venerdì 26 agosto 2016

“Il Brasile non è un’isola felice”

SAN PAOLO - «Sono nato a Estácio de Sá, il quartiere di Rio de Janeiro dove novant'anni fa, alla fine degli anni Venti, nacque il samba», racconta lo scrittore Paulo Lins, 58 anni, autore del libro dal quale Fernando Meirelles trasse "City of God". «Quando avevo sette anni la mia famiglia si trasferì a Cidade de Deus, dove ho vissuto fino a quando ho compiuto trent'anni. Ero il figlio più piccolo e per questo sono riuscito a laurearmi grazie ai miei fratelli, che lavoravano e mi pagarono gli studi. Il primo laureato in famiglia. Iniziai a scrivere correggendo le bozze dei testi delle canzoni per le scuole di samba che preparavano il Carnevale. Venivano da me perché ero professore di portoghese e nei loro testi c'erano sempre un sacco di errori grammaticali. Poi ho fatto il compositore anch'io».
Il libro di "City of God" è di vent'anni fa, dopo lei ne ha scritto soltanto un altro, "Desde que o samba è samba", perché?
«Perché in Brasile di libri non si vive e ho dovuto fare tanti altri lavori: dal correttore di bozze allo sceneggiatore per la televisione. Ho fatto l'insegnante, ho lavorato dando lezioni di scrittura all'Università, collaborando con i giornali».
Com'è cambiata la favela di Cidade de Deus in questi vent'anni?
«La medaglia di Rafaela Silva, la judoka brasiliana che vive a Cidade de Deus e ha vinto l'oro, è un simbolo di questo cambiamento. Lei è riuscita a fare sport soprattutto grazie agli investimenti in tutte le aree sociali dei governi di Lula e Dilma. Non solo a Cidade de Deus ma in tutto il Brasile. Molti programmi a favore dei ceti più indigenti hanno avuto un effetto positivo negli ultimi quindici anni. Per le famiglie povere è diventato più facile mandare i figli a scuola e farli arrivare fino all'Università, ottenere una borsa di studio, un credito bancario. Lula e Dilma hanno lavorato per una redistribuzione della ricchezza e attuato politiche importanti contro la povertà. Ma purtroppo ora tutto questo è finito».
Nel suo ultimo libro lei ha raccontato la storia dell'emancipazione dei neri in Brasile, qual è oggi la situazione?
«Che l'emancipazione non c'è. Io vivo in un edificio di classe media a San Paolo e sono l'unico nero in tutto il palazzo. A Rio, nei quartieri più borghesi e belli, è difficile incontrare una famiglia di neri. I neri stanno tutti nelle favelas. Non ci sono neri nei posti di potere istituzionale, non ci sono neri nelle professioni, non ci sono neri in tv, per i neri è molto difficile andare all'Università. Ci sono neri importanti solo nella cultura, soprattutto nella musica. La musica è il nostro terreno di lotta e resistenza per sopravvivere ma i bianchi in Brasile hanno cercato di far scomparire anche la nostra cultura».
Il Brasile è un Paese razzista?
«Il Brasile da 500 anni è dominato da una élite bianca che non fa nulla per emancipare i neri, che nella maggior parte dei casi sono i poverissimi, perché vuole continuare a rimanere al potere. Non hanno alcuna intenzione di dividerlo. C'è qualcosa di cui si parla molto poco: in generale il Brasile, ma soprattutto Rio de Janeiro, è il luogo al mondo dove si ammazzano più neri. Qui c'è una guerra etnica, è una guerra a bassa intensità, ma è una guerra. A Rio c'è una polizia assassina e un governo locale che confonde la violenza con il traffico di droga e che invece dovrebbe combattere il traffico delle armi e attuare programmi di redistribuzione del reddito e di inserimento sociale e di istruzione dei più poveri».
Cosa ha pensato quando Barack Obama è stato eletto presidente degli Stati Uniti?
«Che non basta un presidente nero per parlare di emancipazione riuscita. Infatti anche la polizia americana continua a uccidere soprattutto neri. Ma anche gli europei continuano a rifiutare la semplice verità che parte della loro ricchezza è stata accumulata con lo schiavismo, con il traffico degli schiavi africani. E nonostante ciò oggi le politiche sull'immigrazione contro gli africani sono fra le più perverse del mondo».
Qual è la sua opinione sull'impeachment di Dilma Rousseff?
«Che è stato un golpe politico istituzionale. È diventato presidente il leader di un partito che, da quando c'è la democrazia in Brasile, non è mai riuscito a eleggere un presidente. Il popolo, i poveri, hanno votato per Dilma, ma la vecchia élite bianca brasiliana si è organizzata per tornare al potere. I bianchi brasiliani hanno appoggiato questo golpe e ora vogliono che alla guida del Paese ci sia un golpista per continuare a governare contro i poveri, per non mettere in discussione nessuno dei loro secolari privilegi. In questo senso l'élite politica bianca è scellerata e antidemocratica».
Lei è stato criticato per aver rivelato, nel suo ultimo libro, che l'uomo considerato come il padre del samba moderno, Ismael Silva, era gay. Perché lo ha fatto?
«Contro l'ipocrisia imperante. A livello istituzionale in Brasile ci sono le unioni civili per i gay ma questo è un Paese omofobo. Dove i gay vengono aggrediti e ammazzati per strada».
Cosa pensa dell'immagine internazionale di Rio de Janeiro città felice?
«Dovunque c'è un nero, c'è musica, c'è samba. Per questo Rio, a volte, è una città felice».
Omero Ciai

(la Repubblica 14 agosto)