lunedì 1 agosto 2022

DOPO IL GRANDE INNO SABBATICO

 "Quest'anno è tutto mirabilmente intessuto sulla immagine del sabato visto come sposa che sta per congiungersi all'assemblea di Israele, cosicché anche il doloroso ricordo dell’avvilimento esilico, in cui ora giacciono Gerusalemme e il tempio, viene a smorzarsi nella trepida attesa del sopraggiungere del riscatto e dell'esultanza del tempo messianico: «Vieni o sposa, vieni o sposa! In mezzo ai fedeli del popolo prediletto, vieni o sposa, Sabato, Regina!»

Recitate queste parole conclusive dell'inno, l'assemblea si alza e si rivolge verso la porta e, come se salutasse uno ospite, pronuncia parole che riprendono il tema (appena esposto) dell'invito ad andare lietamente incontro alla sposa".


Piero Stefani, Il nome è la domanda, Morcelliana, pag. 219.


"L'insurrezione del ghetto di Varsavia sta estinguendosi sotto il peso della repressione nazista. Di fronte agli ultimi resistenti la sconfitta e la morte, preventivate fin dall’inizio, battono ormai alle porte. Uno

di essi, in procinto di capitolare, si affida a una delle più preziose realtà d’Israele: la parola, la parola rivolta a Dio e agli uomini. Egli scrive: «…io naturalmente non aspetto un miracolo e non chiedo al mio Dio di avere pietà di me. Egli mi tratti pure con la stessa indifferenza che ha mostrato a milioni di altri membri del suo popolo: io non sono un'eccezione alla regola, e non pretendo ch’egli mi conceda una attenzione particolare, io non cercherò di salvarmi, non: tenterò di fuggire di qui. Preparerò il lavoro bagnando i miei abiti di benzina. Le bottiglie di benzina mi sono care come il vino lo è a chi si ubriaca. Appena avrò versato l’ultima bottiglia sui miei abiti, metterò questa lettera nella bottiglia vuota e la nasconderò tra le pietre. Se qualcuno più tardi la troverà, potrà forse capire i sentimenti di un ebreo, di uno di questi milioni di ebrei che sono morti: un ebreo abbandonato dal Dio a cui credeva tanto intensamente.

Io credo al Dio di Israele, anche se Egli ha fatto di tutto per spezzare la mia fede in lui. I miei rapporti con lui non sono più quelli di un servo di fronte al padrone, ma quelli di un discepolo di fronte al maestro. Io credo alle sue leggi anche se contesto la giustificazione dei suoi atti. Io mi piego davanti alla sua grandezza, ma non bacerò il bastone che mi infligge il castigo. Io l’amo, ma più ancora amo la sua legge […] Certamente noi abbiamo peccato. E ammetto anche che noi veniamo puniti per questo. Tuttavia vorrei che tu mi dicessi. se c'è un peccato sulla terra che meriti un tale castigo. Ti dico tutto questo, mio Dio, perché credo in te, perché credo in te più che mai, perché so ora che tu sei il mio Dio e non il Dio di coloro i cui atti sono l'orribile frutto della loro empietà militante […] Muoio sereno, ma non soddisfatto: da uomo abbattuto, ma non disperato, credente, ma non supplicante; amando Dio, anche quando mi ha respinto. Ho adempiuto il suo comando, anche quando, per premiare la mia osservanza, egli mi colpiva: […] Ti amerò sempre, anche se non vuoi. E queste sono le mie ultime parole, mio Dio di collera: tu non riuscirai a far sì ch’io ti rinneghi. Tu hai tentato di tutto per farmi cadere nel dubbio. Ma io muoio come ho vissuto, in una fede incrollabile in te».16

La fedeltà di questo ebreo resistente è l'arma stessa con cui si contrappone a Dio. Egli perciò continua a muoversi entro l'orizzonte della fede. Ama la Legge più di Dio, ma non ha ancora sostituito il ricordo della prima al secondo; lo dimostra il fatto che ultime parole di questa estrema testimonianza ebraica non sono quelle fin qui trascritte, ma altre, che, lungi dal sottolineare una stoicheggiante superiorità dell'uomo sofferente su Dio stesso, prospettano la speranza di un futuro riemergere di Dio dalla sua «eclissi»17: «Lodato sia da tutta l'eternità il Dio dei morti, il Dio della vendetta, il Dio della verità e della fede, che presto mostrerà nuovamente il suo volto al mondo e ne farà tremare le fondamenta con la sua voce onnipotente. Ascolta, Israele: l’Eterno è il nostro Dio, l’Eterno è l’Unico e il solo». Il destino della fede è affidato a quel grido a cui a tutt'oggi non è stata data risposta. Quest’invocazione infatti continua a risuonare agli orecchi dell’uomo, mentre ancora ci si deve interrogare come essa risuoni agli orecchi di quel Dio che continua a restar muto, proseguendo a tener celato il suo volto".


16 Lettera di un ebreo morto nel ghetto di Varsavia nel 1943, in «Studi, Fatti, Ricerche (Sefer) n 24; Milano, ottobre -dicembre 1983, p.5. Esistono fondati dubbi sull'autenticità documentaria del testo, ma ciò non ne compromette l'impiego, qui proposto, di moderno midrash.

17 L’espressione impiegata allude al titolo di un testo di M. Buber, L’eclissi di Dio, trad. it., Comunità, Milano 1983.


Piero Stefani, Il nome e la domanda, Morcelliana, pag. 260-263.