martedì 7 marzo 2017

I 23 no a una donna che vuole abortire

Dopo essere restata incinta del terzo figlio, con una gravidanza inattesa, ha deciso di interrompere la gravidanza, ma ha dovuto "girare" 23 ospedali sparsi in tutto il Nordest prima di trovare, grazie all'aiuto della Cgil, un posto dove abortire. Protagonista della vicenda una 41enne padovana, che per oltre 20 volte ha ricevuto una risposta negativa alle sue richieste, con motivazioni che andavano dal «sono tutti obiettori» al «si rivolga alla sua Ulss». A sbloccare la vicenda la decisione della donna di rivolgersi al sindacato, che è riuscito a sbloccarla a Padova, proprio nell'ospedale a cui per prima si era rivolta la 41enne. Una storia che ha portato la Cgil del Veneto a chiedere che siano create le condizioni per il rispetto della legge 194, con l'assunzione di personale sanitario non obiettore. «È del tutto evidente infatti - afferma il sindacato - che se la stragrande maggioranza dei medici si dichiara "obiettore di coscienza" le liste d'attesa per l'interruzione volontaria di gravidanza diventano pericolosamente lunghe, costringendo le donne a rivolgersi, quando va bene a strutture private, o peggio a fare ricorso all'aborto clandestino, una vergogna sociale che la Legge 194 era nata proprio per contrastare. Non è concepibile costringere le donne ad intraprendere vere e proprie odissee per vedersi garantire il rispetto di una legge dello Stato».
In Veneto, stando ai dati a disposizione del sindacato, sono l'80% i ginecologi obiettori. Non sono mancate le polemiche politiche, con la consigliera regionale del Pd Alessandra Moretti che ha depositato un'interrogazione urgente al presidente del Veneto Luca Zaia per chiedere un'indagine interna sulla sanità regionale. «Una donna che gira a vuoto 23 ospedali nel civile nord est e che non riesce a trovare una struttura in grado di accoglierla e di garantirle il diritto ad abortire è il segnale gravissimo di una profonda retrocessione del Veneto nel campo dei diritti e della salute delle donne», ha detto.
Marzio Cencioni

(L'Unità 2 marzo)