domenica 16 novembre 2025

don Franco Barbero - 1994

Le tentazioni dei Re


“Quando entrerai nel paese che l'Eterno ti dà…, se dici: voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni circostanti, dovrai costituire sopra di te il re che l'Eterno sceglierà. Costituirai sopra di te un re scelto tra i tuoi fratelli; non uno straniero che non sia tuo fratello. Ma egli non deve procurarsi un gran numero di cavalli, né deve far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, poiché l'Eterno vi ha detto: “Non ritornerete per quella via”. Non deve procurarsi un gran numero di mogli, affinché il suo cuore non si svii, quanto all'argento e all'oro egli non dovrà averne troppo. Inoltre, quando siederà sul trono del suo regno, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo l'esemplare dei sacerdoti levitici. Ed essa sarà presso di lui e lui la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere l'Eterno, il suo Dio, e a mettere in pratica tutte le parole di questa legge e questi statuti, perché il suo cuore non si innalzi sopra i suoi fratelli ed egli non devii da questo comandamento né da una parte né dall'altra, e prolunghi così i suoi giorni nel suo regno… in mezzo a Israele” (Deuteronomio 17,14-20).


Alto rischio di abuso

Il Deuteronomio, strutturato da una serie di discorsi messi in bocca a Mosé, ricorda che la terra è proprietà e dono di Dio per il Suo popolo. Israele vuole su questa terra organizzarsi come gli altri popoli e darsi un re? Il testo sembra riportare la sensibilità di taluni ambienti profetici che vedevano con diffidenza l'esperienza monarchica, ma non si oppone. Preferisce mettere in guardia dai rischi connessi all'esercizio del potere. Volendo scegliere un re (cioè la persona alla quale affidare una responsabilità politica), è necessario compiere la scelta “giusta” che, nella concezione biblica, è la persona gradita a Dio.

La Bibbia insiste molto sulla rilevanza della scelta, sulla qualità della persona, addirittura “scelta da Dio”. Il redattore vuole suscitare consapevolezza e responsabilità nei riguardi della vita collettiva. Facendo riferimento alla persona “scelta da Dio”, esorta a non lasciarsi guidare da altre valutazioni. E Dio, Israele lo sa bene, sceglie chi vuole una vita “da fratelli”, “tra fratelli”, come ricorda il testo.  Il testo, non pago di questa chiara indicazione positiva, individua con precisione quali possono eventualmente essere le più grandi tentazioni del re (oggi diremmo del “politico”). Il versetto 16 proibisce al re sia il perseguimento di una politica di potere (i molti cavalli!), sia le alleanze che espongono il popolo al rischio di “tornare in Egitto”, cioè nella “casa di schiavitù”.

La libertà non è mai acquisita per sempre e chi ha il compito di guidare verso la liberazione può, purtroppo, mettersi a capo di cammini di illibertà. Non basta autodefinirsi “la casa delle libertà”. Può essere addirittura una barzelletta o la copertura del rovescio.


La leggerà tutti i giorni

Incoronato (v. 18) perché inizi bene il suo lavoro. Il re deve farsi scolaretto, deve scrivere una copia per sé … "Il re appena assiso in trono viene sottoposta ad un trattamento più consono ad uno scolaro nel suo primo giorno di scuola piuttosto che ad un sovrano neoeletto”(R. Vignolo). C'è un antidoto contro i fiumi della gloria e un ridimensionamento della funzione politica.

La proposta è articolata in cinque punti: 1) Il re, nel giorno del suo insediamento, scriverà per suo uso personale in un libro una copia della Legge che esprime la volontà di Dio e il bene del popolo; 2) La terrà presso di sé; 3) La leggerà tutti i giorni della sua vita; 4) Per imparare a temere l'Eterno; 5) Per mettere in pratica tutte le parole di questa Legge e questi statuti.

Dunque, al re è chiesto l’impegno di scrivere di proprio pugno la “Legge”. Stando ai metodi di scrittura del tempo, non era impresa di poco conto, ma solo così il re era "costretto" a soffermarsi su ogni parola, a riporla nel cuore. Il tutto "per suo uso personale", cioè perché il re possa coltivare dentro di sé ciò che esprimerà con la sua autorità. Il fatto che la copia della legge "sia presso di lui" indica con chiarezza che il re, salito al trono, non sarà solo. Con lui ci sarà il rotolo della Torah, il buon insegnamento di Dio.


Da Rocca - 2025


Kurt Marti (Berna, 31/01/1921-11/02/2017) è stato un poeta e pastore evangelico svizzero. Ha studiato Teologia all’Università di Berna e dal 1948 era pastore riformato. E’ considerato fra i più rappresentativi poeti svizzeri del ‘900. Per la sua attività poetica è stato insignito del premio Grosser Literaturpreis della città di Berna e del premio Kurt-Tucholsky-Preis.


(da Theolalia, a cura di Fulvio Ferrario e Beata Ravasi)

La speranza

la speranza va a piedi

la speranza pedala in bicicletta

la speranza viaggia in treno

la speranza guarda le nuvole 

la speranza saluta la luna 

la speranza sa trovare tempo

la speranza difende ricci e alberi 

la speranza nasconde profughi 

la speranza compera equo solidale 

la speranza cade e si rialza 

la speranza scavalca le montagne 

la speranza attraversa a nuoto il mare 

la speranza resta curiosa 

la speranza scopre contesti 

la speranza cerca alleati

la speranza sa rinunciare

la speranza sa godere

la speranza attizza il fuoco dell’amore

la speranza può andare in collera

la speranza può essere triste

la speranza ride in modo sovversivo

la speranza lotta per il diritto degli altri

la speranza celebra e danza

la speranza intenerisce


la speranza non ha nulla

la speranza vuole tutto

la speranza prega per il regno di Dio


da Rocca - ottobre 2025

Ferite e un futuro possibile

di Mauro Armanino


Non basteranno i sistemi di sorveglianza più sofisticati, le aree video-controllate, le geolocalizzazioni o i controlli facciali. La vita è e rimane fragile per tutti ed è solo una questione di tempo. Una manciata d’anni o poco più. La metafora della sabbia o della polvere non sono mai fuori luogo e probabilmente più ancora laddove si cercano certezze e si finge l'impressione di perennità. Basta poco per destabilizzare piani, progetti e linearità. In questa fragilità che gli anni, le malattie, gli avvenimenti inaspettati ci impongono come ineludibile, appare qualcosa di grande che, in genere, rimane nascosto quando tutto sembra andare bene. Com’è noto le parole rivelano molto del nostro sentire attuale perché offrono (e nascondono allo stesso tempo) ciò che in realtà mettiamo prima di tutto, oppure abbiamo smarrito. Una di queste parole è la ‘sicurezza’ che, ormai da anni, si propone e impone come chiave di lettura di ogni politica che si rispetti. Nulla di nuovo sotto il sole. Qualcuno disse in una parabola che il proprietario, sazio degli affari, voleva ingrandire i suoi granai e poi godersi finalmente la vita. ‘Stolto’ dice il racconto, ‘questa notte stessa ti verrà chiesta la vita. Quello che hai accumulato a chi gioverà’. Così termina chi accumula per sè e non per la vita.

Anziani, ammalati e chi si attorna di solitudine nelle case per anziani. Gente col bastone, spingendo una carrozzella o condotta sottobraccio, spesso, da una straniera che talvolta trascura la sua propria famiglia per assistere gli infermi altrove. In tutto ciò si nasconde una grande verità e una silente ferita. La verità perché è proprio nei momenti di debolezza e fragilità che si smaschera ciò che si nasconde quando tutto sembra filare liscio e le forze illudono, come fanno i monumenti, di eternità. Mentre la ferita è quanto permette all'umano nascosto di emergere. Le ferite lo sappiamo, sono in realtà delle ‘feritoie’ attraverso le quali si infiltra l’umano che era stato confiscato, appunto, dall'apparente ‘sicurezza’ del momento. Le ferite nelle nostre società, sono innumerevoli e in gran parte censurate da un sistema per il quale ogni debolezza, in quanto sintomo di mortalità, sarà da cancellare come una intrusa. Il tradimento ricorrente dei politici (o dei militari) al potere. L'economia studiata per escludere i deboli. Una scuola creata per perpetuare il sistema e un servizio sanitario ad eliminazione dei non abbienti. Tutto ciò e altro congiura per rendere la debolezza, la povertà e ogni tipo di indigenza, come vergognoso e di cui parlare il meno possibile.

Perché, in fondo, non rimane che un'unica domanda che attraversa la fragilità e le ferite che ad essa vengono ricondotte. La domanda che si pone come orizzonte di ogni cultura, filosofia, religione o progetto politico. Si potrebbe formulare come un futuro nascosto nel presente o un presente che già contiene e genera il futuro. Che tipo di mondo stiamo creando quando crescono le esclusioni, le eliminazioni e le distruzioni in diretta sugli schermi televisivi come macabro spettacolo quotidiano di impotenza dinanzi al male. Un mondo di trincee, barriere, fili spinati, ponti inagibili o chiusi di proposito per perpetuare un sistema di potere che, lo sappiamo per esperienza, è foriero di morte e desolazione. Un mondo dove gli invisibili dovrebbero rimanere tali e dove le grida e la mobilità di chi non  vuole scomparire senza lasciare traccia viene equiparato al terrorismo. Un mondo dove sono dichiarati beati coloro che calpestano i diritti e la dignità dei popoli. Che tipo di mondo abbiamo ereditato e che tipo di mondo lasceremo alle generazioni che verranno. E’ sola domanda che valga la pena essere tradotta in tante lingue e poi affidata proprio a loro, i fragili e coloro giudicati non degni di prendere la parola. Solo dal silenzio, ascoltato, delle loro ferite aperte potrà rinascere un mondo nuovo.


da Adista - luglio 2025

Vita oltre la morte

di Daniela Nucci


La cultura scientifica occidentale è letteralmente intrisa, dominata dal materialismo, teoria filosofica secondo la quale tutto ciò che esiste è la materia e le forze fisiche che agiscono su di essa. Per il mondo scientifico la visione materialistica è un vero e proprio dogma. Oggi tuttavia alcuni scienziati stanno cominciando a mettere in discussione questo principio. La neurofilosofia, ad esempio, è una disciplina che rappresenta una scienza interdisciplinare tra le neuroscienze e la filosofia. Il dibattito interno a essa riguarda la coscienza. Alcuni ricercatori ritengono che tutto fa capo al cervello, anche la coscienza e quando l'attività cerebrale, con la morte, si spegne, si spegne anche la coscienza e resta il nulla.

Fra gli scienziati c'è invece chi pensa che la coscienza esista indipendentemente dal cervello e sopravviva al corpo anche dopo la morte. Fino ad oggi la scienza materialistica ci ha insegnato che nella creazione della realtà si parte dalla materia la quale dà origine alla vita e questa alla coscienza. L’idealismo scientifico segue invece un processo inverso: parte dalla coscienza, passa alla materia e quindi alla vita. In definitiva, secondo questa seconda corrente di pensiero la sostanza prima non è materia ma coscienza. Anche gli studi della fisica quantistica sono indirizzati in questo senso.

Come sapevamo già 5000 anni fa gli Advaita Vedanta, scuola filosofica e spirituale dell’induismo, la realtà ultima del mondo non è duale, ma unica ed è coscienza. Oggi, anche in Occidente, è dalla scienza (o quantomeno da una parte di essa) che si arriva a teorizzare che esista la vita oltre la morte, che non esista solo la materia ma anche qualcosa che la precede. Un tempo erano le religioni a occuparsi della vita oltre la morte, della sopravvivenza dell’anima. Da sempre l'uomo ha creduto (o sperato) nell'immortalità dell’anima. Basti pensare che fin dal paleolitico gli uomini hanno lasciato testimonianze del culto dei morti; nella religione e filosofia egizia questo culto era profondamente radicato perché quel popolo credeva in una vita dopo la morte; per greci e romani l'anima sopravviveva nell'oltretomba: l’Ade per i greci, gli Inferi per i romani; per gli ebrei lo Sheol indicava il mondo sotterraneo, la dimora dei morti, luogo non di punizione o giudizio definitivo, ma uno stato di esistenza nell'aldilà; per il cristianesimo la concezione di una vita nell’aldilà è strettamente legata alla fede nella risurrezione dei morti e la morte non è vista come una fine definitiva ma un passaggio a una nuova forma di esistenza. Anche islam, buddismo, induismo, taoismo ecc… pensano che la vita continui dopo la morte e che non termini con la fine del corpo e l'attività del cervello. Possiamo pertanto dire a ragione che il problema della sopravvivenza della coscienza ha interessato da sempre l'uomo, anche se molti ritengono che tale concezione derivi dalla non accettazione della finitezza umana.

Oggi, attraverso studi, esperimenti di laboratorio, ricerche si è arrivati a ritenere che noi non siamo corpo con una coscienza, ma coscienza con un corpo. Quest'ultimo dopo la morte si decompone, mentre la coscienza rimane. In questo ambito la psicoterapia cognitivo-comportamentale, la ricerca psichica e gli studi sulla NDE (Near-Death Experience, cioè esperienze ai confini della morte) esplorano il mistero della vita dopo la morte, condividendo evidenze scientifiche e testimonianze su ciò che accade post mortem.

Anche la parapsicologia è divenuta una branca importante degli studi scientifici sulla sopravvivenza dell'anima e si occupa di fenomeni che non sono spiegabili dalle attuali leggi scientifiche conosciute, dal momento che includono esperienze umane eccezionali come la telepatia, la chiaroveggenza, la psicocinesi, la precognizione, la visione remota… Queste branche della ricerca esplorano il mistero della vita dopo la morte condividendo esperienze scientifiche e testimonianze sull’evidenza di quella che è definita “la verità incredibile”, ossia il fatto che, in maniera che ancora non comprendiamo, la coscienza e la personalità umana sembrano sopravvivere alla morte del corpo.

Ciò che religioni e spiritualità hanno sempre saputo - cioè che la vita non muore - oggi sembra essere avvalorato anche dalla ricerca scientifica: i due mondi finalmente si stanno sempre più avvicinando.


da Confronti - ottobre 2025

Le Chiese e la dissoluzione dell’occidente

di Fulvio Ferrario (Professore di Teologia dogmatica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma).


L’“Occidente”, inteso come alleanza geopolitica e modello ideologico di democrazia liberale, ha perso centralità e coesione sotto il trumpismo, accentuando la crisi europea. Le Chiese reagiscono in modi diversi: Roma si proietta globalmente, mentre il Protestantesimo recente si è sviluppato in dialogo, critico, ma intenso, con l’ideologia “occidentale”, e da noi con il progetto europeista.

C’era una volta l’“Occidente”: si è sempre trattato, naturalmente, di un concetto molto impreciso, contestabile da diversi punti di vista, ma abbastanza chiaro. Dal punto di vista geopolitico, il cosiddetto “Asse transatlantico”: un complesso duopolio economico, ricco di contrasti, ma alla fine funzionante, garantito militarmente, anche dopo la fine della Guerra fredda dalla strapotenza americana; un elemento, quest’ultimo, che ha determinato quella che potremmo chiamare “asimmetria consensuale” in politica estera: un’Europa che ha contenuto le spese militari, affidandosi all’alleato, e rinunciando, in cambio, a un ruolo realmente autonomo.

L’“Occidente”, tuttavia, era anche una grandezza ideologica, imperniata su di un modello anglosassone di democrazia liberale, con le sue ricchezze e le sue gigantesche contraddizioni: un’ideologia che ha anche permesso una significativa espansione di diversi diritti individuali e, specie in Europa, e solo in una fase chiusa da tempo, anche una certa riduzione della forbice tra ricchezza e povertà.

Dovremmo aver imparato da un pezzo a lasciar cadere le celebrazioni trionfalistiche dell’“Occidente”; per contro, detrattori e detrattrici, in genere di estrema Destra e di estrema Sinistra, farebbero bene, ad ammettere che il paragone con altri sistemi, nei due emisferi del globo, parla una lingua sufficientemente chiara.

L’“Occidente” è stato spazzato via dal trumpismo. Con il senno di poi, è abbastanza facile osservare che gravissimi elementi di debolezza allignavano da tempo nei gangli vitali del sistema: resta il fatto che la velocità della dissoluzione ha sorpreso un po’ tutti. Non sappiamo se è definitiva, ma certo costituisce il nostro oggi. La fine del sistema “occidentale” ha accentuato la crisi del progetto europeo, pensato all’interno di quell’orizzonte.

L’Unione europea è ora un precario assemblaggio di Stati e interessi, dove prevalgono toni sovranisti e fascistoidi, efficaci in sede critica e a volte (come in Italia) abbastanza bravi a gestire il potere, ma privi, a quanto sembra, di un progetto comune. Il rimasuglio di “Europa” è incarnato dall’asse franco- tedesco, anch’esso, però, esposto al rischio di crollare sotto i colpi dell’estrema Destra.

Come reagiscono le Chiese alla fine dell’“Occidente”? La meglio posizionata è Roma. Essa si pensa in prospettiva globale e da decenni considera l’“Occidente” periferico, demograficamente povero, ideologicamente alquanto sospetto, in quanto patria della secolarizzazione e, come diceva Benedetto XVI, del “Relativismo”.

Il progetto wojtyliano di un’Europa “dall’Atlantico agli Urali” non è più centrale: perché Kyrill non è al momento popolarissimo in Vaticano, ma soprattutto perché il baricentro del Cristianesimo, anche cattolico, è a Sud. Il feeling con l’Ortodossia (che non è solo Mosca, ma che nel medio periodo non è pensabile senza Mosca) è però profondo, proprio perché incorpora riflessi antimoderni e antioccidentali ben radicati nel Cattolicesimo.

Tale santa alleanza post-occidentale potrebbe persino inglobare settori evangelicali, anch’essi critici nei confronti di quell’eredità. Il Protestantesimo recente si è sviluppato in dialogo, critico, ma intenso, con l’ideologia “occidentale”, e da noi con il progetto europeista: la crisi di tale costellazione si aggiunge alle difficoltà che le Chiese evangeliche incontrano su altri fronti e il risultato non può che essere un’accentuata marginalizzazione.

In alcuni ambienti, serpeggia la tentazione di riconquistare un minimo di visibilità saltando sul treno guidato dal Vaticano e accettando con una certa disinvoltura una subalternità imbarazzante. L’alternativa può solo consistere nel comprendere il Protestantesimo come Cristianesimo contestuale, in quella parte di mondo e in quella parte di società che considerano umanizzanti (e non privi di aspetti di “analogie” con il messaggio evangelico) alcuni esiti della parabola moderna: democrazia, diritti individuali, passione per la giustizia sociale e di genere.

«La vecchia Teologia liberale», mi diceva, con sufficienza, un famoso sociologo. Qualcosa di più, io credo: ma, anche se fosse, sempre meglio di un’ancor più vecchia Teologia reazionaria.


 

sabato 15 novembre 2025

da Rocca - agosto 2025

Osare riposare

di Debora Rienzi


E’ forse un azzardo parlare di riposo nel 2025, in un contesto storico tragico e preoccupante, connotato da autoritarismi e violenze: dall'involuzione di molte democrazie occidentali, in primis gli Stati Uniti, alla progressiva decurtazione dei diritti e delle libertà personali anche in Europa; dal genocidio a Gaza al moltiplicarsi di conflitti dettati da interessi economici. Il tutto in un contesto politico il più delle volte inadeguato, quando non dannoso, sia a livello nazionale che internazionale. Come pensare di poter riposare in questa nostra epoca travagliata? Non sarebbe più giusto invece concentrare tutto il nostro impegno per cambiare il mondo, e farlo senza soste, indefessamente? 

Parlare di riposo che non si connoti come fuga mundi - oggi non più credibile -, richiede certamente di non bypassare i problemi della realtà; d’altro canto, negare che proprio questo sia un bisogno e un desiderio profondo del nostro animo reso inquieto dagli eventi, sarebbe altrettanto inautentico. Forse allora, non stiamo parlando di due posture totalmente opposte; forse esiste in realtà una segreta connessione tra azione feconda ed inazione contemplativa.

Proviamo ad indagare questa segreta connessione intrecciando alcuni stimoli di riflessione, che ci provengono dal passato e dal presente, compiendo un breve viaggio in compagnia della Bibbia e della filosofia contemporanea, mentre ci chiediamo: riposo “da" cosa? Riposo “per" cosa?

La virtù dell’inazione

Byung-Chul Han arriva ad affermare che <<non di rado, la volontà ci rende ciechi dinanzi a ciò che accade, mentre sono proprio l’assenza di intenzioni e l’involontarietà a farci vedere con chiarezza, illuminando l’accadere, l’essere, che anticipano sia la volontà, sia la coscienza>>, sia l’azione, aggiungiamo. Sospendere l’attivismo può infatti consentire alla dimensione contemplativa della nostra vita di emergere e manifestare frutti inediti, normalmente soffocati dalla fretta e da quell'insoddisfazione pressoché costante che permea tante nostre giornate. Non sempre ci rendiamo conto di quanto l'incapacità di fermarsi sia un risvolto esistenziale moderno del consumismo imperante che, con le sue modalità spesso subdole, finisce per diventare paradigma anche della vita spirituale, o dovremmo dire, pseudo-spirituale.

Non sappiamo mollare la presa del controllo e dell’efficientismo, per lasciare spazio all’ascolto dell’ignoto, all’attesa e, perché no, al sogno, all’inconscio, ovvero a quella sorgente profonda e ampia a cui abbiamo immenso bisogno di abbeverarci, anche per ritrovare lucidità di sguardo e determinazione di azione. Pensare di potersi prendere cura del mondo senza prendersi cura di sé, nei termini di un vero e proprio lavoro di evoluzione umana e spirituale, è un’illusione. Ma il paradosso da accogliere per entrare in questo "lavoro" dell'inazione contemplativa è spiazzante, poiché ci mostra che il nuovo cui si anela, anche rispetto all'impegno nel mondo, sboccia dal vuoto, dalla rinuncia, da ciò che appare inutile, dallo “spreco” di tempo… in una parola: dalla libertà di essere, prima che di fare. Poiché non si tratta solo di riposare in senso stretto - pur essendo questo un bisogno umano da rispettare -, ma di entrare in una profonda esperienza di riposo in Dio…


da Semi di saggezza

di Edgar Morin


Se imparassimo a capire,

prima di condannare, l’umanizzazione 

dei rapporti umani sarebbe già

sulla buona strada.

******

Due bisogni dell’essere umano:

sentirsi riconosciuto e sentirsi utile.

******

Le notizie calano

sulle nostre speranze come la lama

di una ghigliottina.

******

La guerra, il suo aggravarsi, il rischio che

si generalizzi, le sue ripercussioni

economiche nel mondo, l’inflazione,

la siccità, il riscaldamento globale e

il ritorno del Covid, che non tarderà: ecco

le sfide che dovremo affrontare, ecco in

che senso occorre trasformare la politica.


Per il momento del commiato di Franco

Fiorentina - 2023


Non ho le forze di parlarvi di Franco, ma tento di dirvi qualcosa di questo uomo così speciale per me.

La sua vita è stata lunga, prete dal 1963, eretico da sempre.

Franco mi ha affidato la responsabilità di questo commiato in una maniera che rispettasse il suo cammino di fede ebraico-cristiana. 

Ci siamo davvero amati nella tenerezza e non finiva mai di dirmi che il nostro incontro d'amore lo aveva arricchito e trasformato come uomo e come prete. Lacrime di dolore, di gioia senza tregua “solcavano" i suoi occhi quando leggeva la Bibbia, quando la "narrava", quando ascoltava, quando pregava, quando mi abbracciava… 

Di Franco ricordo tanti momenti di premura, di cura, di intimità di gioia… Ma i suoi occhi si illuminavano quando leggeva la Bibbia da ebreo discepolo del nazareno… quando i suoi racconti si mescolavano alle lacrime… Senza chiedere permesso ha vissuto tante battaglie, dall'antimilitarismo, alle lotte operaie, al prendersi cura dei tossicodipendenti, alle lotte di liberazione delle donne e delle persone Lgbt+: per anni, tutte le ore lo cercavano e li ascoltava. Franco ha veramente trascorso una vita di ascolto e di dedizione agli ultimi e alle ultime.

Grazie Franco per tutto l'amore che hai seminato.

Con amore il tuo fiorellino.


Fine del commiato

Finiamo con l’ascolto e la lettura comunitaria del Salmo 19 oppure un verso a persona.

Un abbraccio e una preghiera

Franco - agosto 2023