di
Moreno Montanari
Si
fa un gran discutere dei risultati degli studenti italiani nei test
Invalsi, che attestano per molti di loro seri deficit in italiano e
matematica, o del livello di istruzione degli elettori della Lega, ma
solo ad un occhio miope può sfuggire che la vera urgenza educativa
si chiama analfabetismo emotivo.
Non
si tratta tanto di "restare umani", come da più parti
s’invoca in questi tempi di risentito cinismo, ma di imparare a
diventarlo, come aveva capito benissimo Konrad Lorenz quando
sosteneva che l’anello mancante fra la scimmia e l’uomo fosse
proprio l’essere umano.
Se si vuole davvero invertire la rotta,
occorre ripensare ogni idea di formazione che creda di poter
promuovere cambiamenti di mentalità soltanto mutando l’orizzonte
valoriale di riferimento, magari potenziando nelle scuole le ore di
educazione e cittadinanza.
Serve
piuttosto una pedagogia sensibile al corpo, capace di orientare la
grammatica sentimentale dei nostri vissuti, di educare alla
consapevolezza delle emozioni e alle conseguenze dei nostri
atteggiamenti. Urge un sapere capace di dare voce a quanto viviamo,
alla confusione e alla complessità del mondo, dentro e fuori di noi,
a partire dalla nostra personalissima vicenda biografica, per
imparare a riconoscerla come inevitabilmente intessuta con quella
degli altri. «Partire da ciò che provo, che sento », e non
dal vago e semplicistico, «che cosa ne pensi?», significa
«restituire all’individuo un’intenzionalità più soggettiva e
libera dalle oggettivazioni culturali dominanti » o del senso
comune, permettergli di esprimersi e di sentirsi realmente coinvolto
in quanto apprende, riducendo la distanza tra il sapere teorico, che
si conosce ma non si apprende, e la sua viva elaborazione personale.
È questa l’idea che anima, sulla base di una pluridecennale
esperienza, il bel libro di Ivano Gamelli e Chiara Mirabelli: Non
solo a parole. Corpo e narrazione nell’educazione e nella
cura (Raffaello Cortina editore). Educare, scrivono, «significa
mettere in relazione ciò che siamo, con ciò che facciamo, sentiamo,
pensiamo; è ricercare un’armonia, o quanto meno, un dialogo, tra
le diverse dimensioni che ci attraversano".
È
proprio a partire dal metodo biografico che la psiche individuale può
interfacciarsi con le forme culturali della società, imparare a
comprendere la propria esperienza, confrontarla con quella degli
altri e immaginare come cambierebbero le cose se ci scambiassimo di
posto. L’empatia di cui tanto, giustamente, si lamenta l’assenza
resterà sempre un concetto vuoto se non viene sperimentato in una
relazione viva che pone l’attenzione alle proprie emozioni ed
esercita alla consapevolezza. Di qui una vasta proposta di pratiche
filosofiche, corporee e biografiche che scandiscono le pagine di
questo libro che tenta di incrociare saperi che faticano a comunicare
tra loro, focalizzando l’attenzione sulla capacità di ascoltarsi e
a familiarizzare con i propri vissuti. Perché, come scriveva il
poeta John Keats, "la vita è un’avventura da vivere, non un
problema da risolvere".
Il
libro Non
solo a parole
di
I.Gamelli e C.Mirabelli (Raffaello Cortina editore, pagg. 156, euro
15)
La
repubblica, 17 agosto