. Per tirar dentro ciascuno di noi. Troppo spesso siamo spettatori dei discorsi altrui, siamo spettatori di teorie. Il linguaggio quotidiano e gli esempi ti tirano dentro e ti fanno sentire interpellato, protagonista. Non ti lasciano indifferente. I racconti, i simboli, gli esempi aprono una strada su cui puoi camminare, dentro cui puoi pensare la tua vita. La questione di fondo non è capire ma vivere. Il pensiero è importante, saper argomentare è necessario, usare la propria testa è basilare. Non mi stancherò mai di invitare a leggere, studiare, confrontarsi. Ma sono convinto che sia necessario  un pensiero col quale guardare la vita quotidiana, un pensiero che cerchi faticosamente il senso nella concretezza. Altrimenti la vita si svuota, diventa muta, insignificante. Aumentiamo le informazioni e perdiamo la sapienza, cioè la capacità di trovare il "sapore" delle cose. Rischiamo di essere informati ed insipidi. Abbiamo bisogno di un pensiero che coinvolga la nostra costante sete di trovare un significato al lavoro, agli affetti, ai dolori. Un pensiero in grado di far emergere la speranza. In termini alti si dice: un pensiero che metta in conto la libertà.
3.Per mettere la vita in relazione con Dio. Gli studiosi dicono che il cristianesimo sta vivendo un'epoca di "esculturazione", cioè è fuori dalla cultura, dal modo concreto degli umani di stare al mondo, di mangiare, di lavorare, di amare. In parole semplici oggi Dio è fuori dalla vita concreta. Il mio sogno è lavorare per ritrovare Dio nelle vicende quotidiane: quando metti su l'acqua per la pasta e quando ti siedi a tavola. Dio non è un concetto, ma una Presenza costante. Anche dentro il linguaggio quotidiano.
Derio Olivero, Vescovo di Pinerolo

(L'Eco del Chisone, 15 gennaio)