venerdì 1 agosto 2008

QUANTO CI COSTA LA MESSA...

Ricevo e pubblico


Quanto ci costa la messa

Mentre il presidente del consiglio si prostra davanti al Papa e bacia l’anello pastorale, come espressione di devozione, e nello stesso tempo promette ulteriori privilegi per la Chiesa e le sue scuole, espressione di interesse politico, conviene riportare un passo di Gramsci citato nel testo di Curzio Maltese La questua (Feltrinelli, pp. 272, € 14, 2008), libro molto interessante il cui contenuto vorremmo qui richiamare.

Gramsci scriveva “Il Vaticano rappresenta la più grande forza reazionaria esistente in Italia. Per la chiesa, sono dispotici i governi che intaccano i suoi privilegi e provvidenziali quelli che, come il fascismo, li accrescono”. Se si riflettesse sull’opposizione e inimicizia che la Chiesa ha espresso nei riguardi del governo Prodi e dell’amicizia espressa nei riguardi del governo Berlusconi, bisognerebbe convenire che i Quaderni del carcere contengono delle riflessioni specifiche ancora preziose.

L’inchiesta di Curzio Maltese rappresenta un’esplorazione sull’economia della chiesa di Roma, e se il sottotitolo “quanto costo la chiesa agli italiani” non trova perfetta realizzazione in termini di cifre puntuali e precise, ciò è dovuto alla riservatezza della chiesa su tali questioni e soprattutto su una molteplicità di erogazioni, storni, sconti, ecc. che è difficile dipanare con esiti sicuri. Quello che emerge, comunque, è sufficiente a dimostrare con chiarezza che il “costo” che grava sulla collettività è rilevante, ingiustificato in se stesso e in paragone ad altri paesi altrettanto, se non di più, cattolici del nostro, come la Spagna. Si tratta di un risultato che si basa su ingiustificati privilegi fiscali; sulle continue pretese (la questua) delle autorità religiose; sull’accomodante accoglimento di ogni pretesa da parte di quasi tutti i partiti, dall’implicazione della chiesa in traffici loschi, ecc.

“Con molta prudenza si può stabilire che la chiesa cattolica costa ogni anno ai contribuenti italiani una cifra vicina a 4 miliardi e mezzo di euro, tra finanziamenti diretti dello stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale”. Ogni anno contribuiamo con circa 9.000.000.000.000 di vecchie lire (come direbbero in TV), al mantenimento della romana chiesa. Due terzi circa della finanziaria per il 2009, appena presentata dal ministro Tremonti.

Una domanda forse considerata da qualcuno irriguardosa, ma in linea con la nuova filosofia del ministro Brunetta, in cambio di che cosa? Per avere quale servizio? Con la soddisfazione di quanti fedeli? Come è possibile valutare l’efficienza e l’efficacia di tale spesa?

Si potrebbe laicamente sostenere che i fedeli se la paghino da sé, non estendiamo la condizione di cattolico a tutti i cittadini del paese, anche perché nell’unico caso in cui al contribuente è dato esprimersi su questa faccenda è apparso evidente che solo una minoranza si esprime per finanziare la chiesa. Ci si riferisce all’8 per mille, che sembrerebbe una modalità lecita, dentro la legislazione vigente, offerta agli italiani per finanziare la loro chiesa, ma non è così. Solo il 40% degli italiani esprime una destinazione dell’8 per mille tra quelle previste, di questo il 35% si esprime a favore della chiesa cattolica; chi non ha espresso nessuna preferenza ragionevolmente è da intendersi come non aderente a questa volontaria elargizione. Ma ecco che, sempre Tremonti, allora consulente del governo Craxi, introduce un’interpretazione aberrante che non è certo dispiaciuta alla chiesa cattolica (o forse si tratta di un suo suggerimento?): l’elargizione da volontaria diventa obbligatoria e lo stato distribuisce il totale 8 per mille dell’Irpef secondo le percentuali espresse considerate come relative alla totalità dei contribuenti, in questo modo alla chiesa cattolica alla quale avrebbe dovuto andare il 35% dell’ammontare finisce per andare circa il 90%. Come chiamare questo se non “spreco confessionale”?

Per quanto riguarda il mancato incasso dell’ICI, le valutazioni sono molte diverse, Maltese opta per una valutazione cauta compresa tra 400 e 700 milioni di €, ai quali vanno aggiunti circa 500 milioni di € di sconti su Ires, Irap e altre imposte, nonché “600 milioni di elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini”. Un’esenzione del tutto ingiustificata se si considera che si tratta di attività economiche vere e proprie, che non hanno spesso nessun riferimento religioso, e che per di più fanno concorrenza alle corrispondenti attività private. Il volume d’affari di questo settore della chiesa è valutato in 4,5 miliardi di €. Si tratta di 200 mila posti letto in 3.500 strutture, ma non dormitori, ma alberghi a tre, quattro e cinque stelle che offrono sistemazioni a prezzi molto concorrenti a quelle private (minori spese, minori tasse, ecc.) senza chiedere ai clienti nessuna professione di fede.

Ma non è solo lo Stato anche gli enti locali finanziano la chiesa, e anche qui l’inventiva si spreca. La Regione Lombardia, copiata dalle altre regioni, approva una legge secondo la quale l’8% degli oneri di urbanizzazione secondari va devoluto alla chiesa (ma chiese nuove non se ne costruiscono e per la manutenzione spesso si ricorre ad altre fonti, mentre i sacerdoti diminuiscono e molte chiese sono chiuse), ma quanto vale questo 8%? “il solo comune di Milano ha versato nel 2006 la somma di 3 milioni 231 mila 600 euro”, il comune di Roma nel 2005  € 2.310.000; Bologna 679 mila, Firenze 491 mila. Una legge promossa da Luca Volontè e Rocco Buttiglione, cattolici-politici militanti, è stata ripresa da Paolo Cento e Luana Zanella (con qualche sorpresa, destra e sinistra di fronte alla chiesa spariscono), e approvata quasi all’unanimità e finanzia gli “oratori cattolici”. Per merito di questa legge gli oratori sono costati 4 milioni di € al Piemonte; 6,5 milioni alla Liguria, 10 milioni alla Lombardia, 12 milioni alla Puglia.

Molte altre osservazioni mettono in luce: le relazioni pericolose che la chiesa ha intrattenuto in passato (solo in passato?) come lo scandalo IOR, il fallimento della Banca dell’agricoltura; l’uso spregiudicato e popolare di manifestazioni di pseudo santità (padre Pio, Madonne piangenti, ecc.); la notevole attività di speculazione edilizia, ecc. Per non parlare dell’interventismo della chiesa in politica e nella potestà legislativa del Parlamento, dalle antiche (ma sempre ricorrenti) polemiche sul divorzio e l’aborto, a quelle odierne che investe la regolamentazione delle coppie di fatto, la procreazione, ecc.

Ci troviamo in un paese “fintamente” cattolico, dove l’influenza della chiesa sui comportamenti individuali è modesto, ma dove tuttavia si riconosce alla chiesa una sorta di magistero elettorale, che esercita attraverso la capillarità della sua struttura. Tale capacità di influenzare il voto (ne sa qualcosa Casini che si era … illuso) è la sua principale arma, con la creazione di in un circolo vizioso di scambio: influenza contro privilegi, privilegi che ne rafforzano il potere materiale, potere materiale che accresce l’influenza.

Tutto sul piano strettamente politico. Si può dire l’etica non abita più le cattedrali. Del resto trenta anni fa il teologo progressista J. Ratzinhger tuonava: “La chiesa sta diventando per molti l’ostacolo principale alla fede”. Il tempo passa anche per i teologhi.

*Facoltà di Pianificazione del Territorio dell'Università di Venezia, del Consiglio Nazionale di Sd


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