venerdì 8 aprile 2022

- 30 -

 

fede e resistenza

 




SECONDA PARTE


José Ramos Regidor

SPIRITUALITÀ DELLA LIBERAZIONE E SIGNIFICATO DELLA RESISTENZA_6


 

Spiritualità e conflitto ecclesiale

 

Strettamente legata all'esperienza della repressione e dell'ingiustizia strutturale c'è in America Latina l'esperienza dell'incomprensione, della persecuzione, del conflitto ecclesiale. Infatti, la concretezza richiesta dall'opzione preferenziale per i poveri ha rivelato la vastità e la profondità delle divisioni all'interno della stessa chiesa cattolica. Le comunità di base e la teologia della liberazione, che accettano la prospettiva del socialismo come lotta contro il sistema capitalista che è all'origine della situazione di miseria e ingiustizia, rappresenta circa un terzo dell'intera chiesa cattolica latinoamericana, comprendendo circa un terzo dell'episcopato. La situazione è diversa in ogni paese: in Brasile per esempio, questa corrente è largamente maggioritaria e arriva a più del sessanta per cento dell'episcopato e della chiesa intera; in Argentina invece questo settore ha una consistenza numerica molto inferiore al terzo indicato. Queste percentuali hanno quindi un valore indicativo, da verificare nella diversità delle situazioni  storiche. Circa un altro terzo dell'episcopato e della chiesa latino-americana è impegnato per la difesa dei diritti umani, contro la repressione, ma in una prospettiva riformista, che non accetta la ipotesi socialista e si muove all'interno di una correzione dei difetti del capitalismo. E infine un abbondante terzo dell'episcopato e della chiesa cattolica latinoamericana hanno una posizione chiaramente conservatrice, molto legata ai centri di potere nazionali e internazionali; questi settori si limitano ad una denuncia generica delle violazioni dei diritti umani, ma senza scendere a scelte concrete, anzi favorendo regimi di democrazia autoritaria e limitata.

Si tratta quindi di una divisione che non è più quella tra episcopato e basso clero, o tra clero e fedeli; la divisione e il conflitto traversa verticalmente l'intera chiesa (episcopato, religiosi, preti laici), e ha come centro il modo di porsi di fronte alla situazione dei poveri. Ma da questo centro, la divisione si estende anche alla teologia, alla concezione della chiesa e dei ministeri, ecc. L'ultimo dei settori accennati, consistente e potente, è ben rappresentato da mons. Alfonso Lòpez Trujillo e dalle strutture ufficiali del Celam di cui egli è presidente. Negli anni precedenti  la riunione di Puebla, mons. Trujillo ha organizzato una vera lotta contro la teologia della liberazione, appoggiato da certi settori vaticani e da alcuni settori potenti della chiesa cattolica tedesca, specialmente attraverso le strutture dell'Adveniat, l'organizzazione della chiesa cattolica tedesca per gli aiuti all'America Latina.

 

Si ricordi la protesta di alcuni tra i principali teologi tedeschi contro questa lotta alla teologia della liberazione  nel novembre 1977 (cfr. Idoc internazionale n. 11, dicembre 1977; e tutto il dibattito suscitato in Aggiornamenti sociali, marzo 1978, pp. 223- 244). Essi puntavano ad una condanna della teologia della liberazione nell'incontro di Puebla. Anche se sono stati sconfitti, hanno mantenuto il controllo del potere ecclesiastico e continuano in altre forme la loro opposizione attiva alla teologia della liberazione, alle comunità di base e ai vescovi che si trovano in questa prospettiva. Anche attraverso la formazione di comunità ecclesiali di base che si trovino nella prospettiva della loro posizione conservatrice, mascherata da una interpretazione spiritualistica dei tempi della liberazione.

In ogni caso, all'esperienza della repressione politica si viene ad aggiungere con frequenza, l'esperienza dell'incomprensione, della persecuzione, del conflitto ecclesiale. Si può quindi dire che in certe fasi, la chiesa dei poveri si trova a vivere la fede e a pregare nella notte oscura del conflitto ecclesiale. Anche questo conflitto può produrre infatti confusione, sofferenze, delusioni e perplessità. Ma questo tipo di preghiera e di fede può anche servire a maturare e purificare la fede e la concezione della missione della chiesa, del significato della comunione ecclesiale e del ruolo del conflitto all'interno dell'unità. Di fatto, sollecitata anche da questa situazione, la chiesa dei poveri latinoamericana sta approfondendo questi temi. Essa riconosce innanzitutto che ogni comunità, anche senza prete e quindi a prescindere da un rapporto giuridico con il vescovo, è vera chiesa locale; nella dicitura «comunità ecclesiale di base», la parola ecclesiale sta a significare la loro realtà di chiesa in senso pieno, di realizzazione piena nella concretezza storica del mistero salvifico della chiesa universale (cfr. L. Boff, Ecclesiogenesi, Borla, Roma, 1977, passim); quindi la parola ecclesiale non sta a significare il riconoscimento giuridico da parte della gerarchia, anche se – soprattutto in paesi come il Brasile - le comunità cristiane di base sono appoggiate da buona parte dell'episcopato.

Da questa convinzione viene anche la loro posizione riguardante problemi aperti come la celebrazione della Cena del Signore senza il ministro ordinato (cfr. L. Boff, Ecclesiogenesi, pp. 102 ss), il possibile sacerdozio della donna (Ib., ultimo capitolo), ecc.

 

E da ciò anche la concezione dalla comunione con la chiesa universale: essa va posta a livello misterico, di fede, non necessariamente a livello di espressione culturale, teologica, o disciplinare e giuridica. Il criterio della comunione e dell'unità di fede è la sequela di Gesù nell'opzione per i poveri. Questa unità di fede, che non si identifica con l'unità voluta dalle classi egemoni, non è un principio astratto in nome del quale calpestare le diversità reali; si tratta di un'unità non ricevuta come un dato definitivo, ma come una promessa e una realtà da costruire al servizio del regno di Dio. Questa concezione dell'unità (cfr. Jon Sobrino, La unidad y el conflicto dentro de la Iglesia, in Estudios Centroamericanos, San Salvador, n. 348-349, ottobre-novembre 1977, pp. 787-804) è legata all'onestà nei confronti della realtà che è propria della spiritualità della sequela di Gesù: essa deve quindi riconoscere le divisioni e i conflitti realmente esistenti. Anzi, le comunità della chiesa dei poveri ritengono che il conflitto ecclesiale può avere anche un ruolo profetico, di stimolo alla conversione e alla reinvenzione della chiesa dal basso. Tuttavia, il servizio al regno di Dio, la sequela di Gesù nell'opzione per i poveri porta queste comunità a non acuire il conflitto, a non contrapporsi alla Grande-chiesa-istituzione. Esse riconoscono la realtà del conflitto esistente, denunciando a volte le possibili connivenze di alcuni settori della chiesa con i meccanismi della repressione, ma soprattutto cercano di vivere concretamente il difficile rapporto tra comunione, conflitto e servizio ai poveri alla loro liberazione. Ciò le porta ad evitare la contrapposizione a livello di principi astratti e a privilegiare la prassi ecclesiale di reinvenzione della chiesa dal basso all'interno di una prassi di trasformazione socio-politica della realtà. Soprattutto cercano di vivere creativamente la loro fedeltà di chiesa locale,  di chiesa in cui i poveri sono veri soggetti e protagonisti della vita ecclesiale. Ciò si esprime in una prassi in cui la singola comunità si comporta come comunità di base di adulti, che si  assume la responsabilità delle proprie scelte, senza ricorrere sempre al vescovo e senza sottolineare troppo differenze e contrasti. La spiritualità della chiesa dei poveri cerca di assumere anche  questa dialettica stabilendo una certa priorità tra i problemi posti dalla realtà per ottenere che la comunione e il conflitto ecclesiale siano realmente vissuti' al servizio della liberazione dei poveri. In questo contesto, quale deve essere il rapporto tra le esigenze della razionalità critica applicata alla realtà ecclesiale e quelle della trasformazione della realtà che è richiesta dalle grandi masse povere e abbandonate?

Forse questo è uno dei problemi centrali della spiritualità della  chiesa dei poveri. Leonardo Boff parla di un rapporto dialettico che le comunità cristiane di base devono avere con la Grande-chiesa-istituzione, per non lasciarsi integrare e svuotare della  propria creatività ecclesiale; per questo esse non devono sostituirsi alla parrocchia, ma rimanere organizzate in piccoli gruppi per evitare una nuova burocratizzazione e per favorire anche la formazione dei rapporti interpersonali (cfr. Ecclesiogenesi, p. 22). Ma fino a che punto sarà possibile vivere questa dialettica? Fino a che punto si può cercar di evitare la contrapposizione con la Grande-chiesa-istituzione senza essere trascinati sulla via del tradimento del servizio ai poveri, del distacco dalla loro lotta di liberazione? senza lasciarsi integrare nella logica della conservazione dell'istituzione come obiettivo prioritario? In quale misura si deve dire che, la lotta di liberazione dei poveri richiede anche la lotta contro le forme ideologiche di religiosità e quindi anche contro i settori ecclesiali più legati al potere dominante?

Certamente, è più facile scegliere uno dei due poli della dialettica che assumere la tensione tra i due. Ma forse è quest'ultimo  uno dei compiti propri di una spiritualità che nel servizio al regno di Dio e ai poveri richiede innanzitutto l'aderenza alla realtà nella molteplicità e articolazione concreta delle diverse situazioni storiche. È questa una delle sfide della chiesa dei poveri.


(continua 31,  10 aprile: José Ramos Regidor "Spiritualità della liberazione e significato della resistenza - Una spiritualità anche per noi")