martedì 15 luglio 2025

IL CASO:

”IL MIO AMICO DON BIANCIOTTO“

 

Intervista a don Cesare Canavosio, il missionario che gli prestò 10 mila euro

“Era il 2018, non ricordo il mese esatto. Don Paolo mi chiede 10mila euro in prestito. Glieli diedi: con lui aveva un debito morale. Anni prima mi aveva aiutato a sostenere gli studi di un giovane congolese che poi diventò medico. Lui mi aiutò, io aiutai lui”.

Don Cesare Canavosio conosce bene don Bianciotto. Hanno solo un anno di differenza: classe '42 il primo, '43 il secondo. Si fin conoscono da ragazzi. “Eravamo compagni di liceo e d'estate ci scrivevamo lettere in alfabeto greco”, sorride, evocando ricordi lontani.

“Siamo stati in Seminario insieme, a Pinerolo, poi mons. Quadri ci ordinò sacerdoti. Era il 29 giugno 1968. Eravamo in tre”.

Pochi anni dopo le loro strade si dividono: nel 1974 don Cesare parte missionario per il Congo, dove resterà 24 anni. “Avrei continuato, ma i miei genitori erano anziani e non me la sono sentita di lasciarli soli”. Ma la vita missionaria resta la sua vera passione. Lo si legge nei suoi occhi azzurri e nella commozione con cui parla di quel quarto di secolo nel cuore dell'Africa nera. Sedici anni come parroco. Ma questa è un'altra storia, che richiederebbe giornate intere per essere raccontata. Lui si soffermerebbe volentieri su quei ricordi, ma lo riportiamo (un po' a malincuore) al motivo del nostro incontro, sotto la pergola della sua cascina di Buriasco, dopo la messa alla Cappella di Rivasecca: il prestito a don Bianciotto.

 

IL PRESTITO "INTERCETTATO"

Quel prestito nel 2020 finì nelle intercettazioni della Guardia di Finanza di Pinerolo e poi nelle carte dell'inchiesta della Procura di Torino (pm Francesco Pelosi) che oggi ha portato in Tribunale lo storico parroco della Madonna di Fatima, don Paolo Bianciotto.

Un "Giano bifronte": con una mano dà, con l'altra prende. Molto criticato, ma anche molto amato.

Ancora oggi, a oltre due anni e mezzo dalla deflagrazione dell'indagine sui media di mezza Italia, gode di apprezzamento, fiducia e sostegno (anche economico) di molti.

Altri invece, seppur protetti dall'anonimato, lo definiscono “un malato, uno che ha solo i soldi in testa” e che, nonostante il processo in corso, continua a chiedere (e puro ottenere) prestiti. Forse, si mormora, per alimentare la passione per il gioco. Ma sono solo voci.

Quel che è certo è che don Paolo era solito distribuire “gratta e vinci” durante le gite parrocchiali. Un'abitudine innocente, forse, ma non proprio consona per un sacerdote. Più concreti sono i "regali" alla fidanzata perpetua Marinella, chiamata a testimoniare il 30 settembre 2024.

Non ha saputo dire (sic!) chi coprisse le rate del mutuo del suo alloggio, né da dove arrivassero i 700 - 800mila euro usati per iniziare attività per sé e la sua famiglia, o per acquistare una bella auto al figlio disoccupato.

 

DON CESARE: “NON SONO STATO TURLUPINATO”

In questa vicenda opaca e ancora tutta da chiarire, una cosa è certa: don Canavosio non si sente vittima. “Non ho rimpianti. Lui ha fatto del bene, anch'io. Non sono stato turlupinato. Grazie a lui un giovane della missione ha studiato Medicina”. Così, quando don Paolo gli chiese 10 mila euro, non esitò: “Avevo un debito morale”, ripete. “Mi disse che doveva aiutare un giovane tossicodipendente a evitare il carcere”. Una buona causa, dunque. E lei gli credette? “Perché non avrei dovuto”.

Lo ha detto in aula, mercoledì 18, rispondendo al giudice Riccardo Ricciardi della Quarta sezione penale. Lo ha ripetuto a noi sabato scorso.

Poco importa se, sentito dalla Finanza durante l'indagine, aveva detto che quei soldi “li considerava persi”. In parte fu così.

Don Paolo non si fece più sentire per due anni, e non sembrava intenzionato ad onorare il debito. “Poi lo chiamai, ne avevo bisogno, e mi restituì prima 1.000 euro, poi 500”. Seguì un lento stillicidio di piccole somme: 120, 250, 100. In totale, 8.800 euro.

Per il resto gli dissi: Lasciamo stare, chiudiamola qui”. Era passato troppo tempo.

Un rimpianto però ce l'ha: “Il capitale l'ho perso. Quei soldi mi sarebbero serviti per fondare una parrocchia nella terra dei Pigmei. Ma non li ho più avuti a disposizione”.

 

LA RICCA SIGNORA E I 150MILA EURO

Non si sente vittima, don Cesare. E come lui, altri che hanno prestato soldi a don Bianciotto. Come una signora pinerolese, molto benestante e assai altolocata, che gli diede 150 mila euro come prestito infruttifero per le “necessità” della parrocchia.

Mai restituiti. “Non è un problema: quando potrà lo farà”. Anche lei è stata ascoltata nell'aula la settimana scorsa, fragile o circonvenibile.

I suoi prestiti, come quello di don Cesare, come i "regali" a Marinella e il denaro che don Bianciotto avrebbe prelevato dai conti di Madonna di Fatima (l'indagine ha rilevato ammanchi per 303 mila euro), da quelli della Nuova scuola mauriziana di Torre Pellice (132.500 euro) e di altre parrocchiane facoltose, non sono oggetto del processo penale. La Procura avrebbe voluto fosse giudicato anche per "appropriazione indebita", ma sarebbe servita la querela del vescovo Derio Olivero (mai presentata).

Così, oggi don Paolo è accusato "solo" di circonvenzione di incapacità, ai danni di tre (presunte) vittime, una sola delle quali si è costituita parte civile. «Di questo, e null'altro, è chiamato a rispondere», hanno sempre ribadito i suoi avvocati, Simone Chiappori e Wladimiro Lanzetti. Il giudice aveva però disposto che anche altri testimoni – estranei all'ipotesi di circonvenzione -

venissero sentiti per definire meglio la personalità di questo singolo uomo di Chiesa.

Prossima udienza: 13 ottobre. È atteso anche il vescovo.

 

Lucia Sorbino (da “L'Eco del Chisone” del 25 giugno 2025)