martedì 19 marzo 2024

 

6 – BENEDIZIONE DELLE COPPIE OMOSESSUALI

don Franco Barbero, Benedizione delle coppie omosessuali,

L'Harmattan Ed., pagg 115, Torino 2013

 

 

A seguire con un semplice 'clic' potete sfogliare

il sesto segmento del libro:

https://www.sfogliami.it/fl/290005/79p8mqg2cg4k1rtckkney1z9q789r1pc

 

(continua venerdì 22 marzo '24)

1982

In quel giorno etero, omo, queer

per Dio saranno un popolo solo

 

In quel giorno ci sarà una strada

dall'Egitto verso l'Assiria;

l'Assiro andrà in Egitto e l'Egiziano in Assiria;

gli Egiziani serviranno il Signore

insieme con gli Assiri.

In quel giorno Israele sarà il terzo

con l'Egitto e l'Assiria,

una benedizione in mezzo alla terra.

Li benedirà il Signore delle schiere angeliche:

 «Benedetto sia l'Egiziano mio popolo,

l'Assiro opera delle mie mani

e Israele mia eredità» (Isaia 19, 23 - 25).

 

Scrissi questa citazione in uno dei miei libri anche per indicare che etero, omosessuali, lesbiche e queer saranno una sola umanità.

 

IL RAGAZZO E L'AIRONE

 

Il nuovo anno cinematografico è stato inaugurato dall'ultimo film del maestro dell'animazione giapponese Hayao Miyazaki, a dieci anni dal suo ultimo lungometraggio Si alza il vento, con il quale aveva annunciato l'uscita dalle scene.

Invece Miyazaki è tornato sul grande schermo con una storia molto legata alla sua esperienza autobiografica.

Il titolo originale dell'opera è infatti Kimitachi wa Do Ikiruka (E voi come vivrete?) ed è tratto dall'omonimo romanzo di Genzaburo Yoshino, che, quando era ancora un ragazzo, Miyazaki aveva ricevuto in dono da sua madre. Lo stesso che il protagonista del film, Mahito, riceve dalla madre prima che perda la vita nell'incendio di un ospedale a Tokyo, durante la guerra del Pacifico del 1943. Un evento drammatico che sconvolge la vita del ragazzo, con il padre che si risposa con Natsuko, la sorella minore della madre, e tutta la famiglia che si trasferisce in una tenuta in campagna. Mahito fatica ad abituarsi alla nuova vita, visto che il dolore per la perdita della madre è ancora molto forte, ma è proprio in questo momento che si presenta alla sua finestra un misterioso airone cenerino che lo conduce in una torre abbandonata con la promessa di fargli incontrare sua madre.

Guidato dall'airone, Mahito si avventura sempre più negli angoli più oscuri della proprietà e della sua mente, dove poco a poco tempo e spazio cominciano a deformarsi, i sogni e la realtà a confondersi e le creature della natura ad assumere forme mostruose, quasi demoniache.

In questo universo la vita e la morte coesistono sullo stesso piano ed è proprio la torre misteriosa a fare da ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti, dando l'accesso a diverse dimensioni.

Laddove anche l'impossibile appare possibile, Miyazaki come Mahito cerca in questo viaggio catartico una strada verso l'accettazione della perdita, e la spinta ad abbracciare la vita dopo il dolore e il cambiamento.

 (VALERIA BRUCOLI, Confronti, Febbraio 2024)

 

lunedì 18 marzo 2024

MOMENTO DI PREGHIERA

 Giovedì 21 marzo alle ore 18.00 Maria Grazia Bondesan propone un momento di preghiera. Il testo che seguiremo verrà inviato insieme al link per il collegamento.

A presto 

M.G. Bondesan

PREGHIERA

LA MIA PATRIA (2016)

 La mia patria è una ferita aperta da mille anni

 inchiostro caldo che scrive con dignità

 una bella e triste melodia.

 Manda in estasi la coscienza ingannevole

 del mondo.

 Fa cadere lacrime di coccodrillo

La mia patria è un cavallo purosangue

Che ha dato un nuovo senso al significato della

 pazienza.

 Cavalca con il vento su una strada impervia.

 E non arriva... arriverà

Resiste e sopporta gli schiamazzi e gli scherzi del mondo.

E ci ride sopra.

La mia patria è la densità della pazienza…

 Lo stesso colore... lo stesso sapore.

La mia patria un milione di amanti…

Un milione di sognatori.

Vogliono che la mia patria sia un pallone ottagonale

Calciato da un bambino viziato…

 Per far ridere

 Le scimmie e porci.


Odeh Amarneh, scrittore poeta palestinese

(Tempi di Fraternità, marzo 2024)





A MOSCA

 Putin , plebiscito alle elezioni "Ora siamo più forti che mai".

Il leader confermato con l'87%: "Guerra mondiale a  un passo"  La protesta dell'altra Russia.....

Da Repubblica 18 marzo 2024

SFILACCIATI

 Provo stima e affetto per la Segrataria del PD, ma è un dolore e una sicura perdita,  lo spettacolo cui assistiamo non solo in Italia. Un individualismo  è la musica politica  dominante: ognuno va dove soffia il vento che sembra vincente. 

E' lo squallore, del quale si salvano due o tre parlamentari o poco più. Ognuno cerca non il bene collettivo unificante o di una parte,  ma dove può avere successo nel momento  o anche solo comparire.

Si tratta di persone senza personalità. Si cerca l'immagine e molto denaro. Questo Parlamento  mi  fa ribrezzo e suscita sdegno..Eppure qualcuno c'è che veramente merita riconoscimento per competenza  e onestà. 

Ho citato la segretaria del Partito Democratico. E ritengo  che veramente esemplare  sia il Presidente della nostra Repubblica che ha osato richiamare e dissentire  dal presidente francese (tutta immagine, niente sostanza) fautore della guerra e lo ha dichiarato.Una  pazzia!

Franco Barbero

IN AUMENTO LA PUBBLICITA' DI AZIENDE CHE INQUINANO

 Cresce l’influenza di politica e aziende inquinanti su media e clima. Nuovo studio di Greenpeace

15.03.24 - Giovanni Caprio-Pressenza

Sui principali quotidiani italiani calano gli articoli dedicati alla crisi climatica, ma aumentano le pubblicità delle aziende inquinanti, mentre nei telegiornali serali, segnati dall’influenza del governo Meloni sulla Rai, raddoppia lo spazio per chi si oppone alla transizione ecologica. È il quadro sconfortante che emerge dal nuovo rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione. Lo studio ha esaminato, nel periodo fra settembre e dicembre 2023, come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram, aggiornando il monitoraggio periodico sull’informazione dei cambiamenti climatici in Italia.
I risultati mostrano che nel terzo quadrimestre del 2023 i principali quotidiani italiani hanno pubblicato in media 2,9 articoli al giorno in cui si fa almeno un accenno alla crisi climatica, ma gli articoli realmente dedicati al problema sono meno della metà. Si tratta di una diminuzione rispetto al quadrimestre precedente, quando l’alluvione dell’Emilia-Romagna e le ondate di calore estive avevano elevato la copertura, a conferma della natura saltuaria ed emergenziale che caratterizza il racconto mediatico del riscaldamento globale. Nello stesso periodo ha invece raggiunto livelli record la dipendenza della stampa italiana dalle pubblicità delle aziende più inquinanti (compagnie del gas e del petrolio, dell’automotive, aeree e crocieristiche): con l’unica eccezione di Avvenire, negli altri quotidiani esaminati si è arrivati a una media di un’inserzione pubblicitaria al giorno. L’influenza del mondo economico emerge in modo eclatante anche dall’analisi dei soggetti che hanno più voce negli articoli sulla crisi climatica dei quotidiani: al primo posto spiccano infatti aziende ed esponenti dell’imprenditoria (31%), che staccano politici e istituzioni internazionali (11%) e nazionali (9%), e persino tecnici e scienziati (11%), nonostante nel periodo in esame l’evento più seguito dai media sia stato il vertice ONU sul clima di Dubai (COP28), in cui le voci di politici e scienziati avrebbero dovuto prevalere.
Sui telegiornali colpisce sia il fatto che in quattro mesi di trasmissioni nessun telegiornale abbia mai indicato un solo responsabile della crisi climatica, sia l’aumento delle narrative di resistenza alla transizione energetica, che raddoppiano rispetto al precedente periodo di analisi, passando dal 9,7% al 18,4%. Un sintomo dell’influenza della politica e del controllo del governo Meloni sulla Rai, come si evince dal sensibile calo di attenzione della rete pubblica nei confronti della crisi climatica. Il TG5 e Studio Aperto diventano infatti i telegiornali che hanno dato più spazio al riscaldamento del pianeta, con il 2,5% e il 2,4% sul totale delle notizie trasmesse, mentre per la prima volta il TG1 scivola all’ultimo posto della classifica insieme al TG4 e al TG La7, con appena l’1,8%.
In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha aggiornato la classifica dei principali quotidiani italiani: ancora una volta raggiunge la sufficienza soltanto Avvenire (con 6 punti su 10), migliora La Stampa (3,6 punti), mentre sprofondano le tre principali testate italiane: Il Sole 24 Ore (3,2 punti), Repubblica (3,0) e Corriere (2,4). I giornali sono stati valutati mediante cinque parametri: 1) quanto parlano della crisi climatica; 2) se citano i combustibili fossili tra le cause; 3) quanta voce hanno le aziende inquinanti ; 4) quanto spazio è concesso alle loro pubblicità; 5) se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti.
Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica scendono dal 4,1% al 2,6% sul totale dei post pubblicati. Hanno trovato più spazio gli aspetti politici (29%) e sociali (27%) rispetto a quelli ambientali (22%) ed economici (9%). Tra i soggetti citati o intervistati prevalgono gli esperti scientifici e le associazioni ambientaliste (17% ciascuno), che superano aziende ed esponenti dell’imprenditoria (13%) Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica tpi (9% sul totale dei post pubblicati), torcha (8%) e factanza (7,5%), mentre chiudono la classifica larepubblica (0,8%) e laveritaweb (0,8%).

DA UN SONDAGGIO IL 76% DEI FRANCESI E' CONTRARIO ALL'INVIO DI TRUPPE

 3 francesi su 4 contrari all’invio di truppe in Ucraina

16.03.24-Pressenza

Lunedì 26 febbraio il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, ha avanzato la possibilità di inviare truppe occidentali in Ucraina. La dichiarazione è stata rilasciata nell’ambito della conferenza a sostegno di questo paese, che dal 22 febbraio 2022 deve far fronte all’invasione del suo territorio da parte della Russia. È evidente che tale dichiarazione non trova l’unanimità nella classe politica francese. Anzi, si è verificato l’effetto opposto. Inoltre, secondo un sondaggio pubblicato mercoledì 28 febbraio, il 76% dei francesi è contrario all’invio di truppe francesi in Ucraina.
“Oggi non c’è consenso sull’invio di truppe di terra in modo ufficiale, presupposto e sostenuto. Ma dal punto di vista dinamico, nulla deve essere escluso”, ha dichiarato lunedì 26 febbraio il Capo di Stato francese di fronte agli alleati dell’Ucraina riuniti a Parigi, prima di aggiungere: “faremo tutto il necessario affinché la Russia non possa vincere questa guerra.”
Tutti, dall’estrema destra alla sinistra antiliberale, hanno condannato fermamente le dichiarazioni di Emmanuel Macron, compreso l’invio di truppe occidentali in Ucraina.
1Le dichiarazioni presidenziali hanno provocato una reazione nell’estrema destra. “Non so se tutti si rendono conto della gravità di una simile affermazione”, dichiara Marine Le Pen, l’ex presidente del gruppo Rassemblement National (RN) all’Assemblea Nazionale. “Emmanuel Macron interpreta il signore della guerra, ma è della vita dei nostri figli che parla con tanta noncuranza”, ha aggiunto. L’attuale presidente di RN, Jordan Bardella, ha criticato Emmanuel Macron per aver “perso la calma”. “Sventolare lo spettro di un impegno delle nostre truppe contro una potenza nucleare è un atto tanto grave quanto imprudente”, ha giudicato.
La destra liberale ha espresso la sua preoccupazione. “La dichiarazione di Emmanuel Macron, carica di terribili conseguenze, è stata fatta senza il minimo dibattito parlamentare. Questa posizione è davvero ben pensata?”, ha rimarcato Eric Ciotti, presidente dei Repubblicani (LR), partito della destra storica. Bruno Retailleau, capogruppo dei senatori dei Repubblicani, si è detto “sbalordito” dalle dichiarazioni presidenziali prima di aggiungere “L’entrata in guerra della Francia contro la Russia sarebbe una follia dalle conseguenze incalcolabili”.
Neanche l’opposizione di sinistra ha risparmiato le critiche. Dopo aver ritenuto che una guerra con la Russia sarebbe una “follia”, il segretario del Partito Socialista, Olivier Faure, ha chiesto a Emmanuel Macron “un incontro con i leader dei partiti politici” e “un dibattito strategico informato” in Parlamento.
“Irresponsabile”, ha affermato il comunista Léon Deffontaines. “Mi rifiuto di far parte di una nuova generazione sacrificata” ha reagito, sul social network X, l’ex capo dei Giovani Comunisti, per il quale questa dichiarazione “potrebbe trascinare la Francia e il mondo in guerra”.
Non manca la reazione del principale partito della sinistra antiliberale, La France Insoumise (FI). “L’invio di truppe in Ucraina ci renderebbe belligeranti”, ha denunciato il suo leader Jean-Luc Mélenchon, per il quale la guerra contro la Russia sarebbe una follia. “Questa escalation bellicosa è irresponsabile”, ha ricordato Manon Aubry, deputata FI e presidente del gruppo di sinistra in Parlamento, che si batte per “utilizzare tutta la forza della Francia per agire a favore della pace”. Il deputato FI François Ruffin ha infine accusato il Capo dello Stato di “improvvisare” invitandolo a “discuterne con l’Assemblea nazionale”.
Poche voci sono arrivate a sostegno di Emmanuel Macron. Come il presidente della commissione affari esteri dell’Assemblea nazionale e deputato del Movimento Democratico (MoDem) di centrodestra, Jean-Louis Bourlanges, che afferma “… abbiamo un obbligo di risultato nei confronti dell’Ucraina… Perché è diventata la nostra guerra. In realtà, il nostro problema della sicurezza è diventato la nostra guerra anche se non siamo in guerra. La sconfitta dell’Ucraina sarebbe la nostra sconfitta”.
L’unico leader politico nazionale di questa opinione, Raphaël Glucksmann, leader di Place Publique, piccolo gruppo di centrosinistra, si è espresso diversamente. Invita Emmanuel Macron ad “aumentare enormemente gli aiuti militari all’Ucraina” in modo da “non dover mai impegnare truppe”, prosegue, “… La pace non è sottomissione ai tiranni. Di fronte ai dittatori che scatenano le guerre, la pace richiede che i democratici siano forti”, conclude.
L’assenza di dibattito parlamentare suscita emozione soprattutto tra i rappresentanti dei partiti politici. Le opposizioni temono inoltre il rischio di un conflitto diffuso.
Queste sono le reazioni politiche. Ma cosa ne pensano i francesi?
Un sondaggio dell’Istituto CSA, realizzato per CNEWS, Europe 1 e Le Journal du Dimanche, pubblicato mercoledì 28 febbraio, annuncia che più di 3 francesi su 4 (76%) ritengono che le truppe militari francesi non dovrebbero essere inviate in Ucraina. Tuttavia, il 23% degli intervistati pensa il contrario e dichiara che i soldati francesi dovrebbero essere inviati, mentre l’1% degli intervistati non si esprime. Le differenze sono però maggiori suddividendo gli intervistati per età: se tra gli intervistati sotto i 30 anni quasi il 70% risulta contrario all’invio di soldati francesi, nella fascia di età compresa tra 50 e 64 anni circa l’85% ritiene che le truppe francesi non dovrebbero essere inviate in Ucraina, vale a dire 12 punti in più rispetto agli over 65 e 17 punti in più rispetto a quelli di età compresa tra i 18 e i 24 anni.
Se guardiamo ora le opinioni in base alle preferenze politiche, gli intervistati che si identificano con la destra (81%) sono molto più contrari all’invio di soldati francesi in Ucraina; il 76% degli intervistati vicini ai repubblicani si dice contrario a questa possibilità, l’84% dei francesi intervistati vicini al Rassemblement National condivide questa opinione. Le percentuali oscillano notevolmente anche all’interno della sinistra (67% “no” in totale), dove i sostenitori del Partito socialista sono solo il 65% a dichiararsi contrario all’invio di truppe francesi in Ucraina, mentre il 78% degli intervistati vicini a Europe Écologie-Les Verts condivide questa opinione.
In sintesi, vediamo che la classe politica e l’opinione pubblica francese sono relativamente in sintonia, ed è abbastanza raro da sottolinearlo. Una maggioranza di tre quarti è contraria all’invio di truppe francesi o occidentali in Ucraina.

SASSONIA: VESCOVO LUTERANO E GIOVANI PIANTANO INSIEME 500 ALBERI

 

Un importante segnale di fronte ai cambiamenti climatici.

 

Preservare gli habitat per l'uomo e la natura e vivere speranza ed energia è ciò che hanno sperimentato in un progetto comune il vescovo Bilz e i giovani della Chiesa della evangelica luterana di Sassonia, Germania.

I giovani condividono la loro visione della chiesa e acquisiscono informazioni sulla gestione forestale della chiesa.

Il vescovo Tobias Bilz della Chiesa evangelica luterana della Sassonia, Germania, ha recentemente piantato più di 500 alberi con un gruppo di giovani di 15 e 16 anni.

«La speranza non è solo una parola ma un atteggiamento» ha detto Bilz. La campagna di piantumazione di alberi è uno dei risultati di una lettera che il vescovo ha scritto a tutti i giovani della sua chiesa.

Molti giovani vedono le sfide del cambiamento climatico e sono preoccupati. Bilz ha affermato di essere rimasto impressionato dall'energia e dall'impegno del gruppo e di aver sperimentato l'incredibile potere di prendere la vanga e agire insieme per proteggere la foresta e il clima. «Fare qualcosa con le proprie mani è il modo migliore per rendersi conto che si può fare la differenza nella vita», ha osservato.

Nella sua lettera, ha sottolineato che «nella nostra chiesa partner della Tanzania è tradizione che tutti i giovani piantino dieci alberi durante la cerimonia di confermazione».

Ha scritto che anche le foreste della Sassonia «soffrono a causa della siccità e degli incendi boschivi» esprimendo il desiderio di lavorare con i giovani «per garantire che i giovani alberi possano crescere nelle foreste qui da noi». Le foreste, ha proseguito, «forniscono habitat per animali e piante; sono luoghi di svago per noi esseri umani e importanti per la protezione del clima».

Nella sua lettera Bilz ha anche chiesto ai giovani cosa apprezzano della Chiesa e dove vorrebbero vedere dei cambiamenti. Il vescovo sassone si è detto felice delle numerose risposte. e. «Mi dà speranza quando i giovani dicono che vivono la fede in Dio e nella comunità nella nostra chiesa come qualcosa di significativo». I giovani hanno menzionato molti altri aspetti che ritengono importanti della chiesa: cantare insieme, frequentare il gruppo giovanile, i ritiri e i campi ei culti loro dedicati.

«Ma hanno anche espresso chiaramente i cambiamenti che vorrebbero vedere» e questo «è altrettanto importante e significativo per me», ha aggiunto Bilz. Ad esempio, molti volevano più apertura e tolleranza nella chiesa, canti e culti più moderni e più partecipazione e opportunità per i giovani.

Sotto la guida della guardia forestale Leila Reuter, Bilz e i giovani hanno piantato 500 pini in un bosco di proprietà della chiesa.

Reuter ha spiegato di che cosa soffrono le foreste e come l'unità forestale della chiesa sta contrastando questa situazione. «Le nostre specie arboree non possono adattarsi così rapidamente ai cambiamenti climatici», ha detto Reuter. Ecco perché la gestione delle foreste punta sulla rigenerazione naturale, ad esempio, con faggio e acero montano, e sul rimboschimento con specie arboree che hanno un'elevata tolleranza all'acqua e al calore: «Tra queste figurano specie di alberi pionieri come il pino che hanno aiutato a creare le nostre foreste dopo l'era glaciale» ha concluso Reuter.

(RIFORMA, gennaio 2024)

Sesso in cambio di crack

studentesse e clienti ai festini dell'orrore

di Elisa Sola

 

Universitarie, lavoratrici, madri insospettabili ormai tossicodipendenti si prostituivano "a chiamata" in una casa di via Urbino: lì ricevevano la droga

C'è la studentessa di psicologia che dal tardo pomeriggio all'alba del giorno dopo incontra 40 clienti. Uno dopo l'altro. Ognuno di loro vale una fumata di crack. E la fumata diventa più lunga a seconda di quello che lei è disposta a fare. C'è la barista che stacca dal locale di piazza Vittorio alle undici e mezza di sera. E che finito il turno, per arrivare alla casa del crack più in fretta, paga un taxi: «Così ci metto solo 9 minuti».

C'è la madre di una bambina: contattata in serata perché serve

una puttana» (come vengono letteralmente definite le giovani nelle intercettazioni) in più al festino, dice: «Non posso, sono con mia figlia». Ma dopo 10 minuti richiama: «Posso stare mezz'ora». E dopo quella mezz'ora, fumati i 20 euro di crack che le spettano, supplica: «Se resto ancora un po', cosa riesci a darmi ancora?».

Sono studentesse universitarie, lavoratrici, madri. Sono donne insospettabili le vittime del crack. Invischiate a tal punto nella dipendenza di una delle droghe più devastanti – ma anche più vendute a Torino – da restare quattro giorni consecutivi in un alloggio fetido, per drogarsi e prostituirsi. Anzi, per prostituirsi e drogarsi. Perché riguardo alla scansione delle azioni, dei tempi e dei ruoli, Monique, il trans che gestiva clienti, pusher e tossicodipendenti distrutte, era inflessibile. Tanto da contare il sesso al minuto. E dal saperlo trasformare in grammi di "roba".

«Portamene 35, capito? Ne voglio per 35 euro giusti. Con la busta aperta, che la scorsa volta mi hai portato più carta che anima», ordinava al telefono a uno degli otto pusher di fiducia. E Monique, da vero maniaco del controllo, presenziava a ogni incontro. Il sesso era spesso di gruppo, nella sua casa. Le ragazze, mai sole con il cliente. Lui guardava. O partecipava. Mentre gestiva centinaia di telefonate. Quelle che hanno consentito, tra l'altro, alla pm Chiara Maina di risalire a molti personaggi del popolo del crack.

Ieri si è concluso il filone dibattimentale del processo scaturito da una lunga indagine svolta dai carabinieri. Sul banco degli imputati c'erano i due presunti complici di Monique, condannato in abbreviato a due anni e otto mesi di reclusione e 3mila euro di multa per sfruttamento della prostituzione. Sono stati entrambi assolti su richiesta delle avvocate Stefania Agagliate, Silvia Bregliano e Flavia Pivano: «Signor giudice, qui hanno fatto un castello, ma parliamo di drogati» ha esclamato uno dei due. «Non sono un santo – ha detto l'imputato rendendo dichiarazioni spontanee – ma non sfrutto le persone. Adesso vado al Sert, ho smesso. Non c'era gente che diceva fai questo o quello. Eravamo solo dei drogati». Oltre ai due assolti e a Monique, due spacciatori che rifornivano la casa hanno patteggiato pene a oltre un anno di reclusione. A uno sono contestate oltre 108 cessioni di droga.

Via Urbino 33. La Torino del crack è al piano terra di un palazzo di mattoni rossi. Oltre il cancello bianco che delimita l'aiuola condominiale di erbetta all'inglese. Oltre le due colonne grigie. «Poi giri a destra e sei arrivato» raccontava una ragazza sentita dai carabinieri, che hanno osservato per settimane, grazie alle telecamere, l'incessante processione. Il crack lo fumavano tutti, clienti e donne costrette a vendersi per il bisogno di droga. «Quand'è che mi organizzi una serata? Due puttane, io porto il resto», diceva un cliente al telefono. E Monique rispondeva: «Due ci sono già. Ovviamente non puttane che si fanno pagare. Fanno quello che facciamo noi».

 

La Repubblica, 6 marzo


domenica 17 marzo 2024

L'AUTENTICITA' LA SI RICONOSCE SUBITO

 da Repubblica del 05/03/2024

Perché riconosci Ibrahima Loredana e Gino e non Chiara
La supremazia dell’inautentico

dI Concita De Gregorio

L’autenticità ha una caratteristica formidabile: è autoevidente. Si riconosce da una combinazione di fattori (modi, postura, tempi di reazione: tutti fattori non verbali) che rendono quella persona credibile. Non c’è nessun bisogno di annunciarla, non ho memoria della verduraia Vittoria che dica oggi sono autentica. Se la annunci è perché c’è un deficit e lo sai, hai bisogno di essere creduta e usi la maschera di quella che si toglie la maschera: un’altra finzione.
Nell’ultima puntata di Che Tempo Che Fa Ibrahima Balde, nato in Guinea, raccontava del suo viaggio alla ricerca vana di suo fratello e lo faceva guardando in basso, mai in camera, faticando a trovare le parole. Non aveva nessun bisogno di dire: sono autentico.
Gino Cecchettin parlava di sua figlia con lo sguardo rivolto all’interno, cercandone il ricordo. Ornella Vanoni e Loredana Bertè si sono parlate all’orecchio e mi pare sfiorate le labbra, felici di vedersi e ignorando le telecamere.
Chiara Ferragni appare afflitta da un arto mancante: non sa cosa sia, l’autenticità. È, per lei, una modalità sconosciuta. Non la trova neanche se la cerca, è definitivamente confusa con la rappresentazione. Ha imparato a guardare diritto in camera e a truccarsi da bambina, ha fatto della sua vita un fattore perpetuo di promozione. Vive nei terrificanti social che usa per generare profitto. Se gettasse il telefono svanirebbe. Troverebbe forse, col tempo, un’altra versione di sé ma perché dovrebbe, pensa che fatica e che minor guadagno.
È la massima artefice e vittima della supremazia dell’inautentico. Non è la causa ma il frutto di chi da tempo non distingue più la realtà dalla finzione e genera così il suo fatturat
o.

L'ASSISTENZA DOMICILIARE NON DECOLLA

 da Domani del 05/03/2024

Il tradimento degli anziani. La retromarcia del 
governo sull'assistenza domiciliare
di Anna Lisa Mandorino (segretaria generale Cittadinanzattiva)

Nella primavera dello scorso anno, in linea con le previsioni del Pnrr, la riforma era stata licenziata dal Parlamento, ma la rotta è stata invertita nella fase dei decreti attuativi. Il primo segnale negativo è stata l’assenza nella legge di bilancio di risorse dedicate. Il testo emanato qualche settimana fa non contiene nulla di quanto la riforma prometteva, anzi per alcuni aspetti ne rappresenta il rovesciamento.

C’era una volta una buona riforma, quella sugli anziani non autosufficienti, già ora 3,5 milioni di persone destinate ad aumentare irreversibilmente nei prossimi anni. Una riforma attesa almeno dagli anni Novanta, alla quale gli altri Paesi europei avevano già messo mano da tempo, prevista finalmente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, disegnata durante il governo Draghi e approvata sotto il governo Meloni con voto del Parlamento praticamente unanime. Ma alcune settimane fa, con il decreto che doveva renderla operativa, la nostra potenziale buona riforma è stata svuotata di contenuto e tradita nelle intenzioni. Nell’ultima conferenza Stato-Regioni temiamo sia stata irrimediabilmente azzoppata.
Torniamo a marzo del 2023 per ricostruire come il governo sia riuscito con poche, pessime mosse, a privare di credibilità la legge 33, la riforma in questione. A primavera dello scorso anno dunque, perfettamente in linea con le previsioni del Pnrr, essa viene licenziata dal Parlamento: un po’ pasticciata nella forma, ma positiva per il merito dei suoi contenuti e apprezzabile per il metodo.
Per il merito, poiché guarda alla condizione specifica della non autosufficienza degli anziani a 360 gradi, mettendo a fuoco l’insieme degli interventi che devono riguardarli: quelli domiciliari, quelli residenziali e quelli monetari, e ponendo le basi per migliorarli, valorizzarli e qualificarli. In che modo? Prevedendo un’assistenza domiciliare pensata su misura per gli anziani non autosufficienti e le loro necessità socio-sanitarie di lungo corso, non legate a singole prestazioni come ora è; immaginando forme di residenzialità di diversa tipologia, e con standard sia professionali sia alberghieri all’altezza dei bisogni delle persone assistite; definendo la necessità di nuove forme di prestazioni monetarie comparate alla gravità del caso, alla intensità del bisogno, alla disponibilità di servizi qualificati, e lontani dalla logica dell’attuale indennità di accompagnamento uguale per tutti.
Per il metodo perché bipartisan, come dovrebbero esserlo tutte le riforme che vogliono costruire un sistema di welfare capace di guardare al futuro e non all’immediato, e messa a punto accogliendo gran parte delle proposte provenienti dalla community civica impegnata su questo tema e stretta in un patto per la non autosufficienza di più di 60 fra enti e organizzazioni.
La retromarcia
Tutti contenti dunque, e pronti per passare alla fase dei decreti attuativi, destinati a dare corpo alla cornice di una legge buona ma, in quanto legge-delega, ancora troppo generale. Ed è qui che la rotta del governo si è invertita e la riforma, presentata con convinzione dall’esecutivo, ha cominciato a mostrare segnali di progressivo indebolimento.
Intanto, il primo segnale negativo è stata l’assenza nella legge di bilancio di risorse dedicate: nessuna riforma di respiro può avvenire a invarianza di bilancio e la mancanza di risorse è lo scoglio principale su cui si è incagliata l’intesa delle Regioni. L’altro è la protesta delle Regioni stesse per non essere state minimamente coinvolte nella costruzione del provvedimento, per non essere state neppure audite.
E poi, ultimo, decisivo, segnale negativo, il decreto emanato qualche settimana fa che non contiene nulla di quanto la riforma prometteva nelle linee generali, anzi per alcuni aspetti in particolare ne rappresenta il rovesciamento. Nessuna specifica su un’assistenza domiciliare ad hoc per la non autosufficienza; un generico riferimento alla residenzialità per la quale, come per decine di altre questioni, si rimanda a ulteriori provvedimenti; e dulcis in fundo, il capovolgimento dell’idea di una prestazione universale commisurata al bisogno assistenziale a fronte di un bonus previsto dal decreto e presentato come uno straordinario intervento di politica pubblica sugli anziani, che in realtà si limita a ristorare con poche centinaia di euro un numero assai contenuto di cittadini, over 80 e con ISEE non superiore a 6.000 euro.
Insomma, quasi tutto da rifare. A questo esito scoraggiante si sarebbe potuto trovare un correttivo nel consentire e, anzi, favorire spazi di partecipazione a tutti quei soggetti rilevanti rispetto alla questione.
Ma questa volta le porte della partecipazione, che nella fase ascendente della riforma sono rimaste aperte, il governo ha preferito chiuderle, perdendo la grande occasione di un processo riformatore condiviso e mettendosi nella condizione di ricevere a sua volta la porta in faccia da parte di tutte le Regioni.

CARI FRATELLI E CARE SORELLE

 Se proseguiamo con il nostro ritmo, le lettere di Paolo ci portano a  mille- duemila incontri.

A me sembra una scelta stucchevole ma anche difficile.Preferirei uscire da questa immersione in Paolo e le sue lettere.

Non si potrebbe passare ad un Vangelo?

Ovviamente tocca alla comunità la  scelta. Si attendono proposte.

Franco Barbero

UNO SCIOPERO MONDIALE CONTRO LA GUERRA

15.03.24 - Pressenza


Ci rivolgiamo a chi ha milioni di contatti con il mondo, a un movimento, una rete, un hacker che abbia a cuore la nostra sopravvivenza e la disfatta di chi la sta mettendo in pericolo. Chi è nato durante la seconda guerra mondiale è cresciuto pensando “mai più”. Mai più una guerra. 50 milioni di morti sembravano aver fatto rinsavire il mondo. Da allora guerra e genocidi non sono mai finiti. Gli ultimi li abbiamo sotto gli occhi: l’avanzata inarrestabile della Nato; l’invasione russa dell’Ucraina; l’atroce attacco di Hamas e la risposta inumana di Israele; il martirio infinito delle genti di Gaza. Stragi, stragi, stragi. Quando vedo la gente mitragliata mentre va a prendere la farina penso che loro siamo noi. Non in senso evangelico, ma storico. Nessuno ci vuole salvi. Tutti ci vogliono armati. C’è una fame di guerra che somiglia ai prodromi della prima guerra mondiale e annuncia la terza, e veramente ultima. Ho paura.
Abbiamo tutti paura. Ma crediamo che armandoci ci difenderemo. No, armandoci ci consegneremo alla guerra, al nemico, alla morte. Abbiamo un sogno. Che qualcuno che abbia i mezzi di comunicazione adeguati a svegliare la terra, dichiari uno sciopero mondiale contro la guerra. Per un giorno incrociamo le braccia. Per un giorno non si produce e non si consuma. Se anche il 20 per cento aderisse, anche solo per qualche ora, produciamo un danno economico come dieci guerre. Così il mondo si accorgerà che esistiamo: noi che vogliamo la pace, perché la pace è vita. Certo, ogni sciopero ha un costo. Ma niente costa come la guerra. Come questa guerra. L’ultima.

Primi firmatari:

Barbara Alberti
Ginevra Bompiani
Amitav Ghosh
Raniero La Valle
Massimiliano Fuksas
Luca Guadagnino
Margherita Buy
Gianni Dessì
Viola Di Grado
Vauro
Simonetta Sciandivasci
David Riondino
Lidia Ravera
Valerio Magrelli
Chiara Barzini
Fiamma Satta
Michelle Müller
Virginia Raffaele
Sabrina Giannini
Geneviève Makaping

LO DICO CON DOLORE: IL FEMMINISMO E' MORTO

 LUCETTA SCARAFIA

 

Con dolore e sgomento, all'avvicinarsi dell'8 marzo, mi trovo a constatare che il femminismo è morto. Sì, penso sia morto nonostante le manifestazioni dopo l'omicidio di Giulia Cecchetin, dopo il proliferare di panchine rosse e scarpette rosse in tutta Italia, dopo i campanacci suonati per dire che gli stupri e i femminicidi devono fare rumore, non rimanere sepolti nel silenzio. Penso sia morto perché è morta l'affermazione base del femminismo, proclamata dall'800 e poi ribadita nel tempo, e cioè che le donne sono tutte sorelle nell'oppressione, senza distinguere fra origine etnica, appartenenza politica, classe sociale. Il silenzio, invece, e non solo nel nostro paese, ha cancellato agli occhi dell'opinione pubblica due gravi offese alla dignità delle donne. In questi ultimi mesi, infatti, i movimenti femministi hanno operato dei grandi distinguo fra femministe da difendere, cioè femministe buone, e altre da lasciare nel silenzio. Distinzioni motivate da prese di posizioni ideologiche, che rompono quindi con la promessa di solidarietà che era alla base del femminismo delle origini.

Lo abbiamo visto quando il silenzio delle femministe ha accolto le terribili rivelazioni sugli stupri e i femminicidi perpetrati in Israele durante l'attacco del 7 ottobre da parte di Hamas. La pubblicazione del rapporto sui crimini sessuali commessi durante l'attacco di Hamas a Israele, realizzato dalla Association of Rape Crisis Centers in Israel, così dettagliato e ricco di informazioni su ciò che è successo, toglie ogni dubbio sul fatto che si sia trattato di una violenza non solo contro delle ebree, ma contro le donne in quanto donne, colpite nel loro corpo, mortificate e violentate come sesso. Già importanti informazioni in questo senso erano arrivate dopo la tragedia, da notizie che non potevano essere messe in dubbio, fornite come prova di trionfo dai guerriglieri stessi. Una violenza contro le donne praticata con forza e crudeltà senza precedenti e per di più esibita in modo tale da moltiplicare l'umiliazione delle vittime.

Invece di fronte a tale scempio neppure una manifestazione, un corteo, un'assemblea, nulla. Nulla per far sentire al piccolo numero delle donne sopravvissute e ai loro familiari quella solidarietà così necessaria per riprendere in mano la propria vita, come tutte le femministe sanno bene. Ma non eravamo forse ben consapevoli, per averlo detto tante volte, che in questi casi il silenzio equivale alla complicità?

Il motivo di questo silenzio va cercato nella cultura woke, che ormai ha contagiato i nuovi femminismi, che tendono ad affratellarsi con i movimenti LGBQ senza accorgersi che spesso le loro richieste sono contro le donne. La cultura woke ha un unico codice morale: quello di difendere le vittime sì, ma le vittime di volta in volta designate a seconda delle situazioni, delle parti e delle ideologie in gioco. Oggi, in un momento in cui il nemico indicato è sempre e solo il colonialismo bianco, di matrice ebraico cristiana, le persone di cultura islamica sono considerate sempre le vittime, a prescindere dalle circostanze e dalla verità fattuale. E così la verità dei fatti scompare, continuamente messa in discussione come opera di falsificazione, sicché ogni ricerca della giustizia si dilegua davanti a una confusione da cui si può uscire solo con una scelta ideologica.

Il silenzio delle femministe ha colpito anche le numerose religiose abusate da clero e religiosi nella chiesa cattolica, alcune delle quali hanno avuto il coraggio di denunciare i soprusi. Non sono molte, perché per loro è particolarmente difficile, ma solo qualche settimana fa c'è stata una conferenza stampa di due ex-religiose che hanno denunciato gli abusi sessuali, psicologici e spirituali subìti dal potente gesuita Rupnik. Sono solo una piccola avanguardia delle venti che l'hanno denunciato, nel silenzio e nell'ambiguità della chiesa che, come accade in questi casi, cerca di declassare questo tipo di abusi in trasgressioni consenzienti al voto di castità. Qualche accenno sui giornali, e poi silenzio. Da parte delle femministe, nessun interesse, nessuna solidarietà per queste donne che hanno pagato e pagano ancora un prezzo altissimo per la loro ribellione. Sarà forse perché, con il loro voto di castità, hanno perso il diritto di farsi difendere da movimenti che hanno fatto propria ogni richiesta della rivoluzione sessuale? Ma non si tratta anche in questi casi di vittime da difendere e aiutare?

Ricordiamoci di questo silenzio colpevole quando verrà celebrato l'8 marzo, quando grideremo la necessità di lottare contro i femminicidi e gli stupri e ogni genere di violenza. Ricordiamoci del nostro cedimento all'ipocrisia dei tempi: le donne sono vittime non a seconda le nostre idee, sono vittime semplicemente per le ferite che ognuna di esse porta sulla propria carne e nella propria anima.

La Stampa, 6 marzo

I camion e i bambini

di Michele Serra

 

Al varco di Rafah, che è la porta tra la Striscia di Gaza e l'Egitto, ci sono centinaia di camion pieni di cibo, bloccati. Dall'altra parte ci sono bambini denutriti e disidratati. Ascolto alla radio, mentre come tutti sto guidando e pensando agli affari miei, la voce di un uomo che piange, non riesce a parlare, non riesce a spiegare come sia possibile che da una parte ci sia cibo a volontà, dall'altra bambini affamati, e quella porta rimanga chiusa.

La voce è quella di Angelo Bonelli, leader dei Verdi, in missione da quelle parti con altri quindici parlamentari italiani (dunque serve ancora a qualcosa, cari "antipolitici", fare politica). La trasmissione è "Il rosso e il nero", condotta da Francesco Storace e Vladimir Luxuria, breve spicchio di umanità nel palinsesto militante di Radiouno (parentesi: Storace è schiettamente fascista, Luxuria è stata eletta in Parlamento con Rifondazione Comunista. Se riesco ad ascoltarli è perché danno l'idea di essere al microfono in quanto essere umani, non in quanto impiegati della politica). Ascoltando Bonelli, il suo semplice racconto fatto di dolore e di impotenza, ho pensato, ed è un pensiero che mi duole, che Netanyahu sta scavando la fossa a Israele — come se non bastassero quelli che già vogliono scavargliela. Niente, nemmeno il bestiale pogrom di Hamas il 7 di ottobre, nemmeno gli ostaggi, giustifica la rappresaglia feroce sulle persone di Gaza, la fame e la sete dei bambini, il terrore, lo sfinimento, la morsa inumana su un popolo schiantato. Valenti sponsor dell'una dell'altra causa ancora si schierano, e spiegano chi ha ragione e chi ha torto. Ma i soli che hanno ragione sono i bambini (prendete queste parole al netto di ogni retorica) e io mi sento rappresentato solo dalle lacrime di Angelo Bonelli, fermo tra i camion e i bambini.

 La Repubblica, 6 marzo