domenica 23 maggio 2021

A GERUSALEMME VENTO DI RIVOLTA

 A Gerusalemme soffia il vento della rivolta

Elias Khoury

Gerusalemme è la Palestina. I suoi abitanti hanno ridisegnato la topografia. Le mappe ideate dall’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sono diventate carta straccia. La bolla arabo-israeliana degli accordi di Abramo del 2020 è esplosa. Le scene della firma a Washington e le celebrazioni per la normalizzazione dei rapporti a Dubai e ad Abu Dhabi si sono rivelate una farsa. A Gerusalemme, alla porta di Damasco e nel quartiere di Sheikh Jarrah, i palestinesi hanno dichiarato che la loro è terra di resistenza, che chi crede di averla seppellita sotto le macerie delle grandi potenze arabe s'illude, e non sa cosa significa resistere fino alla morte. A Gerusalemme si riaccende lo spirito dell’intifada e lampi di luce infrangono l'oscurità della notte araba. A Sheikh Jarrah non abbiamo più bisogno di leggere i libri di storia sulla nakba (catastrofe, l’esodo dei palestinesi) del 1948. In Palestina la nakba è ogni giorno. E a Gerusalemme assume la sua declinazione più brutale.

Il vento impetuoso di Gerusalemme è il primo segno che la Palestina sta aprendo le porte a una terza grande sollevazione. L’arroganza dei coloni è intollerabile e Israele sta assumendo un potere assoluto. Ma l’illusione che la questione palestinese fosse finita, dissolta nei barili di petrolio, come avevano fatto credere i tradimenti dei regimi arabi, è svanita.

La questione palestinese riguarda innanzitutto la Palestina, e ogni decisione è nelle mani di un solo popolo. Come hanno potuto pensare che i palestinesi si sarebbero lasciati fare a pezzi? Questa idea israeliana, condivisa da altri paesi arabi, si basa su due fattori. Il primo è il collasso del mondo arabo generato dalla controrivoluzione, che ha soffocato i venti democratici delle rivolte popolari. Il secondo è la grettezza della leadership palestinese e del capitalismo palestinese, parassitario e traballante, che ha costruito un’economia dipendente da Israele, alimentato illusioni neoliberiste e fabbricato città sul modello degli insediamenti israeliani.

Il tracollo del mondo arabo è uno scenario reale e irreale allo stesso tempo. Perché se da un lato la forza vitale di un popolo sembra inesauribile, dall’altro lo è anche l’arroganza di chi esce vittorioso dai grandi cambiamenti. In questo senso, gli accordi di Abramo rappresentano uno degli errori di valutazione peggiori di sempre. Infatti hanno avuto più successo dei piani precedenti, ma hanno tradotto la normalizzazione in sottomissione, portando alcuni leader politici a compiacersi della sconfitta.

L’umiliazione che hanno subito le persone, spaventate dalla minaccia della fame e degli sfollamenti, si è fatta insopportabile. L'Autorità nazionale palestinese (Anp), che si era rinnovata alla fine della seconda intifada, dopo la morte di Yasser Arafat e il golpe contro di lui, ha instaurato un regime autoritario, lacerato dalle divisioni interne. Ha perso la capacità di presentare un progetto politico che porti un minimo di coesione. Il suo unico programma è stato abbandonarsi all’illusione della resa, uno spauracchio alimentato dagli Stati Uniti. La polizia palestinese è diventata uno strumento di repressione, che mira all'arresto dei giovani delle Brigate dei martiri di Al Aqsa, per arrivare a una pace imperfetta, dando ai palestinesi una parvenza di stato. L’apice si è raggiunto con il rinvio delle elezioni palestinesi, dietro il pretesto che Israele non aveva concesso l’autorizzazione per il voto a Gerusalemme. Sappiamo tutti che è solo l’ultimo trucco dell‘Anp per impedire il cambiamento.

Gerusalemme per risorgere non ha chiesto il permesso né agli israeliani né all'Anp, che non ha alcun potere sulla città. Anzi, i canti che bruciano le gole dei suoi abitanti in questi giorni la sfidano apertamente.

Stati Uniti e Israele hanno deciso di considerate Gerusalemme la “capitale eterna” di uno stato che non sarà eterno, perché la storia non riconosce l’eternità di nessuno. Questa città, santificata dal sangue dei suoi martiri, è stata trasformata in albero nella Notte del destino (una delle notti della line del mese del Ramadan). È una pianta dai fiori bianchi, simili a lanterne, che si schiudono di notte per poi richiudersi durante il giorno. Nelle notti di Gerusalemme in cui sono cominciati gli scontri gli uomini e le donne di Gerusalemme sono diventati alberi che portano lampade di libertà. I palestinesi hanno annunciato di essere il destino della loro città, e la Palestina si è riempita di lanterne bianche insanguinate. Abbiamo visto quegli alberi urlare e affrontare gli occupanti, per affermare quanto profonde siano le loro radici, così profonde da non potere essere sradicate.

A Gerusalemme la Palestina ha respirato il profumo dell’intifada. Gerusalemme non ha aspettato e non aspetterà, ma sa che gli alberi della Notte del destino riempiranno tutta la Palestina del profumo della libertà.

Internazionale, 14 maggio