A
chi fanno paura i missionari
(
e le loro riviste)?
In
Italia vengono pubblicati 42 testate missionarie, riunite in
una federazione, la Fesmi, che le rappresenta e cerca di tutelarle.
Da quali nemici? Anzitutto dalla Conferenza Episcopale Italiana e da
quella «vaticanista ancillare» (definizione del compianto,
indimenticabile, Giancarlo Zizola) che obbedisce al diktat di qualche
monsignorucolo stazionante nei palazzi, dichiarato ‟comunicatore”
per decreto vescovile. Essi vedono il mondo missionario italiano
popolato da estremisti ed eversivi, quindi preferiscono attingere al
blabla curiale e non a sguardi ‟di prima mano” sugli esteri e
sulle frontiere dell’intricato mondo dei diritti umani, del dialogo
tra fedi e culture, dei giochi di potere a danno dei paesi in via di
sviluppo.
Tutto
ciò, ancora una volta, si è dimostrato palese con l'assenza dei
direttori delle principali riviste missionarie dal flusso (scarso) di
notizie relative a questo ‟mese missionario straordinario”.
L'unico è stato papa Francesco che il 30 settembre, ricevendo una
delegazione di istituti di fondazione italiana, ha ricordato: «Anche
la Chiesa Italiana ha bisogno di voi, della vostra testimonianza, del
vostro entusiasmo e del vostro coraggio nel percorrere strade nuove
per annunciare il Vangelo. Con un sistema mediatico che investe 120
milioni l'anno per uno share vicino allo zero, la Cei non sente
l'impulso di sostenere i media missionari che, nell'insieme,
raggiungono una ‟massa critica” di centinaia di migliaia di
lettori. In maggioranza persone di buon livello culturale, legate ad
ambienti ecclesiali o laici comunque sensibili ed attive nel campo
della solidarietà e nei movimenti d'opinione, a favore della pace e
della giustizia. Tutte considerate insignificanti da una Cei che non
riesce a mettersi in uscita neppure da uno dei suoi tanti pregi.
Filippo
Di Giacomo, il venerdì 11 ottobre