martedì 25 settembre 2018

Meno capi, più iscritti. Entrare negli scout è una missione (quasi) impossibile

Non sarà boom, però a Torino il numero degli scout continua a crescere. Oggi tra lupetti, adolescenti in reparto e giovani in clan, in città sono 2300 e il successo si ripete nel territorio metropolitano. Il numero cresce nonostante le difficoltà dovute a Erasmus, la mobilita studentesca, e alla mobilità lavorativa. In età da diventare capi, tanti che vorrebbero continuare il cammino devono invece lasciare. E senza capi i gruppi si assottigliano o chiudono. Far entrare i propri figli nell'organizzazione fondata da Baden Powell è una prospettiva che continua ad attrarre genitori che credono in un'educazione fondata su valori come l'altruismo, la solidarietà, l'autonomia. La proposta scout intriga tanto da creare addirittura, in alcune zone, liste d'attesa molto lunghe. «È una situazione che ha prodotto una battuta famosa: "Quando battezzi tuo figlio ricordati di iscriverlo agli scout», conferma Federico Maria Savia, 41 anni, medico, responsabile regionale Agesci Piemonte con Ilaria Meini.

L'interesse
«I gruppi ricevono più richieste rispetto alle possibilità di rispondere, in particolare nel centro città, a Rivoli. A Chieri lo scorso anno sono riusciti ad aprire un secondo gruppo», spiega Savia, Le famiglie - lo zoccolo duro gravita sempre intorno alle parrocchie e spesso scout è stato almeno uno dei genitori - tendono a cercare i gruppi vicini a casa, ad andare dove c'è un amichetto del figlio o a scegliere «il gruppo migliore» per passaparola.). «Capita molto in centro, alla Crocetta, a Cit Turin: ed è dove ci sono più gruppi che aumentano le richieste e si formano le liste. In periferia il posto c'è». Si diventa scout, insomma, anche per effetto «contagio».

In città
«I gruppi in città sono 23 - spiega Fabrizio Gallante, 45 anni, dirigente d'azienda, membro del Comitato di zona Agesci Torino -, 2300 ragazzi 400 capi-educatori. Un bel numero. Ma per aprire un gruppo di bambini o adolescenti servono almeno due capi, un uomo e una donna, la regola è questa, che devono fare un lungo tirocinio e campi di formazione. Ogni gruppo ha uno o due branchi, un reparto, un clan. Servono almeno dieci capi. E fare il capo è impegnativo, comporta parecchie rinunce». Per questo, in mancanza, ci sono gruppi che - per sopravvivere - fanno attività insieme. Il clan universitario Torino110, con sede presso gli Artigianelli, in corso Palestro, è una novità. «È stato creato per gli studenti fuori sede che desiderano continuare il cammino scout, anche se naturalmente possono entrare in qualsiasi gruppo. Ogni anno ne fanno parte 20-30 studenti di Politecnico e Università. Fanno servizio con i branchi e i reparti di Torino: è positivo per lo scambio di esperienze, per i nostri gruppi è una ricchezza. Il guaio è che molti torinesi vanno via» dice Savia.

Il percorso
L'ingresso in branco avviene di solito a 7-8 anni, ma al Torino 22 (Madonna della Guardia, via Monginevro) e al Torino 23 (San Giovanni Vianney, Mirafiori) ci sono anche «Colonie di castorini», i piccoli tra 4 e 6 anni. L'interesse delle famiglie, assicurano i responsabili, è trasversale alle condizioni sociali e culturali. «A livello nazionale, poi, si è puntato sull'accoglienza dei ragazzi di origine straniera e di quelli diversamente abili». La richiesta quindi aumenta. La «partenza», il momento in cui i giovani scelgono se continuare nell'associazione o restare fedeli alla legge scout nella società, avviene intorno ai 21 anni. Proprio l'età dell'Erasmus. Ma se arrivassero giovani pronti a formarsi per fare servizio nei gruppi senza essere stati lupetti? «Sarebbero i benvenuti», è la risposta.
Maria Teresa Martinengo

(La Stampa 10 settembre)