venerdì 4 giugno 2021

UNA STRAORDINARIA TESTIMONIANZA

 "A 16 anni sono Ludovica

Dall’odio transfobico mi ha


 salvato la mamma"


«Un giorno li ho fermati tutti in corridoio e ho detto: basta pettegolezzi, sì, sono trans, avete qualcosa in contrario?». Ludovica, 16 anni, orgoglio e coraggio. «Sai cos’è l’odio? Trovare sul profilo Instagram persone che ti minacciano: lo sappiamo che prima eri Luca, attenta, quasi ci fosse qualcosa da nascondere. Il tizio che a scuola passa e urla: dov’è il finocchio? Chi pensa che in quanto transgender possa accettare ogni forma di approccio sessuale. Io sono forte, mi difendo, ho la mia famiglia alle spalle, ho tante amiche e amici. Ma la transfobia e l’omofobia ci sono e fanno male, quest’odio bisogna fermarlo».

Ludovica Gentilini ha soltanto 16 anni ma già almeno due vite alle spalle. Un’infanzia in un corpo di maschio, un’adolescenza, oggi, in un corpo femminile. «Sono donna da sempre, da quando ho percezione di me. Anche se la società ha cercato di correggermi. Mi hanno salvato i miei genitori».

Storia di un pomeriggio normale con un’adolescente speciale. Ludovica, terzo anno di liceo Scienze umane, capelli lunghi, jeans stracciati, giacchino elegante («la moda è la mia passione»), fa parte di quell’avanguardia di teenager ammessi al trattamento con i farmaci bloccanti. Farmaci a base di "treptorelina" che nei ragazzi con "disforia di genere" fermano in modo revocabile la pubertà, per dare loro tempo di scegliere se continuare la transizione verso l’altro sesso.

Terapia al centro di feroci polemiche, finita, anche, nella guerra sul ddl Zan. L’avevamo incontrata due anni fa, nella stessa casa del quartiere Nomentano, nella sua stanza di ragazza. Due anni nei quali Ludovica ha passato la frontiera. La voce è cambiata, il viso addolcito. Ludo è molto più adulta dei suoi 16 anni.

Ludovica, a che punto sei della tua transizione?

«Ho iniziato a prendere gli ormoni.

Non è una passeggiata, ma sono felice dei risultati».

Potresti ancora tornare indietro?

«Forse sì, ma chi lo vuole? Questo cambiamento che risponde finalmente alla mia identità interiore è la mia felicità. Lo desidero da sempre. Detestavo il mio corpo di ragazzo. E al tempo giusto farò l’operazione definitiva».

Sai che c’è un forte movimento che condanna i farmaci bloccanti?

Ragazzi pentiti di aver iniziato la transizione così presto.

«Ho letto, è accaduto in Inghilterra.

Può capitare se non c’è una decisione vera e profonda. Forse in Inghilterra sono stati superficiali, in Italia no, ve lo assicuro, i controlli sono duri, lo vivo sulla mia pelle, c’è un’équipe di psicologi ed endocrinologi che mi segue da anni, al Saifip di Roma e all’ospedale Careggi di Firenze».

Cosa c’è scritto sui tuoi documenti?

«Ludovica Gentilini, da dicembre del 2020. C’è voluto un processo per abbandonare il mio nome maschile. E sono Ludovica anche sul certificato della cresima. Il vescovo sapeva benissimo della mia transizione. Fin da piccola mi sono sempre sentita accettata in parrocchia, al catechismo».

Eppure la Chiesa è ostile a percorsi come il tuo.

«Invece la mia esperienza è stata felice. Ero un bambino-bambina e mi lasciavano libera di essere com’ero. È uno dei motivi per cui sono ancora credente».

Conosci il disegno di legge Zan?

«Certo. L’ho letto. Seguo tutto.

Bisogna approvarlo, i gay, i trans in Italia sono discriminati, oggetti di odio, di aggressioni sessuali. Anche noi giovani. Basta aprire TikTok. Ci sono ragazzi che si uccidono. Il razzismo ci circonda».

Al liceo come sei stata accolta?

«Con il mio nome, Ludovica, anche se i documenti non erano pronti. Con rispetto da parte dei prof e la libertà di usare il bagno delle femmine. Con i compagni non è stato sempre facile, a volte ho sofferto molto. La forza me l’ha data la famiglia».

Racconta Ludo.

Ludovica sorride a Roberta, la mamma, che le è seduta accanto.

«Mia madre non si è mai arresa. E mio padre mi ha salvato da una psicologa che voleva correggermi. Si erano rivolti a lei perché il mio voler essere femmina aveva cominciato a preoccuparli. Nei negozi correvo al reparto delle bambine, mi mettevo i maglioni in testa per fingere i capelli lunghi, chiedevo bambole, trucchi, volevo la gonna. Io non ero Batman, ero sempre la fidanza di Batman. A mia madre chiedevo: quando cresco divento femmina?».

E i tuoi genitori come reagivano?

«Avevano scelto di lasciarmi essere come volevo, pur con l’imbarazzo di portarmi a scuola con lo zainetto rosa o i vestiti femminili».

La psicologa chiese invece di riportarti al tuo essere maschio?

«Aveva imposto a mio padre di buttare via tutti i miei giochi da bambina. Dovevo ritrovare la mia identità virile. Di fronte alla mia disperazione lui ricomprò tutto. Una volta, però, vedendo mia madre triste, ricordo di averle detto: oggi faccio il maschio».

Poi qualcosa è cambiato.

«Cercando informazioni inerenti, mia madre ha scoperto il blog di un’altra mamma, Camilla Vivian, che raccontava la storia di suo figlio, molto simile alla mia. Grazie a lei abbiamo scoperto all’ospedale San Camillo il centro Saifip che si occupa delle persone transgender. Lì abbiamo iniziato un percorso tutti insieme. Lì ci hanno salvato».

E domani?

«Spero di vivere un’estate felice.

L’amore?

Il ragazzo giusto non l’ho ancora incontrato. Capiterà. In fondo ho soltanto 16 anni».

Maria Novella De Luca, La Repubblica 3 giugno