mercoledì 21 maggio 2008

COLUI CHE MANGIA ME VIVRA' ANCH'EGLI MEDIANTE ME

Commento alla lettura biblica - domenica 25 maggio 2008

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno» (Giovanni 6, 51-58).


Questo brano del vangelo di Giovanni viene letto oggi, nella festa del Corpus Domini come se fosse scontato che esso parli espressamente dell'eucarestia. Anche se l'ultima redazione del Vangelo lascia intravvedere alle spalle una comunità che celebra la cena del Signore, il senso primario di questa pagina è ben più profondo.

Intanto .. occhio alle traduzioni! Il versetto 57 recita testualmente: "Come il Padre, che è vivente, ha inviato me e io vivo mediante il Padre, così colui che mangia me vivrà anch'egli mediante me".


Mangiare Gesù, nel linguaggio simbolico di Giovanni, non è un fatto di masticazione, ma di accoglienza di Gesù nella nostra vita. Significa diventare consapevoli che Dio ci nutre mediante la testimonianza e il messaggio di Gesù.

Egli è per noi il pane, il nutrimento, la manna del nostro cammino. L'esegeta cattolico Lèon-Dufour scrive: "Queste parole vengono spesso utilizzate per affermare il realismo della presenza eucaristica ... Per l'evangelista non ci tratta affatto della realtà fisica "carne e sangue", ma del Figlio dell'uomo che bisogna "mangiare", cioè accogliere nella fede, come viene detto nel versetto 57. Invece di insistere su carne e sangue, come se ciò contribuisse a valorizzare la "presenza reale", bisognerebbe entrare più profondamente nella simbolica giovannea del nutrimento ... La "presenza reale" è essenzialmente "l'incontro reale" del credente con il suo Signore (Giovanni, pag. 249).

Ben altra cosa dal dogma cattolico della presenza reale.

E' qui che la pagina diventa proposta e sfida. Infatti posso leggere le Scritture, partecipare ai sacramenti, essere un assiduo frequentatore della chiesa e, in realtà, non aver mai accolto in me il messaggio di Gesù.

Non è la "manducazione" fisica dell'eucarestia che mi assicura di essere un discepolo di Gesù. Fior fiore di truffaldini, di assassini e di delinquenti come Francisco Franco o Pinochet (e altri più camuffati da difensori della civiltà cristiana anche vicino a noi) sono dei leccabalaustra.

Il rischio esiste per ognuno di noi. Se il messaggio e la pratica di vita di Gesù non dimorano in noi, possiamo confondere la fede con il ritualismo. Il problema della vita cristiana è proprio qui: accogliere dentro di noi, come cibo che ci fa vivere e credere, la proposta del nazareno.

La fede non ci viene dal mangiare, tracannare, assimilare e diffondere regole e documenti ecclesiastici. "Mangiare chiesa" ogni giorno è addirittura pericoloso. La chiesa diventa un ente inutile se non si mette al servizio del messaggio biblico. Ho pubblicato alcuni giorni fa alcune righe per segnalare l'ultimo libro del cardinal Martini che davvero ci lancia questo messaggio di conversione. La chiesa troppe volte vive di sè anzichè del vangelo.

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La festa del Corpus Domini

La chiesa cattolica inventò la festa del Corpus Domini (“Corpo del Signore”) nel tredicesimo secolo. Essa fu celebrata la prima volta nella diocesi di Liegi nel 1246. Papa Urbano IV, già autorevole esponente del clero di Liegi, nel 1264 la estese a tutta la chiesa e ne stabilì la celebrazione il giovedì dopo l’ottava di Pentecoste. Da pochi anni la festa viene celebrata la domenica successiva.

E’ interessante notare che il papa, nel decreto di erezione
di tale festa, scrisse che essa veniva istituita “per confondere la infedeltà e l’insania degli eretici”. Ma quasi nessuno diede retta a papa Urbano e nel 1314 dovette intervenire di autorità papa Clemente V per fare applicare tale decreto. Qualche decennio dopo nacque la “solenne processione” del Corpus Domini.

Su questa festa, nata in aperta polemica con chiunque
manifestasse un pensiero diverso dalla gerarchia romana (basta poco a volte per essere definiti e squalificati come eretici!), non si è mai spenta la disputa nelle chiese cristiane e anche all’interno della stessa chiesa cattolica.

E’ comprensibile che anche questo passaggio dal “mangiare
il pane” all’adorazione dell’Ostia santa (come si diceva) abbia suscitato nelle chiese e tra i teologi molte perplessità e molte opposizioni. La Scrittura, infatti, non dice mai di adorare il pane eucaristico, ma di mangiarlo.

Così pure come si potevano costringere i cattolici a
credere in una presenza “reale” di Gesù, fisica e oggettiva, mentre per secoli era stata diffusissima l’interpretazione simbolica di “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”? Le decisioni gerarchiche già allora non parvero convincenti e nei secoli le parole bibliche sono sempre più apparse suscettibili di altre interpretazioni.

Oggi la teologia eucaristica, cioè il modo di comprendere
la cena del Signore o eucarestia, è molto variegata anche dentro la chiesa cattolica. Questa molteplicità è certamente un grande bene perché rispecchia le molteplici interpretazioni che della cena eucaristica sono avvenuto nelle comunità cristiane, nelle ricerche bibliche e teologiche di questi venti secoli.

Questa libertà di scegliere tra diverse interpretazioni
s’aggiunge ad un altro fatto molto positivo. Infatti la molteplicità delle interpretazioni teologiche coesiste felicemente con alcuni elementi che convergono in unità, anzi consolidano la nostra unità di fede. Accenno brevemente alle diversità e poi cerco di valorizzare, per accenni, i forti elementi di unità presenti anche nella chiesa cattolica.

Diverse interpretazioni


Molti cattolici, più vicini alle posizioni che la gerarchia andò precisando e fissando con ripetuti documenti, pensano che “nel Santissimo Sacramento dell’Eucarestia è contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo con l’anima e la divinità e, quindi, il Cristo tutto intero”.

In tale presenza “reale” Cristo tutto intero si fa presente.
“Cristo è tutto e integro presente in ciascuna sua parte; perciò la frazione del pane non divide Cristo” (dal Catechismo della Chiesa Cattolica). “Mediante la consacrazione si opera la transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo” (ivi pag. 366). Questo ci veniva insegnato un tempo nel catechismo.

Oggi, accanto a questa, c’è una interpretazione diversa.
Molti altri, cattolici e non, leggono in questo invito di Gesù a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue, la possibilità che ci è offerta di entrare in profonda comunione di pensieri e di vita con Gesù, di esperimentare la sua presenza nel nostro cammino, di ispirarci a lui nelle nostre scelte.

Questo mangiare il corpo e bere il sangue
non indicano carne e sangue da macelleria, ma il dono e l’impegno di legare la nostra vita a quella di Gesù.

Quel pezzo di pane rimane pane; così pure il vino. In
questa prospettiva teologica è centrale vedere che significato ha, nel disegno di Dio, quel pane condiviso, quel pane mangiato dopo aver benedetto Dio che ce l’ha donato, quel pane che Gesù nella sua quotidianità spezzava con vicini e lontani, con i perduti e i peccatori, con pagani e prostitute. Se non si legge in questo spezzare il pane al cospetto di Dio qualcosa che imprime una nuova direzione alla nostra vita quotidiana, allora il rischio è di trastullarci in cerimonie evasive.

Dio, attraverso l’opera e il messaggio di Gesù, forse non ha interesse a cambiare “la sostanza” del pane e del vino. Quello che deve cambiare è la “sostanza” della nostra vita. In questa prospettiva non esiste nessuna parola magica, potente o sacerdotale che trasformi un pezzo di pane, ma ci si affida, come Gesù, all’amore e alla Parola di Dio che può lentamente cambiare le nostre vite.

Un sentiero che cresce

Ecco dove, aldilà delle diverse interpretazioni teologiche molti cristiani/e stanno addentrandosi in un cammino comune.

Essi celebrano l’Eucaristia (che nei primi secoli poteva
essere presieduta da un uomo o da una donna) per lodare Dio dei beni che da Lui ricevono, per fare memoria della vita di Gesù, per imparare a condividere, a rompere l’egoismo dei nostri cenacoli chiusi, per ricordare che non possiamo vivere in pace finché il mondo è una macchina per escludere più che un luogo per accogliere, che non possiamo accumulare se “spezziamo e dividiamo questo pane”.

La comunità cristiana che celebra l’eucarestia vuole
pregare Dio perché dia ai fratelli e alle sorelle la forza di continuare nella vita di ogni giorno il cammino di Gesù.

Che senso ha dividerci tra di noi quando ci unisce un
nucleo di fede così consistente? Ecco perché io, se sono cattolico, ora finalmente posso, qualora se ne presenti l’occasione, partecipare con gioia all’eucarestia in una parrocchia che ha sensibilità diverse dalla mia, in una comunità di base, in una chiesa protestante.

Non è importante che presieda un uomo o una donna,
ma è essenziale che la piccola o grande assemblea, radunata nel nome di Gesù, possa ascoltare la Parola di Dio e ricevere il “cibo” che dà la forza per amare di più, per condividere più profondamente le gioie, le speranze, le sofferenze e le povertà dei vicini e dei lontani.

Dalla riflessione ecumenica stanno emergendo nuovi significati e nuove esperienze che probabilmente Dio ci aiuterà ad accogliere con gioia e gratitudine.

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