martedì 27 marzo 2012

INGHILTERRA E ANGLICANI

Il governo britannico sta asserendo la propria autorità in un ambito che per lungo tempo è stato prerogativa esclusiva delle chiese: la definizione di che cosa costituisca un matrimonio. La definizione religiosa di matrimonio è invalsa da secoli: si tratta dell'unione di un uomo e di una donna. In Gran Bretagna, come nella maggior parte dei paesi, le coppie che desiderano convolare a nozze possono scegliere tra sposarsi in chiesa o con un rito civile. Quest'ultimo, però, è per così dire la copia laica del primo tipo di cerimonia nuziale: il matrimonio in chiesa è la versione originale. Probabilmente, da ora in avanti non sarà più così.
Se la Camera dei Comuni approverà la legge che autorizza i matrimoni tra persone dello stesso sesso, un uomo potrà sposare un uomo, e una donna potrà sposare una donna, con le medesime premesse esistenti oggi tra uomo e donna. Questo governo, guidato dai Conservatori - per tradizione ritenuti un partito che ha sposato la tradizione ed è più vicino di qualsiasi altro alla Chiesa di Inghilterra -, pare convinto che l'eguaglianza degli omosessuali sia un caso morale per il quale vale la pena adoperarsi.
La Chiesa d'Inghilterra è lacerata dalla questione, ma a livello ufficiale resta contraria ai matrimoni gay. La Chiesa in Inghilterra è ritenuta ufficialmente la Chiesa d'Inghilterra, il cui capo laico è la regina che di recente ne ha preso vigorosamente le difese. Malgrado ciò David Cameron, il primo ministro britannico, non la teme come qualsiasi primo ministro italiano teme il Vaticano, contro cui non oserebbe mai andare. Ciò dipende da fatto che la chiesa anglicana nel mondo si è molto indebolita: è divisa sulla questione dei matrimoni gay, sull'ordinazione di preti e arcivescovi dichiaratamente omosessuali, sulle donne prete e sul rapporto con la Chiesa cattolica. L'arcivescovo Rowan Williams, che ieri ha annunciato le proprie dimissioni, ha cercato in tutti i modi di riunificare la chiesa anglicana, ma malgrado la sua grande erudizione e la sua autorità ha fallito nell'impresa. Si è dunque dimesso nel giorno stesso in cui il governo ha annunciato i suoi programmi volti a emettere una legge favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Benché in passato si fosse espresso a favore di tale proposta, in qualità di arcivescovo ha più volte sostenuto le sue tesi dicendosi contrario, arrivando a commentare a un certo punto che la legge non dovrebbe occuparsi di tali faccende, e che queste dovrebbero invece essere discusse e concordate a livello intellettuale.
La politica, e i diritti umani, ormai si proclamano più potenti della Chiesa, e per certi aspetti in modo teatrale. Per l'arcivescovo Williams - che probabilmente crede ancora che i gay abbiano il diritto di vedersi riconosciuti i loro matrimoni con riti civili - era ora di lasciare il posto che occupava e dal quale non poteva esprimere chiaramente la propria opinione. Ed è arrivato il momento di osservare come il governo, e la legge, abbiano la precedenza rispetto alla Chiesa perciò che concerne la sua cerimonia umana più intima.
(Traduzione di Anna Bissanti)
JOHN LLOYD

(Repubblica, 18 marzo)