IL CASO:
”IL MIO AMICO DON BIANCIOTTO“
Intervista a
don Cesare Canavosio, il missionario che gli prestò 10 mila euro
“Era il 2018,
non ricordo il mese esatto. Don Paolo mi chiede 10mila euro
in prestito. Glieli diedi: con lui aveva un debito morale. Anni prima
mi aveva aiutato a sostenere gli studi di un giovane congolese
che poi diventò medico. Lui mi aiutò, io aiutai lui”.
Don Cesare
Canavosio conosce bene don Bianciotto. Hanno solo un anno di
differenza: classe '42 il primo, '43 il secondo. Si fin
conoscono da ragazzi. “Eravamo compagni di liceo e d'estate ci
scrivevamo lettere in alfabeto greco”, sorride,
evocando ricordi lontani.
“Siamo
stati in Seminario insieme, a Pinerolo, poi mons. Quadri
ci ordinò sacerdoti. Era il 29 giugno 1968. Eravamo in tre”.
Pochi anni
dopo le loro strade si dividono: nel 1974 don Cesare parte missionario
per il Congo, dove resterà 24 anni. “Avrei continuato, ma
i miei genitori erano anziani e non me la sono sentita di
lasciarli soli”. Ma la vita missionaria resta la sua vera passione.
Lo si legge nei suoi occhi azzurri e nella commozione con cui
parla di quel quarto di secolo nel cuore dell'Africa nera. Sedici anni
come parroco. Ma questa è un'altra storia, che richiederebbe
giornate intere per essere raccontata. Lui si soffermerebbe volentieri
su quei ricordi, ma lo riportiamo (un po' a malincuore)
al motivo del nostro incontro, sotto la pergola della sua
cascina di Buriasco, dopo la messa alla Cappella di Rivasecca: il prestito a
don Bianciotto.
IL PRESTITO
"INTERCETTATO"
Quel prestito
nel 2020 finì nelle intercettazioni della Guardia di Finanza di Pinerolo e poi
nelle carte dell'inchiesta della Procura di Torino (pm Francesco Pelosi) che
oggi ha portato in Tribunale lo storico parroco della Madonna di Fatima, don
Paolo Bianciotto.
Un "Giano
bifronte": con una mano dà, con l'altra prende. Molto criticato, ma anche
molto amato.
Ancora oggi, a
oltre due anni e mezzo dalla deflagrazione dell'indagine sui media di mezza
Italia, gode di apprezzamento, fiducia e sostegno (anche economico) di molti.
Altri invece,
seppur protetti dall'anonimato, lo definiscono “un malato, uno che ha solo i
soldi in testa” e che, nonostante il processo in corso, continua a chiedere (e
puro ottenere) prestiti. Forse, si mormora, per alimentare la passione per il
gioco. Ma sono solo voci.
Quel che è
certo è che don Paolo era solito distribuire “gratta e vinci” durante le gite
parrocchiali. Un'abitudine innocente, forse, ma non proprio consona per un
sacerdote. Più concreti sono i "regali" alla fidanzata perpetua
Marinella, chiamata a testimoniare il 30 settembre 2024.
Non ha saputo
dire (sic!) chi coprisse le rate del mutuo del suo alloggio, né da dove
arrivassero i 700 - 800mila euro usati per iniziare attività per sé e la sua
famiglia, o per acquistare una bella auto al figlio disoccupato.
DON CESARE: “NON
SONO STATO TURLUPINATO”
In questa
vicenda opaca e ancora tutta da chiarire, una cosa è certa: don Canavosio non
si sente vittima. “Non ho rimpianti. Lui ha fatto del bene, anch'io. Non sono
stato turlupinato. Grazie a lui un giovane della missione ha studiato
Medicina”. Così, quando don Paolo gli chiese 10 mila euro, non esitò: “Avevo
un debito morale”, ripete. “Mi disse che doveva aiutare un giovane
tossicodipendente a evitare il carcere”. Una buona causa, dunque. E lei gli
credette? “Perché non avrei dovuto”.
Lo ha detto in
aula, mercoledì 18, rispondendo al giudice Riccardo Ricciardi della Quarta
sezione penale. Lo ha ripetuto a noi sabato scorso.
Poco importa
se, sentito dalla Finanza durante l'indagine, aveva detto che quei soldi “li
considerava persi”. In parte fu così.
Don Paolo non
si fece più sentire per due anni, e non sembrava intenzionato ad onorare il
debito. “Poi lo chiamai, ne avevo bisogno, e mi restituì prima 1.000 euro,
poi 500”. Seguì un lento stillicidio di piccole somme: 120, 250, 100. In
totale, 8.800 euro.
“Per il
resto gli dissi: Lasciamo stare, chiudiamola qui”. Era passato troppo
tempo.
Un rimpianto
però ce l'ha: “Il capitale l'ho perso. Quei soldi mi sarebbero serviti per
fondare una parrocchia nella terra dei Pigmei. Ma non li ho più avuti a
disposizione”.
LA RICCA
SIGNORA E I 150MILA EURO
Non si sente
vittima, don Cesare. E come lui, altri che hanno prestato soldi a don
Bianciotto. Come una signora pinerolese, molto benestante e assai altolocata,
che gli diede 150 mila euro come prestito infruttifero per le “necessità” della
parrocchia.
Mai
restituiti. “Non è un problema: quando potrà lo farà”. Anche lei è stata
ascoltata nell'aula la settimana scorsa, fragile o circonvenibile.
I suoi
prestiti, come quello di don Cesare, come i "regali" a Marinella e il
denaro che don Bianciotto avrebbe prelevato dai conti di Madonna di Fatima
(l'indagine ha rilevato ammanchi per 303 mila euro), da quelli della Nuova
scuola mauriziana di Torre Pellice (132.500 euro) e di altre parrocchiane
facoltose, non sono oggetto del processo penale. La Procura avrebbe voluto
fosse giudicato anche per "appropriazione indebita", ma sarebbe
servita la querela del vescovo Derio Olivero (mai presentata).
Così, oggi don
Paolo è accusato "solo" di circonvenzione di incapacità, ai danni di
tre (presunte) vittime, una sola delle quali si è costituita parte civile. «Di
questo, e null'altro, è chiamato a rispondere», hanno sempre ribadito i suoi
avvocati, Simone Chiappori e Wladimiro Lanzetti. Il giudice aveva però disposto
che anche altri testimoni – estranei all'ipotesi di circonvenzione -
venissero
sentiti per definire meglio la personalità di questo singolo uomo di Chiesa.
Prossima
udienza: 13 ottobre. È atteso anche il vescovo.
Lucia Sorbino (da “L'Eco del
Chisone” del 25 giugno 2025)