sabato 18 marzo 2017

UN AIUTO PER RICORDARE

Corso Biblico. Torino, 09.03.2017.
Deuteronomio
(Appunti presi dalla conferenza di Franco Barbero).
Nel capitolo 31 Mosè passa le consegne a Giosuè preannunciando la sua morte imminente prima che il popolo entri nella terra promessa. Il discorso è dominato dall'idea che Dio è compagno di viaggio e solo lui può garantire la sopravvivenza del popolo. La paura aveva accompagnato il popolo nelle sue peregrinazioni (Von Rad) e solo l'idea che Dio cammina con lui e non lo abbandonerà (cf. 31, 8) tiene viva la speranza; così avverrà anche nei tempi successivi, nei ghetti e nelle numerose persecuzioni perpetrate nel corso della storia soprattutto ad opera dei cristiani.
Segue (vv. 9 – 13) la raccomandazione di mantenere viva la memoria della legge attraverso la lettura in occasione delle feste (il testo evidentemente risale all'epoca posteriore in cui le feste erano state istituite); la fede è un dono che non si può tenere per sé, ma va comunicata agli altri e prima di tutto ai figli, che sono i primi uditori della parola (v. 13).
Nei versetti da 14 a 30 si ha una sequenza drammatica di affermazioni: Mosè non potrà morire tranquillo: oltre all'amarezza di non poter vedere la terra promessa, lo perseguita la previsione che il popolo tradirà l'alleanza: “Se fino ad oggi, mentre vivo ancora in mezzo a voi, siete stati ribelli contro il Signore, quanto più lo sarete dopo la mia morte!” (31, 27). Sembra che tutto il piano di salvezza debba fallire; si pensi che il testo è stato redatto in un tempo posteriore ai grandi profeti come Isaia e Geremia, che non avevano cessato di richiamare il popolo alla fedeltà. Dalle parole di Mosè traspare tutto il dolore di Dio per i tradimenti dell'uomo: si ha la percezione che Dio abbia amato il creato invano.
Il capitolo 32 contiene il cantico di Mosè, un brano di alta poesia, equiparabile ad un salmo, ed anche un esempio di letteratura sapienziale, in cui emerge la figura del Dio ebraico, chiamato Padre (32,6) già molto prima di Gesù, un Dio non impassibile, ma che ha cura amorevole del creato (versetto 10 e sgg.), che prova dolore per le ribellioni ed i tradimenti dell'uomo (versetto 15 e sgg.), un dolore che si esprime anche in forme crude e violente, lontane dalla nostra sensibilità, ma che rendono con forza straordinaria l'intensità dell'amore di Dio per il mondo che culmina in un grido di esultanza finale (v. 43). Certo, il linguaggio violento usato è paradossale, ma vuole descrivere il dolore che sorge dal constatare il fallimento dell'amore, un dolore che colpisce nel più profondo del cuore. Questo pathos manca spesso oggi, anche tra i preti.
Il capitolo termina con l'annuncio della morte di Mosè prima di entrare nella terra promessa, a punizione delle infedeltà del popolo, con riferimento particolare all'episodio di Meriba (Es 17) in cui gli Israeliti avevano protestato per la mancanza di acqua. Il povero Mosè si era trovato, come altre volte tra i due fuochi, da un lato Dio e dall'altro il popolo ribelle, ed aveva fatto il possibile per salvare l'alleanza. Per cui la punizione di non raggiungere la terra promessa pare quasi disumana. Così dicono i commenti rabbinici.. Vi sono nella Bibbia altre versioni della morte di Mosè, come quella di Numeri, 17, 12 – 14, Deuteronomio 1, 34 – 40 e Deuteronomio 3, 23 - 28. L'insegnamento che se ne può trarre è che l'uomo non deve agire perché gliene venga un ricompensa. Può anche essere inteso come ammonimento a chi ha responsabilità di guidare il popolo, perchè non approfitti della sua posizione di potere.
Nel capitolo 33 invece Mosè dà la sua benedizione alle varie tribù israelitiche, secondo un canone poetico tradizionale.
Infine il capitolo 34 descrive la morte di Mosè, episodio sul quale si è scatenata la fantasia dei commenti midrashici: alcuni dicono che sia morto al bacio di Dio, altri che Dio gli abbia preso l'anima, altri che lo abbia seppellito lui stesso.
In questo passo conclusivo emergono due aspetti che sono propri di tutto il libro: da un lato la sensazione che l'amore di Dio per l'uomo e la sua creazione sia in difficoltà, l'idea tutta ebraica di un Dio smarrito; d'altra parte il coraggio del popolo di riconoscere le proprie manchevolezze e di fare memoria dei propri errori, come elemento di vitalità e di speranza: si tratta di due idee di fondo caratteristiche del Deuteronomio ed in generale, dell'ebraismo.
Guido Allice