A. DESTRO - M.PESCE, L'uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano 2008, pagg. 258, euro 18.
Questo volume, frutto di una ricerca matura e documentata di una antropologa e di uno storico, si inserisce nel solco di decenni di "esplorazioni" sullo stile di vita di Gesù, compiute sia da biblisti, da teologi e da teologhe, specialmente nei percorsi delle teologie della liberazione e femministe. Molte tessere di questo mosaico erano già presenti nelle molteplici opere sulla ebraicità di Gesù. Qui la novità sta in primo luogo nell'impresa sistematica che permette di lavorare utilizzando due competenze essenziali con una perizia straordinaria. Mentre per secoli la disputa è avvenuta essenzialmente sul "messaggio" di Gesù, da decenni ci si è concentrati sui "fatti che riguardano Gesù". I nostri Autori, senza affatto accantonare il lavoro interpretativo sul messaggio, tentano di arrivare all'individuazione dello "stile di vita", della "pratica di vita" del nazareno. L'intento è audace: "Non ci siamo sottratti al tentativo, arduo ma non impossibile, di gettare qualche luce sulla sua vita interiore, sulle sue emozioni e sui suoi sentimenti. Ci siamo trovati, alla fine, di fronte ad una figura sconvolgente e a uno stile di vita personale, radicale, alternativo" (pag. 7). Esattamente ciò che i più attenti biblisti hanno evidenziato con i loro studi, senza però scendere in quei "dettagli quotidiani" che solo l'antropologia può restituirci.
Ovviamente, gli Autori enunciano alcune premesse oggi comunemente acquisite dai biblisti e dai teologi, tranne quelli di corte: "In questo libro sosteniamo che Gesù crede nel suo Dio tradizionale e non è il fondatore di un sistema religioso diverso da quello in cui è nato. Il suo stile di vita e il suo messaggio, il movimento che egli ha creato durante la sua esistenza non erano una religione, concetto peraltro assente dal giudaismo del suo tempo. Egli invitava a mutare comportamento in funzione di un profondo rinnovamento all'interno del mondo giudaico in cui viveva. Solo quando i suoi seguaci divennero in grande maggioranza non giudei, Gesù fu del tutto sottratto alla cultura giudaica. La sua dimensione umana si perse di vista quando si cominciò a considerarlo prevalentemente come un essere divino. La sua figura si trasformò allora da quella di un autentico credente quale egli era in quella di un innovatore e riformatore critico della sua cultura. Si cominciò così a perdere il senso della sua fiducia e della sua attesa nell'intervento di Dio. E' a partire da questo momento che si inserisce un cuneo tra il Gesù storico e quello delle chiese successive" (pag. 16).
I capitoli del libro sono articolati in modo da consetire un progressivo avvicinamento a Gesù come individuo collocato in uno spazio, in un contesto di relazioni e di pratiche.
L'attività di Gesù non è collocata nella grandi città, ma nel villaggio in quanto "i villaggi della Galilea sono luoghi dove la romanizzazione non viene vissuta positivamente" (pag.22) e da questo punto di vista Gesù è un uomo non integrato. Frequentare i villaggi significa immergersi in una quotidianità composita e problematica in cui entrano in gioco relazioni di carattere familiare, personale, economico, lavorativo, spesso cariche di tensioni e di condizionamenti. L'ambiente di Gesù, sul quale egli si è costruito l'immagine della propria terra, era quello dei villaggi della Galilea che attraversava. Esso includeva però alcuni luoghi per lui significativi della Giudea, soprattutto la "città santa". "Il suo proposito era di cercare le pecore perdute" di tutta la casa di Israele dovunque fossero, anche al di fuori dei confini assegnati dai romani" (pag.32). Il fatto che Gesù appartenesse agli ambienti giudaici delle campagne non significa che egli non conoscesse la vita e i problemi delle città. Anzi, il suo atteggiamento anticittadino è comprensibile solo come risposta critica a situazioni conosciute e rifiutate. "A Gerusalemme Gesù è andato per partecipare alla Pasqua.Ciò significa che in certa misura egli sia integrato con le masse che, in questa ricorrenza, vi affluivano in pellegrinaggio. Egli appare come un giudeo osservante che compie un dovere festivo dettato dalla tradizione: accetta la rappresentatività dei luoghi, degli apparati religiosi" (pag. 36). La sua critica è rivolta al mondo con cui la religione tradizionale veniva praticata. Qui avviene lo scontro che si estende a tutto l'ambiente conservatore della città. Gesù invita il popolo a restare radicato nei suo villaggi "dove egli pensava che fosse ancora possibile combattere l'integrazione e resistere alla romanizzazione" (pag. 41). Il camminare di Gesù da villaggio a villaggio determina incertezza e precarietà nella sua esistenza: uno spaesamento. Lo spostamento incessante da un posto all'altro lo sottrae alle regole della convivenza sociale, come i doveri familiari e lavorativi di ogni giorno. La vita, fuori dalle consuete reti familiari e lavorative, espone l'individuo sradicato a trovarsi con una base identitaria molto labile. Deve costruirsi un reticolo di nuovi legami interpersonali ed un costante riposizionamento. Lo spostamento continuo di Gesù crea spazi di esperienza inconsueta per sè e per gli altri nei luoghi che attraversa e negli ambienti domestici che frequenta. Egli non organizza la propria vita a partire da una propria residenza o abitazione. "Un elenco dei suoi spostamenti ci svela l'urgenza incalzante che egli sentiva di divulgare ovunque il suo messaggio" (pag.46).
Gesù non è un nomade nè un viaggiatore, nè un pellegrino. Gesù dunque non viaggia. Si sposta, si spinge avanti. Procede velocemente. Non per vedere luoghi, ma per incontrare persone: "Gesù si sposta verso la gente per annunciare ciò che Dio ha deciso di fare. Ogni giorno Gesù ricomincia il suo cammino, riattualizza il suo progetto, sostenuto dalla speranza in Dio" (pag.51). "Bisogna abbandonare in fretta un luogo per raggiungerne velocemente un altro" (pag. 55). Spessissimo Gesù cerca una vita di scampo, una fuga in luoghi appartati e solitari. Il ricorso all'isolamento serve a Gesù per salvaguardare la propria individualità e cercare concentrazione dentro di sè. "Gesù cerca di rafforzare le proprie certezze rifugiandosi nella propria interiorità. Ricorre all'isolamento per poter pregare e comunicare con Dio, prima di predicare. La preghiera di Gesù è un atto straordinariamente rilevante e strategico. Non è il ritirarsi in meditazione del saggio o dell'eremita o l'abbandonarsi alla contemplazione della natura. La sua preghiera non poteva non essere destinata al Dio della tradizione giudaica". (pag.56). "Gesù è un uomo che insiste sulla propria autonomia e non solo sull'incontro con gli altri" (pag.58). "Ogni tanto Gesù si allontanava da tutti...Dopo aver dialogato con tante persone, sentiva la necessità di sottrarsi...si isolava per pregare, per cercare un rapporto diretto con Dio. Questa sua abitudine di pregare da solo svela un aspetto incredibilmente profondo della sua identità. Pur cercando un rapporto con tutti, egli era un uomo sostanzialmente solo, perchè autonomo e indipendente. Trovava tutto il sostegno di cui aveva bisogno esclusivamente in un appello al soprannaturale. E' questa pratica dell'invocazione e dell'abbandono incondizionato a Dio che gli dà forza e stà alla radice della sua solitaria vita personale. A causa del suo frequente isolarsi, i discepoli conobbero solo parzialmente chi era e cosa aveva fatto...Parte della sua vita rimase sepolta nel segreto, in cui nessuno è mai penetrato" (Pag. 211). Gesù che aveva cercato il Battista e che aveva voluto esperimentare un atto di conversione nel battesimo di Giovanni, all'interno del movimento del Battista acquista coscienza di sè, della propria missione. L'incontro decisivo con il movimento del Battezzatore colloca Gesù in quel pullulare di movimenti e gruppi religiosi che proliferano in terra d'Israele e nella diaspora giudaica. Alcuni sono caratterizzati dalla forma sociale itinerante. I vangeli descrivono in modo diverso il formarsi del gruppo dei seguaci attorno a Gesù. Certo è Gesù che organizza un gruppo di propri seguaci. Il fatto che Gesù insista sull'esigenza per chi lo segue di abbandonare la famiglia, il lavoro e vendere i beni, "significa che i suoi discepoli più stretti appartenevano ad un ceto relativamente benestante, talvolta in ascesa...Erano parte di una rete di commerci centrata sul mercato del pesce. Le persone che si stagliano sulla scena sono anche legate fra loro da vincoli parentali forti (fratelli, padre e figli) e da una impresa commerciale comune: ci sono anche salariati, forse giornalieri" (pag. 68). Per Gesù chi lo accompagna è chiamato anzitutto a seguirlo. Quindi gli si addice di più il termine "seguace" che quello di "discepolo".
Sappiamo poco della composizione sociale del gruppo dei discepoli, tolti ovviamente i Dodici. Theissen, negli studi degli ultimi trent'anni, ha avuto il merito di presentare in un modo ormai divenuto classico la divisione dei seguaci in due categorie: gli itineranti che seguivano costantemente Gesù (dopo aver abbandonato casa, famiglia, lavoro e avere venduto i propri beni) e i cosiddetti stanziali o sedentari. Questi ultimi sono le innumerevoli persone che aderivano al suo messaggio, ma rimanevano nelle proprie case e al proprio lavoro, come Levi (un appaltatore di tasse), Giuseppe di Arimatea, oppure Marta e Maria e il loro fratello Lazzaro. Il vangelo di Giovanni individua una terza categoria alla quale appartengono Nicodemo, un fariseo "capo dei Giudei". Si tratta dei "simpatizzanti segreti" (pag. 70). Ci sono anche quelli ai quali Gesù rifiuta la sequela itinerante (Marco 5, 18-19). I seguaci non itineranti rappresentavano, in realtà, la base del movimento di Gesù. Erano importanti perchè aiutavano Gesù nello svolgimento della sua attività e a reclutare seguaci. Senza l'aiuto di questi ultimi i predicatori itineranti non potevano sopravvivere e senza la predicazione i seguaci stanziali non potevano esistere. Il seguito di Gesù era nato per essere un gruppo misto composto di uomini e di donne. Luca ricorda Maria di Magdala, Giovanna moglie di Cusa, Susanna e "molte altre". "Gli studi attenti ai ruoli delle donne hanno insistito nel riconoscere loro la funzione di discepole e non di semplici aiutanti" (pag.72). Esisteva poi una cerchia più intima di Gesù. I Dodici e i seguaci itineranti fanno parte di un reticolo a nodi multipli, centrato su un leader e sulle relazioni personali con lui. I Dodici indicano la volontà di Gesù di agire in pubblico attorniato da una cerchia che lo potesse sostenere. Gesù si dimostra anche buon stratega ed organizzatore. "Nella visione attribuita a Gesù il rivolgimento finale sembra debba verificarsi a breve termine e i Dodici dovrebbero essere ancora vivi al momento dei giudizio" (pag.75). Si tratta quindi di un gruppo ristretto e selezionato con il quale Gesù condivide più profondamente la sua missione conferendo loro rappresentatività e capacità. Le pagine dedicate agli incontri del nazareno con la sua famiglia sono segnate da vicinanza e conflitto. Gesù vuole essere libero dalle reti familiari.
Pagine bellissime i nostri Autori dedicano a Gesù che cerca l'incontro diretto con le persone. L'incontro con la gente, nelle sue varie forme, è essenziale per Gesù perchè in esso può manifestare il suo ruolo e la sua capacità. Egli va considerato come un predicatore marginale, cioè privo di autorità riconosciuta, non legittimato dai poteri istituzionali, senza credenziali. Poteva trovare un riconoscimento solo attraverso la reazione diretta della gente. In alcuni suscitava attrazione, speranza di poter raggiungere, mediante lui, le proprie aspirazioni. In altri provocava interesse, dubbio o sospetto. In altri, infine, opposizione anche mortale. La gente cercava Gesù per avere un incontro personale con lui, per ricevere conforto, benessere, sostegno, liberazione da tante catene.
Le sue doti taumaturgiche suscitavano entusiasmo nella folla: era proprio la sua persona il centro dell'interesse della gente. "Le due traiettorie, quella di Gesù e quella della gente, erano tendenzialmente contradditorie. Gesù indirizzava le persone verso Dio. La gente, invece, cercava lui" (pag.99).
La parte centrale del libro è dedicata all'orizzonte della commensalità. Mi è difficile qui segnalare anche solo i passi più stimolanti. Del resto si tratta di pagine che molti autori hanno largamente anticipato, ma trovano qui puntualizzazioni preziose.
Il cibo in comune ha il pregio di mettere in relazione chi è in situazione diseguale. In un posto comune le persone che partecipano, l'ordine in cui si collocano e il cibo prescelto assumono il valore di sintesi simbolica di un gruppo sociale, delle sue gerarchie e dei suoi valori.
Intanto, sradicati dal lavoro e da un nucleo domestico stabile, Gesù e i suoi seguaci avevano bisogno di essere accolti da proprietari e capi di gruppi familiari, semplici lavoratori o donne e di ricevere aiuto per il proprio sostentamento. I "pasti" di Gesù che i vangeli ricordano agli occhi degli studiosi non hanno tutti ugual grado di storicità. A volte il gruppo del nazareno mangia lungo il cammino e possiamo pensare che fosse per loro normale portare con sè una piccola scorta di pane e fermarsi a mangiare insieme lungo la strada. "Da quello che abbiamo detto appare chiaro che la commensalità era uno dei modi preferiti da Gesù per creare un contatto profondo e intimo con la gente. Anche all'interno del suo gruppo egli sembra celebrare i momenti più alti mediante una partecipazione coinvolgente alla mensa" (pag. 110).
Non posso qui seguire gli Autori nell'analisi dei vari pranzi in casa di amici, farisei, peccatori...fino al significato dell'ultima cena. La condivisione del cibo contiene tutto l'universo simbolico e tutte le potenzialità che Gesù portava con sè perchè è tesa all'annullamento di ogni differenza. Lì si approfondiscono le solidarietà, ma si scatenano anche il dissenso, l'opposizione e la rottura. In casa del fariseo Simone (Luca 7,36) il pranzo diventa occasione di valutazioni discordanti. In qualche modo i racconti dei pani e dei pesci che sfamano le moltitudini, aldilà del nodo interpretativo che gli Autori lasciano aperto, dicono che Dio vuole la felicità e l'abbondanza. La miseria dei poveri non è un destino, non è volontà di Dio. Gesù, in cambio del pasto ricevuto nelle case, avanza una proposta provocatoria: occorre mangiare anche "in cattiva compagnia", invitando poveri, storpi, ciechi e zoppi che non hanno di che ricambiare. Così Gesù propone un'alternativa proprio dentro le case e i luoghi abituali. Dove la gente abita, produce e consuma, lì indirizza la sua proposta di cambiamento. Nello stesso tempo Gesù con il mangiare insieme esprime metaforicamente, secondo la tradizione di Israele, lo stesso futuro regno di Dio al cui centro è localizzata la mensa comune.
L'orizzonte della commensalità diventa centrale nell'insegnamento e nella prassi del nazareno. "Gesù non ha scelto la collaborazione familiare, l'unione coniugale o lo studio della Torah come massimo esempio dell'incontro tra gli uomini, ma una commensalità che include tutti. Il mangiare insieme degli amici, ricchi e poveri, giusti e ingiusti, insegna agli uomini cosa sarà il regno di Dio sulla terra. Per questo Gesù insegna il regno mentre si mangia insieme. Il libro fa nascere il desiderio di conoscere da vicino chi erano i seguaci itineranti di Gesù, quali i loro "volti". Sembra trattarsi di persone che avevano, in partenza, caratteri tutt'altro che omogenei." Nei vangeli sinottici le chiamate di Gesù non avvengono mai dentro le case, ma lungo la strada e sul posto del lavoro: "Il fatto che Gesù scelga i suoi discepoli sul luogo del lavoro ci fa ipotizzare che cercasse un tipo di persona con esperienza e capacità di porsi in relazione con anziani e giovani. Secondo Gesù il doloroso abbandono del nucleo domestico orginario deve essere totale e istantaneo. Non va mai rinviato" (pag. 140). E' innegabile, anzi evidente, che tali decisioni non avvennero senza duri conflitti (pag. 141ss). Solo i seguaci itineranti debbono vendere tutto. A coloro che rimangono nelle proprie case si richiede una sorta di reimpostazione della vita. La natura del movimento interstiziale non crea delle forme sociali alternative a quelle esistenti, nè cerca di capovolgere i meccanismi istituzionali e religiosi, ma tende invece a trasformare i rapporti e i nodi sociali di base (la domesticità, le aree delle relazioni intime) all'interno dei quali si colloca la vita di tutti.
Gli ultimi due capitoli "Gesù e il suo corpo" e "Emozioni, desideri e sentimenti" si leggono con utilità, ma sostanzialmente raccolgono tessere di un mosaico ampiamente presunte in molte opere contemporanee. Comunque, in tempi di decontestualizzazione e di spiritualizzazione, fa sempre bene ricondurci all'esame della prassi corporea di Gesù.
Questo Gesù è stato fedele fino all'ultimo respiro, molto concretamente, allo stile di vita radicale nell'attesa imminente dell'intervento di Dio. Alla fine "Gesù rimane solo, con le sue sole forze, faccia a faccia con Dio. Continua ad essergli obbediente" (pag. 214) davanti ad un mondo che gli è sostanzialmente lontano ed estraneo. L'uomo della convivialità rimarrà totalmente solo davanti a Dio.
Giunto alla fine della lettura, anche dando uno sguardo alla serietà dell'apparato critico, mi sono sentito sempre più attratto dal nazareno, sempre più sollecitato a credere nel Dio che egli ci ha testimoniato, sempre più riconoscente verso i biblisti e gli storici che tanto mi hanno aiutato a scoprire Gesù.
Si può convenire o dissentire su questa o quell'altra ipotesi esegetica, ma la "ricostruzione" storica e antropologica è, a mio avviso, rigorosa e interpellante. Raccomando vivamente la lettura di questo libro che aiuta ad entrare nei tempi, nei luoghi, nell'intimità e nella fede del nazareno. Le gemme di queste pagine vanno cercate nei particolari concreti che aprono finestre talvolta inesplorate da una esegesi piuttosto astratta. Questi sono i libri che vanno messi in mano alla gente perchè possa innamorarsi di Gesù. Sono libri che sollevano nuove domande, stimolano a percorsi nuovi, ad interrogarci sul senso delle troppo facili risposte "consolidate" nelle nostre chiese e comunità. Che cosa voglia dire, oggi, fuori dal contesto dell'imminenza della fine, vivere da "seguaci" del nazareno, è quasi tutto da reinventare. Se e come possiamo tradurre nel nostro quotidiano lo stile di vita radicale di Gesù, è probabilmente un interrogativo la cui risposta "molteplice" non è affatto scontata. Possiamo e dobbiamo cercarla insieme con umiltà e audacia.
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