Biden: "Bibi allunga la guerra a Gaza per ragioni politiche"
Il presidente degli Stati
Uniti, Joe Biden, è in forte contrasto con il primo ministro israeliano,
Benjamin Netanyahu, sul futuro di Gaza. “È necessaria una soluzione a due Stati
– ha detto Biden in un’intervista al settimanale Time – e questo è il mio più
grande disaccordo con Bibi Netanyahu”. Biden ha confermato che Hamas, con
l’attacco del 7 ottobre, ha portato al conflitto in corso, ma ha anche detto
che gli israeliani hanno “tutte le ragioni” per credere che il premier “stia
prolungando la guerra a Gaza per ragioni politiche”. Anche se in serata dopo il
bastone ha mostrato la carota: “Bibi sta cercando di risolvere questioni molto
serie”. Eppure al Time il presidente americano ricorda che prima della guerra
Netanyahu ha tentato di cambiare la legge e l’ordinamento giuridico per non
affrontare le accuse di corruzione. Il conflitto ha nascosto, ma non cancellato
il problema. Non appena si interromperanno le operazioni militari, e
conseguentemente cadrà il governo, Netanyahu rischierà la galera.
In più ieri si è surriscaldato il fronte nord, con l’idf pronto “a un’eventuale
guerra al Libano: siamo vicini al punto in cui bisognerà prendere una
decisione”. In serata, mentre il gabinetto di guerra israeliano era in corso,
il Dipartimento di Stato Usa ha definito “la situazione tra Israele e Hezbollah
estremamente pericolosa”. Si apre, quindi, un altro scenario di possibile
guerra, mentre il capo della Cia William Burns vola a Doha e al Cairo per
spingere sulla proposta di tregua lasciando irrisolto il nodo del post guerra.
“Penso che ci sia un percorso chiaro per una transizione in cui gli Stati arabi
fornirebbero sicurezza e ricostruzione a Gaza – dice Biden al Time – in cambio
di un impegno a lungo termine per una transizione verso una soluzione a due
Stati”. Il premier israeliano, e i suoi alleati dell’ultradestra religiosa, non
ritengono possibile la creazione di uno Stato palestinese. Nella previsione di
Tel Aviv la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme Est rimarranno
separate e sotto la giurisdizione di autorità distinte. Sin dal primo giorno
dell’invasione di terra gli analisti militari hanno sottolineato che
l’obiettivo di “cancellare Hamas” non era realistico e che senza uno scopo
chiaro la guerra si sarebbe protratta senza consegnare all’area una nuova
stabilità. Netanyahu, che a fasi alterne guida Israele da oltre 20 anni, ha
sempre rifuggito possibilità di negoziare con la controparte. Dividere i
palestinesi, così da non avere nessun leader o fazione sufficientemente forte
da rappresentarli tutti.
Poche settimane fa, il governo israeliano ha pubblicato un piano “Gaza 2035”
che, con progettazione a tre fasi, dovrebbe riportare la Striscia a una sorta
di autogoverno. A corredarlo c’era un’immagine realizzata dall’intelligenza
artificiale dell’orizzonte di Gaza su cui si stagliano grattacieli e corsi
d’acqua circondati dalla vegetazione. Nella prima fase, lunga 12 mesi, gli
aiuti umanitari entreranno a Gaza in aree sotto il controllo israeliano. Gli
anni successivi, tra i cinque e i dieci, prevede l’ufficio del primo ministro,
ci sarà una coalizione di paesi arabi a gestire la Striscia.
In questo periodo verrà creata una nuova struttura palestinese denominata Gaza
Rehabilitation Authority (Gra) che si occuperà di gestire la ricostruzione
della Striscia. Finalmente nel 2035 il controllo di Gaza passerà in mano a
un’entità locale, Israele vorrebbe continuare a mantenere una certa
sorveglianza contro le “minacce alla sicurezza”. Solo a questo punto, secondo
Tel Aviv, si potrebbe immaginare un coordinamento tra la Striscia e la
Cisgiordania. La proposta è considerata per molti punti irricevibile non solo
dai palestinesi, ma anche dai Paesi arabi. Il più importante punto di
disaccordo è la permanenza dell’idf nella Striscia. I Paesi arabi
accetterebbero di partecipare anche con truppe sul terreno solo nel caso in cui
Israele riconosca uno Stato palestinese. Poi c’è il documento top secret di
Pentagono e Casa Bianca svelato da Politico.com: la responsabilità di
supervisione della Striscia a un funzionario Usa, che gestirebbe dal Sinai o
dalla Giordania lo sforzo di un “piano Marshall” per i gazawi.