Chi nega le violenze in carcere è colpevole quanto chi le fa
- Le violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere svelata dal Domani impongono una riflessione sul sistema carcerario. E meritano giustizia.
- Il carcere non è una discarica, ma deve tendere al reinserimento. I detenuti sono persone e vanno trattate come tali. A Santa Maria Capua vetere è stato sospeso il diritto. Una vicenda che ricorda il massacro della scuola Diaz a Genova nel 2001.
- C’erano agenti che non hanno fermato il massacro. La stessa indifferenze che numerosi pubblici ufficiali hanno avuto con pestaggio mio fratello Stefano, morto sei giorni dopo le botte in caserma, senza che nessuno si accorgesse di nulla.
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LaPresse
Non
ho mai smesso di chiedermi il perché di tanta violenza. Non riesco a
cancellare dalla mia mente l’immagine del corpo di mio fratello
Stefano, martoriato dai colpi inflittogli e poi abbandonato dagli
innumerevoli pubblici ufficiali che lo hanno visto durante il suo
calvario fino alla morte, sei giorni dopo il violentissimo pestaggio.
Sospensione del diritto. Come accaduto nel Carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Video
e testimonianze raccolte dai magistrati ricostruiscono scene di una
violenza spietata, perché scientificamente coordinata.
Ho
assistito, durante il lockdown, chiusa in casa con i miei figli, alle
immagini di quei convogli militari che portavano via da Bergamo le bare
dei morti di Covid-19.
Ho proprio
pensato alle carceri. Alle celle sovraffollate dove vige la sospensione
dei diritti umani. Mi sono chiesta cosa potessero pensare quelle
persone, perché di persone si tratta, quando ascoltavano le
raccomandazioni pressanti a tutti i cittadini affinché rispettassero le
norme di sicurezza necessarie.
Distanziamento,
cautela e mascherine. Mi sono chiesta se qualcuno non dovesse aver a
cuore la sorte di quei detenuti. La loro paura e la profonda
frustrazione che dovevano provare nell’ascoltare quei drammatici appelli
che giustamente venivano ossessivamente lanciati e cui loro, per
destino e pena, dovevano rimanere destinatari esclusi e estranei.
A Santa Maria Capua Vetere è accaduto qualcosa di spaventoso.
Sono
arrivati in trecento, da altri istituti, in tenuta anti sommossa,
coperti dai caschi, anonimi. Hanno picchiato, picchiato e ancora
picchiato. Calci, schiaffi, insulti ed altre violenze. Non hanno
risparmiato nemmeno un detenuto sulla sedia a rotelle.
«Avete fatto la protesta?» dicevano.
La
mente corre alla tristemente nota “macelleria messicana” di Genova
della scuola Diaz, nel luglio del 2001 durante le proteste durante il
G8, il summit dei potenti del mondo.
Erano in trecento, a Santa Maria Capua Vetere. Giovani e forti ma tutt’altro che nobili e valorosi.
A tutto ciò hanno assistito, in silenzio, forse impotenti, i loro colleghi di servizio in quel carcere.
Mi
rifiuto di pensare che si tratti soltanto di mele marce. Chi avrà la
tentazione di parlare di questo mancherà di rispetto all’intelligenza di
tutti noi cittadini.
Sarebbe un’intollerabile ipocrisia cui preferirei le violente e strampalate difese di politici privi di scrupoli e umanità.
Ma
non voglio nemmeno sentire parlare di violenza di Stato. Vi prego non
fatelo perché questo non è lo Stato. Non lo può essere. Questo è anti
Stato. Questo è crimine efferato commesso verso persone indifese.
Qualcuno si affretterà a dire che in fin dei conti sono comunque delinquenti.
Lo
considero inaccettabile perché, nella migliore delle ipotesi, sono
uomini e donne che hanno sbagliato, che magari hanno anche commesso
gravi errori. Il carcere, però, non può e non deve essere questo. Il
carcere in uno stato di diritto ha una funzione sociale:
il reinserimento, non l’annientamento.
«In galera e buttiamo via le chiavi» sento dire sempre più spesso.
Tutto
questo è disumano e fa paura perché appartiene a una cultura disumana.
Cinica e desolatamente priva di ogni parvenza di sensibilità. Facile
parlare in questo modo quando queste tragedie le si vive come se fossero
un film americano fantascientifico. Quando da esse non ci si sente in
alcun modo toccati.
Tanto di cappello ai magistrati che stanno facendo il loro dovere con competenza e dedizione.
Non
sarà facile per loro, quando accadono questi fatti così terribili
e inaccettabili, è più semplice negarli. Offuscarne i contorni
diluendone il ricordo con anni di processi e di propaganda deviante e
deviata.
L’ Italia è un grande paese democratico. Un modello di diritto. Vero.
Ma assecondare e negare distorsioni e crimini ne incrina le fondamenta.
Ilaria Cucchi
Attivista per i diritti umani, ha fatto una campagna per indagare sulla morte del fratello, Stefano Cucchi