lunedì 25 luglio 2022

IL PAPA CHIEDE SCUSA AI POPOLI INDIGENI

 Il Papa in Canada per chiedere scusa ai popoli indigeni

di PAOLO RODARI

Non avrà lo schema tipico dei voli internazionali papali, ma sarà un viaggio «penitenziale», incentrato sul dialogo e sull’ascolto con le comunità dei nativi gravemente abusate e vessate in passato dalle politiche di assimilazione culturali alle quali hanno contribuito molti cristiani e anche membri di istituti religiosi cattolici. Inizia oggi il 37esimo viaggio fuori i confini italiani di Papa Francesco, in Canada fino al prossimo sabato, la quarta volta di un vescovo di Roma in questo Paese dopo le tre volte di Karol Wojtyla, nel 1984, nel 1987 e nel 2002. Francesco, che toccherà Edmonton, capoluogo della provincia occidentale dell’Alberta, Quebec, nell’omonima provincia francofona, e Iqaluit, capitale del Territorio di Nunavut, nell’estremo Nord, a ridosso del Circolo polare, terrà nove discorsi pronunciati tutti in lingua spagnola. 

Anche se già lo scorso aprile incontrando alcune comunità native del Canada disse: «Per la deplorevole condotta di quei membri della Chiesa cattolica chiedo perdono a Dio».

Métis, Inuit e First Nations sono le popolazioni indigene colpite in epoca coloniale da politiche di assimilazione culturale. In 150mila furono i bambini costretti a frequentare le cosiddette «scuole residenziali», rompendo il legame con le loro famiglie, con la loro lingua e la loro cultura di origine. Molti di loro furono sottoposti a un vero e proprio «genocidio culturale», sradicati dalle loro famiglie, privati delle loro lingue e valori ancestrali, e anche picchiati, incatenati o imprigionati a scopo punitivo, nonché sottoposti ad abusi anche sessuali. Altri, denutriti, morivano durante la permanenza. Già all’inizio del secolo scorso un’inchiesta giornalistica portò alla luce il fatto che il 42 per cento dei minori che frequentavano scuole residenziali morivano prima dei sedici anni.

Dopo decenni di polemiche e di lotta per la verità a rinfocolare le reazioni dei sopravvissuti, dell’opinione pubblica e della politica è stato il ritrovamento nel maggio del 2021 dei resti di 215 bambini in una fossa comune presso l’ex scuola residenziale indiana Kamloops, nella Columbia Britannica. Poche settimane più tardi sono state ritrovate ben 751 tombe anonime in un’altra scuola a Marieval nel Saskatchewan. E ancora, nel mese di luglio, c’è stato un ultimo ritrovamento di 182 tombe nei presi dell’ex scuola residenziale della missione di Sant’Eugenio, vicino a Cranbrook.

Ma adesso le comunità reclamano il ritorno degli oggetti appartenuti ai loro antenati, molti dei quali inviati a Roma per la vasta Esposizione Missionaria Pontifica voluta da Papa Pio XI nel 1925. Consegnati da missionari in tutto il mondo, gli oggetti hanno formato, alla chiusura dell’Esposizione, la base del museo etnologico missionario Anima Mundi. Pezzi più antichi, già entrati tra i possedimenti della Chiesa cattolica, confluirono nel museo, tra cui manufatti precolombiani donati a Papa Innocenzo XII nel 1692. Attualmente oltre 80mila oggetti ed opere d’arte sono custoditi dal Museo Etnologico, che dagli anni Settanta dal palazzo del Laterano è stato spostato nei Musei Vaticani. In marzo alcuni delegati delle comunità indigene hanno visitato il museo e sollevato il tema della restituzione con lo stesso Pontefice. «Dobbiamo sederci con le autorità della Chiesa per parlare del rimpatrio», ha detto al sito Hyperallergic Phil Fontaine della Sagkeeng First Nation, chiedendo un’azione immediata.

Durante i sei giorni di visita Papa Francesco, oltre alle comunità dei nativi, incontrerà anche la governatrice generale Mary Simon (lei stessa di madre inuit) e il primo ministro Justin Trudeau. E non mancheranno riferimenti al tema a lui particolarmente caro della cura del creato e dei mutamenti climatici che attanagliano il mondo in ogni latitudine. Dopo domani nel pellegrinaggio al “Lac Ste. Anne” ci sarà una vera e propria «benedizione del lago». Altre parole, sullo sfondo, sono attese anche rispetto alla guerra in Ucraina, vista tra l’altro l’ampia comunità di profughi presenti in Canada.

La Repubblica 24 luglio