giovedì 6 aprile 2017

GESU' NON E' MORTO PER I NOSTRI PECCATI

Nel periodo pasquale sentiamo ripetere una formula liturgica che, in realtà, ritorna molto spesso nelle celebrazioni sia cattoliche che protestanti: "Gesù è morto per i nostri peccati", "Gesù vittima di espiazione", "agnello di Dio", Dio ha deciso la sua morte per la nostra salvezza.
Oltre quarant'anni fa, al seguito di tanti studiosi e studiose della Bibbia, documentai il senso, il contesto, il linguaggio e la teologia che dettero corpo a questa formula e perché oggi essa risulti teologicamente inutilizzabile.
Nel mio libro "L'ultima ruota del carro" (2001) presentai più approfonditamente la genesi di tale teologia che rende maturi i tempi per abbandonarla.
1) Intanto la morte di Gesù fu la conseguenza delle sue scelte "politiche", culturali e religiose. Si schierò dalla parte dei poveri  e del Dio della loro liberazione.
I poteri non potevano perdonargli questa libertà sovversiva. Rispettiamo dunque la verità storica.
2) Fare di Dio un giudice, un contabile, un ragioniere che cerca di "saldare il conto dei peccati " designando il Suo inviato,il "figlio" come vittima destinata alla morte per "pareggiare" debito e espiazione, significa stravolgere il volto di Dio.
3) La teologia del capro espiatorio cancella totalmente la realtà del Dio che ci ama gratuitamente, che vuole conversione e non espiazione.
E' difficile per noi accogliere la novità dell'amore gratuito e in tutte le tradizioni religiose le categorie della contrattualità proiettano spesso su Dio concezioni e comportamenti umani, sovente anche segnati dalla cultura patriarcale e sacrificale.
4) Mentre nelle origini cristiane si trovano molti modi e non esiste un modello interpretativo unico ed esclusivo per interpretare la morte di Gesù, lentamente, con la "divinizzazione" di Gesù, la concezione espiatoria divenne progressivamente quella principale, quasi unica.
Quando una interpretazione diventa dogma, siamo ormai alla prevalenza ideologica.
5) Oltre a deformare l'immagine di Dio o renderlo sadico e tutto dedito a verificare che i conti della sua "santità e dignità divina" siano a posto (la dottrina anselmiana della "satisfactio), questa ideologia oscura e cancella il percorso di ricerca appassionata e di fedeltà a Dio e ai poveri che caratterizzò  tutta l'esistenza storica del nazareno che amò, che scelse di amare fino alla fine. Che non si fermò nemmeno di fronte alla condanna a morte.
Di questo la sua morte ci dà testimonianza; in questo senso la sua morte ci parla ancora, è per noi una testimonianza che non cesserà mai di chiamarci sulla strada della fedeltà a Dio e ai poveri.
6) Da questa ideologia espiatoria ha avuto origine una spiritualità cristiana dalle conseguenze drammatiche, un dolorismo  che ha soffocato la gioia della fede: "ho  sbagliato, ho peccato....dovrò espiare e accettare le sofferenze come espiazione dei miei peccati".Per molte vite questa deviazione diventò così perversa che essere cristiani si concentrò sull'espiazione.
Così la fede abbracciò il destino della sofferenza in un rapporto con Dio privo della gioia che deriva dall'assaporare la gratuità del Suo amore.
Qualcuno si permise addirittura di suggerire di "espiare per le anime del purgatorio"....
7) Ci tocca un'impresa felice ed ardua. Occorre eliminare dalle nostre liturgie, dal catechismo della chiesa cattolica come dall'innario protestante questo linguaggio che è diventato estraneo al messaggio di Gesù.
In qualche modo esso è diventato una "bestemmia" pronunciata in buona fede.
Non perdiamo certo il senso che, nel linguaggio antico, questa formulazione poteva esprimere: " Ti siamo grati,o Dio,perché in Gesù di Nazareth ci hai dato il testimone umano del  Tuo amore, un
testimone per noi decisivo della Tua scelta di amarci incondizionatamente.
Tu sei il Dio dell'amore gratuito.
Tu ci spingi a camminare nella direzione in cui visse ogni giorno il nazareno. Per questo la morte di Gesù ci parla ancora  e ci indica la strada della fedeltà a Te e la strada della solidarietà con gli ultimi e ultime della carovana".
Franco Barbero