venerdì 3 marzo 2017

RICEVO E PUBBLICO VOLENTIERI DALL'AMICO ROSARIO


Il deserto come regno della solitudine


Il deserto. Sempre il deserto. Tocca a ciascuno trovare il proprio deserto, fatto di solitudine e di silenzio.

Solitudine e silenzio.
La solitudine

La storia ci insegna che molti uomini dalla forte personalità hanno avuto una giovinezza solitaria. È come dire che la solitudine ha un notevole potenziale formativo; essa è, infatti, capace di forgiare la nostra personalità, rendendola più forte. La solitudine – potremmo anche dire – è un po’ come il silenzio. Un padre del deserto, di nome Ammonas, era convinto che i veri uomini, i santi, si sono formati con il silenzio.
Analogo discorso va fatto per la solitudine. La solitudine spinge alla riflessione. È in tal modo che il solitario diventa se stesso, perché impara a pensare con la propria testa, e a scegliere ciò che ha deciso di scegliere, e non quello che fanno tutti o che, in maniera più o meno subdola, gli impongono gli altri.
È vero, la solitudine può presentare anche dei pericoli, da cui bisogna guardarsi. Può portarci ad essere stravaganti, persone che si devono mostrare originali a tutti i costi, gente che si autocontempla. Quando ci troviamo di fronte a persone di questo tipo è un po’ penoso. Ci si vuole mostrare diversi, ma alla fine si risulta soltanto patetici. Con certi atteggiamenti eccentrici certe persone vogliono magari nascondere grane psicologiche (di cui nessuno è immune), ma chi li osserva con una certa acutezza può capire di che si tratta.
Il nostro tempo, la società in cui siamo immersi, ci ruba a noi stessi. Troppo rumore, troppo caos, troppa frenesia, troppe informazioni, troppa connessione ad Internet. E così alla fine della giornata (ma, a volte, anche all’inizio) ci si sente storditi, svuotati, e magari anche tristi.
La tensione nervosa di chi vive con gli altri, quella tensione che è in noi, ma che si respira anche nell’aria, ci stanca prima ancora di cominciare a lavorare. È chiaro che quanto scrivo vale per te e vale per me, che siamo persone sensibili. Ma la maggioranza delle persone, come possiamo facilmente constatare, non soffre di questa situazione e sembra amare di stare immersa nella folla. Tuttavia, anche queste persone subiscono le tensioni del vivere insieme agli altri e se ne intossicano senza neanche percepirle. Del resto, stare da soli per loro è impossibile, è odioso, fa paura.
Si è incapaci di stare da soli. Ma anche lo stare con gli altri costituisce un problema. Per questa ragione, a mio parere, un buon modo di vivere credo che sia quello di chi cerca di star bene con gli altri e di star bene con se stesso, alternando momenti di socializzazione con momenti di solitudine1.
Ed ora, vorrei offrirti una pagina sul tema che stiamo trattando, una pagina di Thomas Merton che mi sta molto a cuore:
La vera solitudine non è qualcosa al di fuori di voi, non è l’assenza di uomini o di suoni intorno a voi: è un abisso che si apre nel centro della vostra anima.
E questo abisso di solitudine interiore è creato da una fame che non sarà mai soddisfatta da cosa creata.
Solo attraverso fame, sete, dolore, povertà e desiderio si trova la solitudine, e l’uomo che ha trovato la solitudine è vuoto, come se fosse stato vuotato dalla morte.
Egli si è spinto oltre ogni orizzonte. Non rimangono direzioni in cui incamminarsi. È questo un paese il cui centro è dovunque e la cui circonferenza non è in alcun luogo. Non lo si trova viaggiando, ma restando fermi.
Pure proprio in questa solitudine si iniziano le attività più profonde. Qui si scopre l’atto senza moto, la fatica che è profondo riposo, la visione nell’oscurità, e, al di là di ogni desiderio, un appagamento i cui limiti si estendono all’infinito.
Sebbene sia vero che la solitudine è dovunque, per trovarla esiste un meccanismo che ha qualche relazione con lo spazio reale, con la geografia, con l’isolamento fisico dalle città e dai paesi degli uomini.
Ci dev’essere almeno una stanza, o un angolo dove nessuno vi trovi, vi disturbi o vi noti. Dovete essere in grado di separarvi dal mondo, di rendervi liberi, sciogliendovi da tutti quei sottili legami e sforzi di tensione, che, con la vista, con il suono, con il pensiero, vi legano alla presenza degli altri uomini […].
Quando avete trovato un simile luogo, siatene contenti, e non turbatevi se una buona ragione ve ne allontana. Amatelo, ritornatevi appena potete e non siate troppo solleciti nel cambiarlo con un altro2.
1 Cfr. J. Leclercq, Vita interiore, tr. it. F. Del Rivo, Paoline, Alba 1955, pp. 175-177.
2 T. Merton, Semi di contemplazione, tr. it. B. Tasso-E. Lante Rospigliosi, Garzanti, Milano 1973, pp. 65-66.