In nero, sfruttati e senza permessi Nei campi oltre 200mila invisibili
ROMA — Satnam Singh, ucciso
dalle macchine e dall’uomo, era un “invisibile” per la statistica. Un
lavoratore due volte fantasma: al nero e senza permesso di soggiorno. Ora che
finirà nel conto dei morti sul lavoro, l’Italia si chiede quanti come lui. Sono
tanti gli irregolari in agricoltura, il settore economico a più alto tasso di
sommerso: 234 mila sfruttati, di cui 100 mila nell’ombra, come Singh. L’Istat a
stento li incrocia. Deve dedurne l’esistenza dalla produzione agricola e dalle
ore lavorate. Perché si lavora tantissimo in agricoltura: 2,4 miliardi di ore
all’anno. Ma se si guarda agli occupati, circa un milione tra regolari e
irregolari, i conti non tornano mai.
Il girone infernale di quelli come Singh, inizia spesso sui barconi o nelle
rotte dell’immigrazione clandestina. Ed è vero che gli irregolari in
agricoltura, uno su quattro, sono soprattutto extra Ue (70%), per il resto
italiani e comunitari. Arrivano in Italia e sono agganciati dalla più efficace
politica attiva del lavoro che il Paese conosca: i caporali. Efficienti a
intercettare la domanda di impiego che viene dai campi o dai mari (per la
pesca). E incrociarla con la disperazione di chi non sa e non ha. Offrono
spesso alloggi di fortuna. E trasporti. Si prendono parte delle paghe misere:
20-35 euro in media al giorno. Ma per quante ore? «Da contratto sono 6,30»,
dice Jean-René Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto della
Flai Cgil. «Ma in realtà si fanno 8,5-9 ore in media con punte di 14. Il picco
proprio dell’Agro pontino con 16 ore». Lì lavorava Satnam Singh.
Come si resiste? «Un medico della Asl di Latina, poi arrestato, dava ai
lavoratori oppiacei e antispastici per reggere lo sfinimento. Un datore, anche
questo condannato, si faceva arrivare 30-40 chili di droga per far lavorare più
a lungo i suoi braccianti». Racconti dell’orrore. Un quarto degli irregolari è
donna: 55 mila. Qui se possibile il dramma è totale. Dice il Rapporto sulle
agromafie e il caporalato dell’Osservatorio Cgil che le donne vivono un triplice
sfruttamento: lavorativo per le condizioni ancora più disumane, retributivo con
paghe più basse del 20% di quelle già da fame degli uomini, sessuale e fisico.
La classifica delle nazionalità tra gli irregolari non si discosta molto da
quella dei regolari. Dopo Italia e Romania, seguono Marocco, India, Tunisia,
Algeria, Nigeria, Mali, Burkina Faso, Costa d’Avorio. «Le comunità dell’Est,
soprattutto albanese e polacca, si sono affrancate da tempo», dice Bilongo. Non
accettano più di fare gli schiavi.
Molti altri invece finiscono nella trappola dell’abuso e della paura: le
denunce aumentano, poco.
L’agricoltura è il settore, dice il Rapporto, «maggiormente associabile al
lavoro povero»: le prime quattro professioni su cinque con la maggiore
incidenza di lavoratori poveri sono qui. Come si lavora in agricoltura? Se va
bene, contratti brevi, bassa intensità di ore, paghe ben al di sotto di quel
salario minimo da 9 euro all’ora che il governo Meloni non ha voluto e che qui,
in agricoltura, avrebbe davvero fatto la differenza.
La connessione tra lavoro agricolo e disagio economico è la più alta esistente nella
nostra economia. Lo dimostra il fatto che tra 2018 e 2020 il 12% dei lavoratori
agricoli viveva anche di sussidi, come il Reddito di cittadinanza, contro
l’8,5% del resto della popolazione e il 5% dei dipendenti privati.
E se questo è vero per tutti gli agricoli, per gli irregolari, gli sfruttati, i
sommersi va ancora peggio. Precarietà, sfruttamento, povertà si accentuano. Gli
indicatori di vulnerabilità si impennano. E il Sud la fa da padrone. Tre quarti
delle ore lavorate non regolari si concentrano in Puglia, Sicilia, Campania,
Calabria, Lazio: 40% il tasso di irregolarità. Ma anche le Regioni agricole del
Nord – Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto – con l’aggiunta della
Toscana non scherzano, con il 20-30%. Irregolari e fantasmi. Come Singh.
VALENTINA CONTE (da “La Repubblica” del 22/6/24)