lunedì 19 agosto 2019

IL VERO ANALFABETISMO E' QUELLO EMOTIVO

di Moreno Montanari
Si fa un gran discutere dei risultati degli studenti italiani nei test Invalsi, che attestano per molti di loro seri deficit in italiano e matematica, o del livello di istruzione degli elettori della Lega, ma solo ad un occhio miope può sfuggire che la vera urgenza educativa si chiama analfabetismo emotivo.
Non si tratta tanto di "restare umani", come da più parti s’invoca in questi tempi di risentito cinismo, ma di imparare a diventarlo, come aveva capito benissimo Konrad Lorenz quando sosteneva che l’anello mancante fra la scimmia e l’uomo fosse proprio l’essere umano. 
Se si vuole davvero invertire la rotta, occorre ripensare ogni idea di formazione che creda di poter promuovere cambiamenti di mentalità soltanto mutando l’orizzonte valoriale di riferimento, magari potenziando nelle scuole le ore di educazione e cittadinanza.
Serve piuttosto una pedagogia sensibile al corpo, capace di orientare la grammatica sentimentale dei nostri vissuti, di educare alla consapevolezza delle emozioni e alle conseguenze dei nostri atteggiamenti. Urge un sapere capace di dare voce a quanto viviamo, alla confusione e alla complessità del mondo, dentro e fuori di noi, a partire dalla nostra personalissima vicenda biografica, per imparare a riconoscerla come inevitabilmente intessuta con quella degli altri. «Partire da ciò che provo, che sento », e non dal vago e semplicistico, «che cosa ne pensi?», significa «restituire all’individuo un’intenzionalità più soggettiva e libera dalle oggettivazioni culturali dominanti » o del senso comune, permettergli di esprimersi e di sentirsi realmente coinvolto in quanto apprende, riducendo la distanza tra il sapere teorico, che si conosce ma non si apprende, e la sua viva elaborazione personale. È questa l’idea che anima, sulla base di una pluridecennale esperienza, il bel libro di Ivano Gamelli e Chiara Mirabelli: Non solo a parole. Corpo e narrazione nell’educazione e nella cura (Raffaello Cortina editore). Educare, scrivono, «significa mettere in relazione ciò che siamo, con ciò che facciamo, sentiamo, pensiamo; è ricercare un’armonia, o quanto meno, un dialogo, tra le diverse dimensioni che ci attraversano".
È proprio a partire dal metodo biografico che la psiche individuale può interfacciarsi con le forme culturali della società, imparare a comprendere la propria esperienza, confrontarla con quella degli altri e immaginare come cambierebbero le cose se ci scambiassimo di posto. L’empatia di cui tanto, giustamente, si lamenta l’assenza resterà sempre un concetto vuoto se non viene sperimentato in una relazione viva che pone l’attenzione alle proprie emozioni ed esercita alla consapevolezza. Di qui una vasta proposta di pratiche filosofiche, corporee e biografiche che scandiscono le pagine di questo libro che tenta di incrociare saperi che faticano a comunicare tra loro, focalizzando l’attenzione sulla capacità di ascoltarsi e a familiarizzare con i propri vissuti. Perché, come scriveva il poeta John Keats, "la vita è un’avventura da vivere, non un problema da risolvere".

Il libro Non solo a parole
di I.Gamelli e C.Mirabelli (Raffaello Cortina editore, pagg. 156, euro 15)

La repubblica, 17 agosto