mercoledì 6 ottobre 2021

IL CAPITALISMO DI CUI SIAMO COMPLICI

Ho trovato provocatoria e quanto mai realistica ed attuale la riflessione di Raffaele Alberto Ventura su Domani 2 settembre.

Già il titolo “Questa terra è troppo piccola per 8 miliardi di borghesi” lascia intendere che parla di noi.

Partiamo da questa Italia in cui dall’industria al turismo, dai consumi alle vacanze si registra una crescita esponenziale.

Davvero il capitalismo supera se stesso anche da un mercato delle armi e delle industrie farmaceutiche che crescono in tutto il mondo.

Ma tutta questa “baldanza esistenziale” sembra nascondere una “dispersione sociale” (Alberto Rollo) uno scollamento. Direi che una crescita delle disuguaglianze, una decrescita culturale e una caduta della solidarietà sono intrecciate e assai evidenti in questo scenario non solo europeo.

La giustizia italiana attraversa una delle stagioni più travagliate e avvelenata da conflitti di ogni genere.

L’ambiente è ancora il più citato e il più massacrato dalla realtà del mercato.

Ma il capitalismo non guarda ad altro che al mercato e le rivalità tra potenze alla fine diventano crescita di armi e di prodotti.

In realtà il capitalismo ogni giorno genera il suo lessico e le sue argomentazioni, soprattutto convincendo ognuno/a di noi che possiamo fare un passo in più nella logica e nella pratica del mercato aumentando ogni genere di consumi: un persuasore spesso occulto.

Per noi, che siamo borghesi, spesso senza il coraggio di dircelo, il confine tra necessario e superfluo non è più lucidamente espresso e coerentemente vissuto. Ma il mercato è sostenuto da alcuni pilastri della comunicazione.

Esso sa che, in molti soggetti il vivere senza significato apre e configura un vuoto interiore che può essere colmato con le “cose”, i prodotti.

Lo scopo è cancellare le domande di senso e sostituirle con le cose. Accedere a più consumi per alcuni compensa il deficit di personalità e favorisce una immagine sociale in salita. Possedere i mezzi di comunicazione favorisce non solo la conoscenza, la seduzione e la sollecitazione a comprare, ma apre un’altra “finestra” nella routine quotidiana di molte persone. Un vero borghese, come possiamo essere anche noi, facilmente cede al “bisogno” quasi permanente di qualcosa di nuovo. Il mercato mette tutto a disposizione, a nostro piacere. Il capitalismo del mercato produce sempre qualche “piacevole novità” come quasi una necessità per non scendere nella scala sociale o addirittura per salire.

Può darsi che questo espandersi del mercato nelle nostre vite lentamente corroda in noi il senso e la pratica della condivisione e della solidarietà e sposti il senso della nostra stessa esistenza dalle relazioni al possesso.

Tutto questo avviene mentre le disuguaglianze sociali crescono. E crescono le sofferenze delle persone che hanno ferite e patologie che le “cose” non possono coprire. La vita borghese è così intensa, così piena di cose e di soddisfazioni o occupazioni immediate, che vedere l’altro o vedersi dentro diventa sempre più raro e difficile. Anche Dio può diventare superfluo e il grido dell’ambiente sembra poco incisivo nel trasformare i nostri comportamenti.

L'espansione progressiva del tempo a nostra disposizione diventa spesso non uno spazio interiore o liberato per altri, ma una ricerca crescente di soddisfare bisogni veri e bisogni indotti, senza quel discernimento che la impercettibile seduzione capitalistica quotidiana lentamente spegne. 

Alberto Rollo sostiene che il passo decisivo sta nel riconoscere in noi, e non solo fuori di noi, questa dinamica del vivere quotidiano di normali borghesi. Nella realtà si tratta di un graduale e quasi inavvertito scivolamento nelle braccia multiformi della logica del mercato. 

Franco Barbero