Il deserto come regno della solitudine
Il deserto. Sempre il deserto. Tocca a ciascuno trovare il proprio deserto, fatto di solitudine e di silenzio.
Solitudine e silenzio.
La solitudine
La storia ci insegna che molti uomini dalla forte personalità hanno avuto una giovinezza solitaria. È come dire che la solitudine ha un notevole potenziale formativo; essa è, infatti, capace di forgiare la nostra personalità, rendendola più forte. La solitudine – potremmo anche dire – è un po’ come il silenzio. Un padre del deserto, di nome Ammonas, era convinto che i veri uomini, i santi, si sono formati con il silenzio.
Analogo discorso va fatto per la solitudine. La solitudine spinge alla riflessione. È in tal modo che il solitario diventa se stesso, perché impara a pensare con la propria testa, e a scegliere ciò che ha deciso di scegliere, e non quello che fanno tutti o che, in maniera più o meno subdola, gli impongono gli altri.
È vero, la solitudine può presentare anche dei pericoli, da cui bisogna guardarsi. Può portarci ad essere stravaganti, persone che si devono mostrare originali a tutti i costi, gente che si autocontempla. Quando ci troviamo di fronte a persone di questo tipo è un po’ penoso. Ci si vuole mostrare diversi, ma alla fine si risulta soltanto patetici. Con certi atteggiamenti eccentrici certe persone vogliono magari nascondere grane psicologiche (di cui nessuno è immune), ma chi li osserva con una certa acutezza può capire di che si tratta.
Il nostro tempo, la società in cui siamo immersi, ci ruba a noi stessi. Troppo rumore, troppo caos, troppa frenesia, troppe informazioni, troppa connessione ad Internet. E così alla fine della giornata (ma, a volte, anche all’inizio) ci si sente storditi, svuotati, e magari anche tristi.
La tensione nervosa di chi vive con gli altri, quella tensione che è in noi, ma che si respira anche nell’aria, ci stanca prima ancora di cominciare a lavorare. È chiaro che quanto scrivo vale per te e vale per me, che siamo persone sensibili. Ma la maggioranza delle persone, come possiamo facilmente constatare, non soffre di questa situazione e sembra amare di stare immersa nella folla. Tuttavia, anche queste persone subiscono le tensioni del vivere insieme agli altri e se ne intossicano senza neanche percepirle. Del resto, stare da soli per loro è impossibile, è odioso, fa paura.
Si è incapaci di stare da soli. Ma anche lo stare con gli altri costituisce un problema. Per questa ragione, a mio parere, un buon modo di vivere credo che sia quello di chi cerca di star bene con gli altri e di star bene con se stesso, alternando momenti di socializzazione con momenti di solitudine1.
La vera solitudine non è qualcosa al di fuori di voi, non è l’assenza di uomini o di suoni intorno a voi: è un abisso che si apre nel centro della vostra anima.
E questo abisso di solitudine interiore è creato da una fame che non sarà mai soddisfatta da cosa creata.
Solo attraverso fame, sete, dolore, povertà e desiderio si trova la solitudine, e l’uomo che ha trovato la solitudine è vuoto, come se fosse stato vuotato dalla morte.
Egli si è spinto oltre ogni orizzonte. Non rimangono direzioni in cui incamminarsi. È questo un paese il cui centro è dovunque e la cui circonferenza non è in alcun luogo. Non lo si trova viaggiando, ma restando fermi.
Pure proprio in questa solitudine si iniziano le attività più profonde. Qui si scopre l’atto senza moto, la fatica che è profondo riposo, la visione nell’oscurità, e, al di là di ogni desiderio, un appagamento i cui limiti si estendono all’infinito.
Sebbene sia vero che la solitudine è dovunque, per trovarla esiste un meccanismo che ha qualche relazione con lo spazio reale, con la geografia, con l’isolamento fisico dalle città e dai paesi degli uomini.
Ci dev’essere almeno una stanza, o un angolo dove nessuno vi trovi, vi disturbi o vi noti. Dovete essere in grado di separarvi dal mondo, di rendervi liberi, sciogliendovi da tutti quei sottili legami e sforzi di tensione, che, con la vista, con il suono, con il pensiero, vi legano alla presenza degli altri uomini […].
Quando avete trovato un simile luogo, siatene contenti, e non turbatevi se una buona ragione ve ne allontana. Amatelo, ritornatevi appena potete e non siate troppo solleciti nel cambiarlo con un altro2.
1 Cfr. J. Leclercq, Vita interiore, tr. it. F. Del Rivo, Paoline, Alba 1955, pp. 175-177.
2 T. Merton, Semi di contemplazione, tr. it. B. Tasso-E. Lante Rospigliosi, Garzanti, Milano 1973, pp. 65-66.