lunedì 30 novembre 2020

L'AUTUNNO DELL'ARCIVESCOVO
Successione e inchiesta nella diocesi torinese clima da fine mandato


Momenti delicati per la diocesi torinese. Sfiducia, incertezza sul futuro. Effetto Covid, ma anche il clima da fine mandato di monsignor Cesare Nosiglia. Destinato alla cattedra di San Massimo da Benedetto XVI nell'ottobre 2010, ha cercato di segnare il suo episcopato con un apprezzato impegno sociale. Il banco alimentare, la vicinanza ai lavoratori, non ultimo il discorso ai sindacati di poche settimane fa; l'interessamento per le vertenze più complicate,  come l'Embraco; la presenza nei campi Rom e, tramite la Caritas, l'attenzione ai più dimenticati come i migranti. E, ora, alle famiglie segnate dalla pandemia.

L'arcivescovo, 76 anni, è stato prorogato dal Papa fino a settembre 2021. Il Concistoro del prossimo 28 novembre ha riattivato i rumors. Tra i 13 nuovi cardinali c'è il suo successore? Bergoglio, secondo buone fonti ecclesiastiche d'oltre Tevere, non intende procedere fino a San Giovanni. Deve pensare prima a posti chiave in Vaticano e ai nomi per importanti sedi, come Napoli. Alcuni li prenderà da quell'elenco. La porpora non arriverà più sotto la Mole, almeno per ora. Previsioni? Molti sperano in monsignor Derio Olivero, classe 1961. La fusione Torino-Pinerolo-Susa è ipotesi con qualche fondamento, visto che il Papa insiste: le diocesi in Italia sono troppe. Altri puntano sul vescovo di Tortona - Vittorio Francesco Viola, classe 1965 - piemontese di Biella, francescano come il nuovo arcivescovo di Genova, Marco Tasca: un "asse" nel nome di Assisi. Si parla anche dell'arcivescovo di Vercelli, Marco Arnolfo, torinese, classe 1952, e del parroco di Santa Rita a Torino, Mauro Rivella, classe 1963, con una esperienza importante in Vaticano alle spalle. Con Francesco, va da sè, di Torino si saprà al fototinish.

Nessuna accelerazione? Dipende. Dall'eventua1e rinuncia anticipata dello stesso Nosiglia - per motivi di salute - o da qualche sviluppo dalla Procura che sta ancora indagando sui tre sacerdoti torinesi don Salvatore Vitiello, don Luciano Tiso e don Damiano Cavallaro per le "vocazioni forzate". L'arcivescovo è nervosissimo. All'ultimo Consiglio presbiterale - dopo che in settembre, con le tenaglie, i sacerdoti avevano ottenuto un comunicato con le scuse  per le famiglie che stavano soffrendo per quelle situazioni - ha battuto i pugni sul tavolo: «Basta, mi sono comportato al meglio, la questione + chiusa». E ancora, duro con alcuni collaboratori laici: «Ce la vediamo tra preti».

Snodo cruciale il clericalismo. La diocesi di Torino conta 354 parrocchie e 980 sacerdoti (473 diocesani e 507 religiosi). E poi circa tremila religiosi (di cui oltre duemila suore) e 137 diaconi permanenti. I parroci sono stanchi, si occupano di poveri, di anziani, di giovani (se li hanno); celebrano funerali, matrimoni, messe e prime comunioni, seguono gli oratori (dove ancora esistono) e mille attività. Poco il tempo per pensare, a malapena per pregare. Non hanno buone relazioni con Nosiglia e non lo ascoltano. In questi dieci anni sono state affidate parrocchie ai primi che capitano (per non perdere i fondi dell'8xl000): come ai due religiosi del Verbo incarnato seguaci del condannato per abusi padre Carlos Buela, co-parroci alla Pier Giorgio Frassati e a Maria Madre della Misericordia. E hanno ordinato preti, anche se inadatti, pur di averne. Ha senso? Di mano in mano gira un libro del benedettino Michael Davide Semeraro - "Preti senza battesimo?" - contro le ipocrisie ecclesiastiche. Si diventa sacerdoti per un "salto ontologico" sui cristiani normali: intoccabili, superiori. Ecco la distorsione che si annida dietro alla vicenda di tanti giovani in talare e dei tre preti nel mirino della Procura.

Le indagini sulle "vocazioni forzate", in capo al Pm Marco Sanini, non sono concluse dopo l'intensificazione estiva. Una prescrizione potrebbe scattare per la denuncia della prima ragazza fuoriuscita. Ma è probabile che il magistrato stia valutando le piste più recenti: i versamenti in denaro di famiglie e giovani in convento alla associazione "Logos e persona" gestita dal terzetto. Si vedrà. Così come per il fascicolo aperto dal Vaticano.

Clima plumbeo, «clero diviso», altri casi messi a tacere, morale sotto i tacchi. Eppure, una Chiesa torinese ridestata e riflessiva contribuirebbe non poco alla costruzione del futuro della città. L'occasione? L'assemblea diocesana spostata per il Covid a primavera 2021 inoltrata. Elementi positivi? Dal 19 al 21 alcuni giovani parteciperanno convinti a "Economy of Francesco", il forum mondiale voluto dal Papa sul nuovo modello di economia. La scorsa settimana, don Luca Peyron, cappellano universitario, coordinatore di "Apostolato digitale" e catalizzatore dell'impegno sull'Intelligenza artificiale a Torino, ha affascinato online i giovani imprenditori con uno speech sull'uso delle tecnologie. Negli ultimi tempi, poi, in diocesi sono stati "ripresi a bordo" i credenti progressisti di "Chicco di senape". Il gruppo, nato nel 2007, provocò non pochi mal di pancia all'allora cardinale Poletto in pieno dibattito sui Pacs. In prima linea il leader storico dell'aggregazione, l'ingegnere torinese Beppe Elia, nel frattempo diventato presidente nazionale del Meic, il Movimento ecclesiale di impegno culturale. E Claudio Clancio, filosofo e presidente del Centro studi Luigi Pareyson: «Ho percepito un grande interesse degli uffici diocesani a ragionare sulla "Chiesa in uscita", meno sul territorio». Progetti non ne mancano, così come esperienze di punta piccole e grandi. Sermig, Gruppo Abele, per dire. «Rispetto agli episcopati di Pellegrino e Ballestrero - conclude il sociologo Franco Garelli, autore di "Gente di poca fede" e attento osservatore del mondo cattolico torinese - ci si è un po' esauriti e chiusi nel "fare", perdendo gli spunti intellettuali. La Chiesa di Francesco è amata, ma molti sono perplessi. Bisogna mettere a fattor comune idee e visioni, renderle pensieri e soluzioni,  guardando lontano ed evitando ogni individualismo». 

Francesco Antonioli


la Repubblica 17 novembre