Carlo Cottarelli: “Il riarmo che chiede la
Nato costa 350 mld e non è giustificato”
“L’impressione è
che siano numeri piovuti dall’alto, senza una chiara spiegazione. Diciamo che
quella ufficiale non mi convince molto”.
L’economista Carlo
Cottarelli, ex Fmi, ora direttore dell’osservatorio sui conti pubblici
dell’università Cattolica, è assai perplesso sui nuovi obiettivi Nato sulla
spesa militare decisi al vertice dell’Aja.
Da dove nascono i
dubbi?
Un aumento della
spesa militare era fisiologico, la questione qui sono le dimensioni
eccezionali. Questi obiettivi comportano un enorme incremento della spesa per
la difesa. Alcuni peraltro non sono chiari. Il 3,5% del Pil in più entro il
2035 lo è, perché conosciamo la definizione della spesa regolare che dà la
Nato.
Cosa invece rientri
nell’1,5% di spese legate alla “sicurezza” no: potremmo anche scoprire che non
è tutta aggiuntiva.
Di che ordini di
grandezza parliamo per l’Italia?
A prezzi e Pil di
quest’anno, arrivare al 3,5% significa spendere 44 miliardi in più, 50 se
consideriamo che nel frattempo il Pil dovrebbe aumentare. Meno se ci prendono
per buona la riclassificazione di certe spese per cui già ora siamo al 2% del
Pil invece dell’1,6% di cui Crosetto parlava a novembre.
Chi vuole
ridimensionarne la portata dice che si tratta di qualche miliardo in più
l’anno...
Ovviamente è una
spesa che si cumula. Fatto sta che, fra dieci anni, dovremmo avere un livello
di spesa di 44-50 miliardi più alto di quello attuale. Se poi cumuliamo la
maggiore spesa su dieci anni si arriva a 350 miliardi. Tutto debito in più, se
non si trovano altre fonti di finanziamento.
Un aumento
giustificato?
L’ultima volta che
abbiamo speso il 3,5% del Pil in difesa era il 1954, era appena finita la
guerra di Corea e c’era l’unione sovietica, che aveva una popolazione pari al
54% di quella dei Paesi Nato. Se l’avversario oggi è la Russia, mi chiedo che
senso ha spendere così tanto, visto che ha una popolazione pari al 16% di
quella Nato, una spesa militare inferiore a quella dell’Ue e in tre anni non è
riuscita a
sconfiggere
l’Ucraina, ben armata. Che, fra l’altro, starebbe dalla nostra parte in caso di
una guerra.
Qualcuno direbbe
che sta sottovalutando la minaccia russa.
Dobbiamo essere
razionali. Il rischio che Putin attacchi un Paese Nato non è zero, ma non è
certo altissimo. Non vedo la necessità di portare la spesa a un simile livello
per creare un effetto deterrente verso Putin. Non è un avversario per cui
spendere il 3,5% del Pil in armi. Un aumento ci stava, ma non è chiaro perché
doveva essere così forte.
Quale avversario lo
sarebbe?
Ragionando in
termini di dimensioni, lo è molto più la Cina, che ha raggiunto livelli
economici pari agli Usa e questo inizia a creare attriti inevitabili. Al
momento però non ha atteggiamenti aggressivi né mi pare che ci sia questo
ragionamento dietro i nuovi obiettivi.
È credibile che
questa spesa aggiuntiva sia finanziabile senza ridurre welfare o altre spese
sociali?
L’attacco russo è
un rischio basso, che non vale una spesa simile.
Serviranno tagli e
più tasse.
È evidente che non
si può finanziare a debito, nemmeno in parte, anche perché è una spesa
permanente. I soldi andranno trovati altrove: con aumenti di tasse o tagli alla
spesa.
Però la spesa in
riarmo ha impatti sul Pil.
Potrebbe averli nel
breve periodo dal lato della domanda, come qualunque tipo di spesa, ma non
siamo in alta disoccupazione e quindi sarebbero contenuti. In ogni caso, gran
parte della spesa militare non aumenta la capacità produttiva del Paese, e
quindi il Pil potenziale. Peraltro distoglierebbe migliaia di lavoratori da
altri impieghi, un azzardo che non credo possiamo permetterci. A meno che non
ci si voglia solo indebitare verso gli Usa. Negli ultimi anni l’80% della spesa
Ue in armamenti è finita in import dagli Stati Uniti. La prima cosa da fare
sarebbe ridurre la frammentazione della spesa europea, coordinando gli acquisti
e i sistemi d’arma.
Oggi spendiamo
male. Poi nei nuovi target Nato mancano vincoli chiari nella composizione della
spesa. L’Italia, per dire, spende ancora il 60% del budget per il personale, peggiore
tra i Paesi Ue.
Non c’è anche un
tema etico?
Non considero la
spesa militare immorale. Occorre difendersi e la deterrenza è importante. Ma in
questa e in altre aree di spesa pubblica è sbagliato (se vogliamo immorale)
spendere più di quanto necessario e, da quello che ho visto, non sono convinto
che spendere il 3,5% del Pil per la difesa sia necessario in Italia.
Carlo Di Foggia (da “Il Fatto Quotidiano” de 27/6/25)