venerdì 24 aprile 2015

COMMENTO ALLA LETTURA BIBLICA


    PASTORI CHE NON CONOSCONO IL GREGGE

Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. [12]Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; [13]egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. [14]Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, [15]come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. [16]E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. [17]Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. [18]Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
 ( Giovanni 10, 11-18).


Se riconduciamo alla cultura e al linguaggio  del tempo dei due Testamenti biblici l'immagine del pastore, bello – buono, troviamo in essa un messaggio intensissimo.
Ovviamente, i buoni "pastori" non sono mai stati una presenza scontata né in campo politico né in quello religioso. I profeti, rivolgendosi ai capi del popolo e ai sacerdoti, lanciano invettive brucianti contro i cattivi pastori che pascolano se stessi e non si occupano del gregge.
 Basta aprire la Bibbia nei libri di Isaia, Geremia ed Ezechiele per comprendere le sferzanti denunce profetiche. Si tratta di pastori che pensano solo a se stessi, non si curano delle pecore deboli, malate , ferite e disperse.  Ne emerge un panorama sconcertante.

NEL NOSTRO OGGI

Questa parabola, prima di essere riletta nel contesto attuale, va collocata al tempo del  Vangelo di Giovanni. L'illusione che una comunità potesse vivere senza animatori e pastori venne corretta con l'aggiunta del capitolo 21  in cui il redattore finale del Vangelo esplicita l'esigenza della testimonianza del ministero di Pietro. Il Vangelo di Giovanni così sottolinea che  l'amore fraterno e sororale è l'essenza del messaggio di Gesù,  ma aggiunge che nel cammino comunitario esiste il bisogno del servizio pastorale.
Il problema che oggi tocchiamo con mano nella vita politica e nella nostra chiesa, non è se ci vogliano o no dei pastori, ma di quali pastori, uomini e donne, abbiamo bisogno.
Non solo è importante evitare i pastori autoritari e i mercenari, i pastori funzionari e privi di creatività, ma occorre porre l'accento su due dimensioni che la parabola sottolinea.

PASTORI SENZA PASSIONE

Con dolore occorre riconoscere, constatare e denunciare apertamente che ci sono "pastori" ai quali "non importa delle pecore" (v. 13). Si tratta di vescovi, presbiteri, animatori comunitari che sono persone senza passione, senza slanci creativi, privi della capacità di rischiare, di esporsi.
Essi sono come "immaginette sacre", completamente funzionali e sottomessi alle scansioni e alle dinamiche istituzionali.
Fanno le loro "ore di ufficio" con una certa preferenza per gli ambiti liturgici e sacrali. L'aggiornamento è confuso  con qualche spolverata ai formulari medioevali, ma la strada è sempre la stessa, una routine senza fine. Tale "pastore" è pago degli adempimenti istituzionali dettati dal suo ruolo.
Egli è l'immagine dell'uomo "depassionato". Buon esecutore di mille incombenze, non s'accorge e non osa guardare in faccia il mutato panorama. Gli manca la passione per immaginare un servizio, un ministero diverso, già tutto prestabilito dai sacri canoni, dalle regole ecclesiastiche.
Ha bisogno di un appartenenza ecclesiale rassicurante.

MA PERCHE' SI SPEGNE LA PASSIONE?

"Io, dice Gesù, sono il buon pastore, conosco le mie pecore  e le mie pecore conoscono me".
Ecco il messaggio profondo ed impegnativo della parabola: solo se si conosce la vita concreta  delle persone, se si ascoltano le loro voci, se ci si lascia coinvolgere nei loro vissuti, se si prende sul serio la loro esperienza e la loro saggezza, se si valorizzano i loro talenti di amore e di profezia quotidiana, solo allora si diventa "pastori che conoscono il gregge".
Oggi chi non ascolta con il cuore l'esperienza e il grido di chi è ai margini della chiesa e della società, chi non ascolta le voci delle donne, degli omosessuali, degli stranieri, dei separati e divorziati, dei tanti/e delusi dalla chiesa....vive fuori dalla realtà e, pur tra mille parole e iniziative, resta chiuso nel mondo di una cristianità scomparsa e ignora lo spazio di quel cristianesimo profetico che va cercato  più nella strada che nelle canoniche.
E' la "puzza del gregge", dice papa Francesco, che può risvegliare la chiesa. Io direi  che è il "profumo del gregge", il vocìo delle persone, la loro voglia di vita e di cambiamento, la loro richiesta di autenticità che può ridonare freschezza e passione a tutti e tutte coloro che sentono la responsabilità di un servizio di animazione nella comunità ecclesiale.
Sapranno i vescovi nel prossimo sinodo ascoltare le autorevoli voci del popolo di Dio?

LA SPERANZA

La speranza sta nel fatto che il popolo di Dio oggi non si limiti a qualche "belato". Esso deve essere consapevole che è in atto un processo partecipativo che dipende dalla maturità di milioni di donne e di uomini. Tocca a ciascuno e ciascuna di noi svegliare i pastori che dormono, buttare giù i baldacchini, rifiutare coloro che violentano le coscienze o i corpi.
Ecco il compito, la vocazione che ci è data: accompagnare i pastori e, molto spesso, rieducarli, ricordare loro che sono servitori e, quando è il caso, esercitare a tutto tondo la libertà dei figli e delle figlie di Dio.
La parabola, letta nel codice della cura, non autorizza nessun dirigismo di sacri pastori né alcun gregarismo nel popolo di Dio. Esso parla di amore e di cura: responsabiltà e possibilità che, in modi diversi, appartengono ad ogni cristiano.