venerdì 14 novembre 2025

da Il Manifesto del 02/11/2025

I frutti amari di uno Stato assente

di Vincenzo Imperitura


Prima accalcati uno su l’altro nelle fabbriche di trasformazione degli agrumi abbandonate, poi nella baraccopoli dove (tra gli altri) perse la vita anche Becky Moses, infine nella “nuova” tendopoli, allestita in pompa magna nel 2017 dal ministero dell’Interno targato Salvini e lasciata al suo destino nell’indifferenza generale un paio di anni più tardi. Dalla rivolta di Rosarno del 2010, con i migranti in strada a chiedere giustizia per una situazione sociale divenuta ormai insostenibile, poco o nulla è cambiato. Nonostante l’inserimento del comune di San Ferdinando (Rc) nel decreto «Caivano bis» dello scorso anno, che ha stanziato fondi importanti per il superamento della tendopoli stessa, ma che è rimasto ancora imbrigliato alla fase di progettazione, i lavoratori migranti vivono ancora di fatto in un vero e proprio slum piantato nel cuore morente di una zona industriale mai decollata (alle spalle del porto di Gioia Tauro) e dove lo Stato, semplicemente, non c’è.

SONO CIRCA 250, in questo momento, gli ospiti della tendopoli, ma i numeri sono destinati a crescere esponenzialmente nelle prossime settimane, via via che la stagione della raccolta degli agrumi entrerà nel vivo. Vengono principalmente dall’Africa subsahariana e la maggior parte di loro è in possesso di un regolare visto di soggiorno. A San Ferdinando coprono principalmente il periodo tra ottobre e maggio, quando la necessità di braccia a basso costo per la raccolta di olive, kiwi, arance e mandarini li fa convergere in Calabria alla ricerca di qualche giornata di lavoro: legale quando si è fortunati, in grigio o in nero nella quasi totalità dei casi.

ALLA TENDOPOLI si arriva attraversando il deserto spettrale della seconda area industriale del porto. Semi nascosta tra i pochi capannoni in funzione e le tante aziende sorte velocemente grazie ai finanziamenti a pioggia della vecchia legge speciale 488 (e altrettanto velocemente andate a gambe per aria), la tendopoli continua a essere un vero e proprio buco nero abbandonato a se stesso, da cui lo Stato si è tirato fuori dai tempi del primo lockdown legato al covid.

A causa della pluriennale assenza di manutenzione delle tende originariamente allestite dal ministero, dei tanti incendi che hanno causato anche diversi morti tra i migranti e delle continue aggiunte di sgangherate e insicure baracche in legno legate al continuo flusso di lavoratori che non riescono ad accedere a un’abitazione dignitosa in zona, la realtà di questo slum ha continuato a peggiorare con il passare del tempo, lasciando gli ospiti che lo popolano (tutti uomini) in condizioni inaccettabili. L’acqua calda è un miraggio, se si esclude un container allestito con sei docce, dono, nel 2024, di Papa Francesco. E sono in tanti a usufruire dei “servizi” di uno degli ospiti che, al costo di 50 centesimi, vende ai propri clienti secchi d’acqua riscaldata al fuoco di falò improvvisati e pericolosissimi. Anche la luce elettrica, soprattutto nelle notti d’inverno quando nelle tende si accendono stufe, salta spesso lasciando intere porzioni dell’accampamento al buio.

«DOPO IL PRIMO LOCKDOWN le cose non hanno fatto altro che peggiorare – racconta Michele Vomera, responsabile della Caritas diocesana – È sparito anche il posto fisso della polizia oltre a quello dei vigili del fuoco. Facciamo tutto quello che riusciamo a fare grazie ai fondi della Caritas e ai tanti aiuti che arrivano da cittadini e commercianti della Piana di Gioia Tauro. Certo, i problemi con gli abitanti del posto non sono stati pochi, ma almeno sotto questo punto di vista le cose sono un po’ migliorate. Anche perché se i lavoratori della tendopoli sparissero da un giorno all’altro, un intero comparto economico non riuscirebbe a stare in piedi». Sono proprio i volontari della Caritas che provano a mettere una pezza sui vuoti lasciati dalle istituzioni. Sono loro a garantire il servizio mensa con pasti caldi serviti due volte alla settimana. E sono sempre loro ad occuparsi delle istanze che arrivano da questi lavoratori. Che si tratti di un aiuto per la compilazione di un modulo per la carta d’identità o di un passaggio in auto per un esame medico da fare all’ospedale più vicino: 25 chilometri.

ACCANTO AL LORO anche i medici di Emergency, che garantiscono visite gratuite sul campo almeno due volte la settimana, e le tante associazioni del terzo settore (come Mediterranean Hope, che è riuscita a mettere in piedi un ostello nelle vicinanze in grado di togliere da quell’inferno una ventina di migranti) costrette a sostituirsi allo Stato.

A dare supporto legale ai migranti ci sono invece gli avvocati del progetto Infinity: sono in due, Francesco Penna e Pasquale Costantino e offrono assistenza soprattutto per l’ottenimento dello status di rifugiato. Ma non solo: nel container che li ospita infatti raccolgono le denunce legate al mercato del lavoro nero e si occupano di curare, quando serve, il loro trasferimento in località protetta per evitare le ritorsioni di padroni e padroncini con pochi scrupoli.

TOLTO PERÒ IL LAVORO svolto dai volontari, il resto è buio pesto. Con buona pace dei proclami governativi sul decreto Caivano. «Abbiamo un ottimo progetto per il superamento della tendopoli – racconta in sindaco di San Ferdinando Luca Gaetano, che quel buco nero sociale se lo è ritrovato sul groppone – ma siamo ancora alla preparazione della fase progettuale. Ci vorrà ancora tempo».

L’idea è quella di costruire un altro insediamento nelle campagne della zona: una serie di moduli abitativi dignitosi e, accanto, un terreno di tre ettari confiscato alla ‘ndrangheta in cui, in una cooperativa creata ad hoc, lavoreranno gli stessi migranti. L’intenzione è quella di creare una realtà in grado di stare economicamente in piedi da sola. Ma non basterà per tutti.